ANALISI MULTIFATTORIALE DEI FATTORI DI RISCHIO PER MORBILITA’
E MORTALITA’ NELLA CHIRURGIA DEL TRONCO COMUNE
Maurizio Cotrufo
Dipartimento di Scienze Cardiotoraciche 2° Università di
Napoli
Dipartimento di Chirurgia
Cardiovascolare e Trapianti
A.O. Monadi Napoli
Il
tronco comune rappresenta il primo tratto della coronaria
sinistra. Origina dal seno di Valsalva sinistro e decorre verso
sinistra, anteriormente e verso il basso, tra il tronco
dell’arteria polmonare e l’auricola dell’atrio sinistro. La
lunghezza del vaso in genere non supera 1 cm. Il suo diametro
varia a seconda del sesso e della superficie corporea, essendo
nel sesso maschile 4.5 ± 0.5 mm e in quello femminile 3.9 ± 0.5
mm. Sono riconoscibili in esso tre porzioni diverse dal punto di
vista anatomico, con importanti ripercussioni anche sulla
fisiopatologia: l’ostio che origina dalla parete aortica,
la porzione intermedia e il segmento distale che
si biforca dando origine all’ arteria discendente anteriore e
alla circonflessa. Nel 30% dei casi da' origine ad un terzo ramo
intermedio. Per la peculiare situazione anatomica che vede la
porzione ostiale circoscritta da fasci muscolari
perpendicolarmente orientati provenienti dalla tonaca media
dell’aorta, non vi può essere nelle fasi iniziali dello sviluppo
della placca ateromasica in tale sede una dilatazione funzionale
e compensatoria della parete arteriosa, risultando subito in un
restringimento del lume con riduzione di flusso. Inoltre il
tronco comune è un’ arteria molto ricca in tessuto elastico e
questo lo rende unico in tutto l’albero coronarico. Questi
fattori anatomici ed istologici possono spiegare il vasospasmo
spontaneo o indotto del tronco comune durante le procedure
interventistiche diagnostiche o terapeutiche.
Una stenosi del tronco comune
viene definita critica in base al criterio angiografico se
comporta una riduzione del lume superiore al 50%. La prevalenza
di lesioni critiche del tronco comune è stata riportata attorno
al 9% nei pazienti sottoposti a chirurgia coronarica, 5% nei
pazienti con angina cronica, 7% nei pazienti con infarto
miocardico acuto.
Tommaso e coll. hanno riportato
un’incidenza di stenosi isolata del tronco comune dello 0,15%,
similmente all’incidenza riportata da Miller e coll. Tra i
21.545 pazienti adulti studiati da Topaz e coll., che sono stati
sottoposti ad angiografia coronarica, in 16 (0,07%) si è
riscontrata una lesione stenotica isolata significativa (≥50%)
del tronco comune.
La causa principale di malattia
del tronco comune è l’aterosclerosi. Aortite sifilitica, artrite
reumatoide e arterite di Takayasu sono state riportate come
cause di malattie coinvolgenti l’ostio del tronco comune.
E’stata descritta un’aortite da radiazioni coinvolgente l’ostio
coronarico nei pazienti che hanno subito terapia radiante
mediastinica per linfomi e che in seguito hanno lamentato
sintomi da angina pectoris. E’ stato dimostrato che la malattia
calcifica della valvola aortica con calcificazioni estese può
determinare l’ ostruzione dell’ostio del tronco comune. Per il
passato, la malattia valvolare e la sostituzione valvolare
aortica sono state responsabili di ostruzione ostiale. Lo stent
di una bioprotesi, cosi come l’impianto di una protesi meccanica
la cui misura sia stata sovrastimata possono ostruire l’ostio
coronarico.
Un’altra causa di lesione
ostiale del tronco comune dopo sostituzione protesica di valvola
aortica è il danno prodotto dalle cannule di perfusione
coronarica usate durante la procedura chirurgica per la
somministrazione della soluzione cardioplegica. La maggior parte
di questi problemi correlati alla chirurgia sono ora molto
infrequenti.
Altra causa di lesione iatrogena
è quella indotta dall’esecuzione di un angiografia o
un’angioplastica per stenosi dell’arteria coronarica di
sinistra. I meccanismi di sviluppo includono lesioni intimali
con successiva proliferazione fibrocellulare causate dai
cateteri guida o palloni dilatanti. Inoltre può verificarsi la
dissezione del tronco comune prodotta acutamente durante la
procedura di angioplastica e ciò può verificarsi sia se il
tronco comune è il vaso bersaglio e sia se è il vaso di
passaggio. Questa è una complicanza rara ma che frequentemente
richiede l’esecuzione in emergenza di un bypass aortocoronarico.
L’uso corrente di cateteri guida a punta flessibile può ridurre
l’incidenza di questa complicanza e ridurre il trauma da
catetere.
Infine il tronco comune può
essere interessato dall’avanzamento retrogrado di una restenosi
post-PCI che si estende al segmento prossimale adiacente.
Il gold standard per la diagnosi
della malattia coronarica resta l’angiografia. Sebbene ad oggi
la diagnosi di stenosi coronarica è imprescindibile
dall’esecuzione di una coronarografia, è stata rilevata una
correlazione insoddisfacente tra l’interpretazione angiografica
e lo studio istologico. In particolar modo l’angiografia
sottostimerebbe le lesioni diffuse del tronco comune e quelle
localizzate all’ostio e alla biforcazione distale, sia per
motivi anatomici ( la brevità del tronco comune specie in caso
di malattia diffusa rende difficile l’identificazione di
segmenti normali di riferimento), sia funzionali (esiste un
rimodellamento “positivo” correlato alla crescita della placca
con dilatazione della parete del vaso per preservare le
dimensioni del lume), sia per una significativa variabilità
inter e intra osservatore esistente nella valutazione
angiografica.
Per rispondere a queste
problematiche alcuni autori hanno proposto l’utilizzo degli
ultrasuoni intravascolari ( IVUS ) nei pazienti con refertazione
angiografica di malattia del tronco comune ambigua o non
conclusiva. L’IVUS fornisce un’immagine a sezione trasversale
dettagliata delle arterie coronarie in vivo e consente uno
studio dei cambiamenti dimensionali e anatomici che si
verificano nell’arteria coronarica in corso di malattia
aterosclerotica e dell’architettura della placca non altrimenti
possibile.
Se la diagnosi di malattia
ostruttiva del tronco comune è confermata spesso è raccomandato
un intervento chirurgico urgente. Ko e coll. hanno notato che 21
di 1.217 pazienti con ostruzione del tronco comune non
sottoposti a rivascolarizzazione in emergenza sono deceduti in
meno di due giorni dopo l’angiografia coronarica. I fattori
predittivi di morte precoce post angiografia in pazienti con
malattia del tronco comune sono l’età avanzata, III o IV classe
NYHA, angina instabile di breve insorgenza, elevata pressione
ventricolare tele-
Tabella 1:
Caratteristiche cliniche dei 351 pazienti del campione
|
Tot |
Dimessi
323 pz |
Deceduti
28 pz |
P |
Età (media±DS) range 36
– 83 |
64±9.8 |
63.5±9.8 |
69.5±7.4 |
0.002 |
Sesso Femminile |
54 (15.4%) |
45 (13.9%) |
9 (32.1%) |
0.016 |
Diabete mellito |
89 (25.4%) |
79 (24.5%) |
10 (35.7%) |
0.139 |
Ipertensione |
258 (73.5%) |
235 (72.8%) |
23 (82.1%) |
0.198 |
Dislipidemia |
154 (43.9%) |
145 (44.9%) |
9 (32.1%) |
0.134 |
BPCO |
48 (13.7%) |
44 (13.6%) |
4 (14.3%) |
0.510 |
IRC/Dialisi |
16 (4.6%) |
14 (4.3%) |
2 (7.1%) |
0.534 |
Ulcera peptica/gastrite
emorragica |
22 (6.3%) |
20 (6.2%) |
2 (7.1%) |
0.540 |
Arteriopatia arti
inferiori |
31 (8.8%) |
28 (8.7%) |
3 (10.7%) |
0.810 |
Arteriopatia tronchi
sovra-aortici |
50 (14.2%) |
44 (13.6%) |
6 (21.4%) |
0.192 |
Euroscore (media±DS)
range 3 - 16 |
6.3±2.7 |
6.06±2.6 |
8.6±3.2 |
0.001 |
Euroscore categorie di
rischio
Basso
Medio
Alto |
111 (31.6%)
136 (38.7%)
104 (29.6%) |
107 (33.1%)
131 (40.6%)
85 (26.3%) |
4 (14.3%)
5 (17.9%)
19 (67.9%) |
0.001
|
diastolica, bassa frazione
d’eiezione e significativa malattia dell’arteria circonflessa
sinistra.
Casistica del Centro
Dalle cartelle cliniche dei
pazienti operati di rivascolarizzazione coronarica dal 01
gennaio del 2001 al 31 dicembre del 2007 presso la Cattedra di
Cardiochirurgia del Dipartimento di Scienze Cardiotoraciche e
Respiratorie della Seconda Università di Napoli, sono stati
raccolti retrospettivamente i dati clinici pre, intra e post
operatori di 351 pazienti (84.6% di sesso maschile) di età media
di 64±9.8 anni affetti da malattia coronarica del tronco comune
della coronaria sinistra isolata o associata a malattia
coronarica periferica. I dati ottenuti sono stati informatizzati
in un database clinico dedicato. Le caratteristiche cliniche e
demografiche dei pazienti sono illustrate nella tabella 1.
Risulta chiaro che si tratta di una popolazione estremamente
eterogenea per il fattore età con un ampio range di
distribuzione: anche se il valore medio è conforme ai valori
attesi, circa il 13% della popolazione è costituito da
ultrasettantacinquenni. La patologia è quasi esclusiva al sesso
maschile.
Per quanto riguarda i fattori
di rischio specifici (tabella 2), la prevalenza di
pregressi IMA e/o di IMA in atto è molto consistente (>40%) e
sebbene il numero dei pazienti con severa disfunzione basale del
ventricolo sinistro (F.E<35%) non è superiore a quello di
casistiche generali di riferimento, una ulteriore quota di
pazienti con funzione ventricolare basale preservata presentava
segni e sintomi di angina instabile o di sindrome coronarica
acuta in evoluzione che hanno richiesto un esteso uso di presidi
(eparina in infusione continua, nitrati in infusione continua,
contropulsazione aortica) nella fase pre-operatoria. In ciò si
concretizza l’elevato valore medio dell’Euroscore con oltre il
50% della popolazione collocato in area di
Tabella 2:
Fattori di rischio cardiaci
|
Tot
351 pz |
Dimessi
323 pz |
Deceduti
28 pz |
P |
Pregressi IMA |
155 (44.1%) |
138 (42.7%) |
17 (60.7%) |
0.021 |
Pregressa PTCA |
32 (9.1%) |
29 (8.9%) |
3 (10.7%) |
0.730 |
Angina instabile |
221 (63%) |
199 (61.6) |
22 (78.6%) |
0.164 |
Sindrome coronarica
acuta |
48 (13.7%) |
40 (12.4%) |
8 (28.6%) |
0.017 |
Eparina ev |
101 (28.8%) |
87 (26.9%) |
14 (50%) |
0.010 |
FE (media±DS) range 25 –
60 |
52.5±8.7 |
52.9±8.2 |
47.4±12 |
0.001 |
FE<35% |
28 (8.0%) |
21 (6.5%) |
7 (25%) |
0.001 |
IMA in atto |
22 (6.3%) |
19 (5.9%) |
3 (10.7%) |
0.725 |
Malattia TCCS Sede
ostiale
Malattia TCCS Sede
tratto medio
Malattia TCCS Sede
biforcazione |
70 (19.9%) |
63 (18.5%) |
7 (25%) |
0.687 |
67 (19.1%) |
61 (18.9%) |
6 (21.4%) |
214 (61.0%) |
199 (61.6%) |
15 (53.6%) |
Gravità stenosi TCCS
50-70%
Gravità stenosi TCCS
70-90%
Gravità stenosi TCCS
>90% |
161 (45.9%) |
151 (46.7%) |
10 (35.7%) |
0.036 |
134 (38.2%) |
117 (36.2%) |
17 (60.7%) |
56 (15.9%) |
55 (17.1%) |
1 (3.6%) |
Nessuna Coronaropatia
Malattia coronaria
associata 1 Vaso
Malattia coronaria
associata 2 Vasi
Malattia coronaria
associata 3 Vasi |
43 (12.3%) |
42 (13%) |
1 (3.6%) |
0.540 |
86 (24.5%) |
78 (24.1%) |
8 (28.6%) |
121 (34.5%)
101 (28.8%) |
111 (34.4%)
92 (28.5%) |
10 (35.7%)
9 (32.1%) |
Associazione lesione su
Dx
Si
No |
220 (62.7%)
131 (37.3%) |
197 (89.5%)
126 (96.2%) |
23 (10.5%)
5 (3.8%) |
0.013 |
Estensione lesioni
coronariche
Assente
Prossimali isolate
Periferiche diffuse |
43 (12.3%)
226
(64.3%)
82 (23.4%) |
42 (13%)
207 (64.1%)
74 (22.9%) |
1 (3.6%)
19 (67.9%)
8 (28.6%) |
0.320 |
LVDd
(media±DS) mm
(range 40
– 60) |
52.8±4.3 |
51.5±4.2 |
53.2±4.2 |
0.126 |
LVDs
(media±DS) mm
(range 20 –
50) |
38.0±6.2 |
37.4±6.3 |
41.3±4.4 |
0.010 |
rischio medio- alto.
Interessante eterogeneità si è osservata nella distribuzione
delle lesioni aterosclerotiche: alla presenza comune di una
severa coronaropatia periferica (oltre il 50% dei pazienti
presentava all’esame angiografico una malattia di 2 o 3 vasi
coronarici associata alla lesione sul tronco comune ed il 23%
con lesioni estese alla periferia distale) si associa un
consistente numero di pazienti (16%) con lesioni critiche del
TCCS >90% anche senza lesioni periferiche (12.3%).
Di conseguenza, il numero degli
interventi eseguiti in regime di urgenza/emergenza è risultato
molto consistente (>70%). La mortalità ospedaliera è risultata
essere del 8% (28/351 pazienti) e riconosce in più dell’80% dei
casi una causa cardiaca primaria.
L’analisi univariata sul rischio
di mortalità a breve termine identifica nell’età avanzata, nel
sesso femminile, nelle elevate categorie di rischio Euroscore,
nella
Tabella 3:
Variabili operatorie
|
Totale
351 pz |
Dimessi
323 pz |
Deceduti
28 pz |
p |
Indicazione in emergenza |
89 (25.4%) |
79 (24.5%) |
10 (35.7%) |
0.035 |
Off-pump |
40 (11.4%) |
37 (11.5%) |
3 (10.7%) |
0.901 |
Pregressa CCH |
2 (0.6%) |
2 (0.6%) |
- |
0.676 |
T. CEC
(media±DS) min |
91±39.5 |
88.4±36.1 |
122.1±59.9 |
0.001 |
N. anastomosi prox
(media±DS) |
1.84±0.84 |
1.83±0.89 |
1.68±0.55 |
0.034 |
N. anastomosi distali
(media±DS) range 1-5 |
2.74±0.77 |
2.75±0.78 |
2.61±0.68 |
0.344 |
Uso AMIS |
313 (89.2%) |
291 (90.1%) |
22 (78.6%) |
0.067 |
Rivascolarizzazione
incompleta |
75 (21.5%) |
65 (20.2%) |
10 (35.7%) |
0.056 |
ridotta FE, nell’infarto
miocardico pregresso, nella sindrome coronarica acuta, nella
entità severa della stenosi del TC (70-90%), nell’associazione
con lesioni su coronaria destra, nella indicazione chirurgica di
emergenza, nel numero di anastomosi prossimali eseguite e nei
tempi di CEC i fattori prognostici primari di rischio
statisticamente significativi; fattori di rischio secondari sono
stati identificati nella incompleta rivascolarizzazione della
piastra ischemica e nel limitato uso del graft in mammaria
interna sinistra. Non è stata notata inferenza statistica
significativa per ciò che concerne la sede di lesione del TCCS e
per il tipo ed estensione della malattia coronarica associata
sebbene, nella casistica generale, l’assenza di una
coronaropatia periferica sia stata una condizione anatomica
generalmente favorevole rispetto a tutte le altre possibilità
(tabelle 2-3).
L’analisi multivariata logistica
condotta sulle variabili risultate significative all’analisi
univariata riconosce, all’ultimo step, l’età avanzata (OR 1.06),
il sesso femminile (OR 3.1) e la indicazione chirurgica di
emergenza (OR 4.7) come variabili indipendenti fortemente
significative e predittive sul rischio cumulato di mortalità
della popolazione. Rilevante è il valore protettivo della
normale funzione ventricolare pre-operatoria (OR 0.92). E’ da
notare che le variabili menzionate sono tutte comprese nel
modello Euroscore e che nell’analisi finale tale variabile è
stata sottratta per l’evidente effetto di ridondanza statistica.
A scopo descrittivo si precisa però che la mortalità osservata
nella categoria di rischio elevato è risultata essere del 18,3%
a fronte del confortante 3.7% delle categorie a rischio basso e
medio indipendentemente dal tipo di presentazione anatomica
coronarica e clinica.
Complicanze post-operatorie
lievi o gravi (tabella 4) sono insorte in circa il 18%
dei pazienti con una incidenza più frequente della sindrome da
bassa gittata post-operatoria o di IMA (15.6%); l’incidenza di
complicanze invalidanti (stroke ed IRA) ha raggiunto in media
valori inferiori al 5%. L’adozione di una temporanea assistenza
ventricolare mediante contropulsatore aortico, per il
raggiungimento di una stabilizzazione emodinamica dei pazienti
nelle fasi peri-operatorie, si è resa necessaria nel 18% dei
casi. Il tempo medio di degenza totale è stato
significativamente più lungo rispetto a quelli di ampie
casistiche di riferimento ma
Tabella 4: Complicanze
|
Frequenza (%) |
Uso IABP |
63 (18%) |
Stroke |
9 (2.6%) |
I.R.A. |
12 (3.4%) |
IMA perioperatorio/sindrome da
bassa gittata |
55 (15.6%) |
Insufficienza
respiratoria/intubazione prolungata |
13 (3.7%) |
Reintervento per revisione emostasi |
9 (2.6%) |
Reintervento per complicanze
cardiache |
6 (1.7%) |
Totale eventi combinati cardiaci |
87 (24.8%) |
Tempo di degenza totale (media±DS)
giorni |
8.9±5.7 |
Tabella 5: Analisi multivariabile su
rischio di mortalità ed evento cardiaco
Rischio mortalità |
β |
OR |
IC 95% |
p |
Età |
0.062 |
1.06 |
1.01 – 1.12 |
0.011 |
Sesso femminile |
1.15 |
3.15 |
1.23 – 8.06 |
0.016 |
Indicazione chirurgica di urgenza |
1.54 |
4.7 |
1.03 – 21.4 |
0.045 |
FE
pre-operatoria |
-0.066 |
0.94 |
0.89 – 0.97 |
0.002 |
|
Rischio su evento
cardiaco combinato |
Età |
0.037 |
1.04 |
1.01 – 1.07 |
0.009 |
Sesso femminile |
1.12 |
3.07 |
1.57 – 6.0 |
0.001 |
Sindrome coronarica acuta |
0.810 |
2.25 |
1.12 – 4.52 |
0.023 |
FE
pre-operatoria |
-0.067 |
0.93 |
0.90 – 0.96 |
0.0001 |
in linea con il riscontro
dell’elevata incidenza di eventi cardiaci combinati riscontrate
in questa popolazione (87/351; 24.8%).
L’analisi multivariata sul
rischio di evento cardiaco cumulato riconosce le variabili età
avanzata (OR 1.04), sesso femminile (OR 3.07) e sindrome
coronarica acuta (OR 2.25) come fattori indipendenti di rischio
significativi. Anche in questo caso la normale funzione
ventricolare pre-operatoria risulta in un significativo fattore
protettivo (OR 0.93).
Discussione e Conclusioni
I risultati più importanti
emersi da questo studio confermano dati già emersi dalla ampia
letteratura sul rischio chirurgico associato alla chirurgia
coronarica. Nonostante i progressi compiuti nelle strategie di
protezione e rivascolarizzazione miocardica il trattamento delle
coronaropatie coinvolgenti il TCCS presenta un rischio più
elevato e consistente di eventi cardiaci complessivi
perioperatori e di mortalità. Il gruppo di pazienti scelto per
questo studio però ha presentato peculiari motivi di interesse a
causa della spiccata eterogeneità di fattori demografici,
clinici ed anatomici che non ha reso possibile una efficace
analisi dei sottogruppi per una notevole frammentazione dei
dati. Nel complesso sono emersi fattori già noti che esprimono
il rischio generico e specifico di una popolazione esposta
all’area di competenza cardiochirurgica come dimostrato dalla
efficace stratifi-cazione operata dal modello predittivo
Euroscore in uso presso la nostra divisione. Non sono emersi
fattori anatomici di distribuzione ed entità di lesione
aterosclerotica chiaramente associabili ad un incremento del
rischio chirurgico. Occorre però segnalare che due tipologie di
presentazione anatomica coronarica hanno dimostrato,
singolarmente considerate, caratteristiche peculiari: la
malattia isolata del TC, anche con stenosi critica,
indipendentemente dalla sede anatomica e dalla entità della
lesione è generalmente associata ad una buona prognosi
chirurgica; viceversa, ed in maniera inattesa, una stenosi
significativa ma non critica del TC (70-90%) indipen-dentemente
dalla sede anatomica ma in presenza di malattia periferica anche
non critica è associata ad un incremento di mortalità e degli
eventi complessivi cardiaci. Questi due elementi non sono in
contraddizione perchè associati nella casistica esaminata a
diverse presentazioni cliniche. Nel gruppo di pazienti con
stenosi significativa del TC e malattia periferica si
concentrano una serie di fattori di criticità clinica come un
incremento significativo delle sindromi coronariche acute,
spesso associate ad una ridotta funzione ventricolare, un più
largo uso di presidi (nitrati in infusione continua, uso di IABP)
e conseguentemente un maggior numero di interventi eseguiti in
regime di urgenza od emergenza con esito in rivascolarizzazioni
incomplete. Viceversa i pazienti con malattia isolata del tronco
comune anche critica hanno generalmente avuto una fase clinica
preoperatoria più stabile, presentano di sovente una funzione
ventricolare nella norma, raramente subiscono
rivascolarizzazioni incomplete. Si potrebbe ipotizzare che la
distribuzione o l’entità delle stenosi angiografiche siano il
riflesso della quantità di riserva coronarica funzionale
complessiva o regionale che nella clinica si sono palesate nelle
sindromi acute e nell’instabilità emodinamica. Gli elementi di
criticità sono quindi rappresentati nel modello da quelle
condizioni cliniche di urgenza od emergenza indifferibile che
fungono da comune denominatore e che sono chiaramente associati
ad un incremento di incidenza degli eventi complessivi a
dispetto di una eterogenea anatomia delle lesioni coronariche.
Determinante è invece il ruolo della disfunzione ventricolare
sinistra acuta o cronica: il ruolo protettivo svolto dalla
normale funzione ventricolare racchiude in sintesi tutte le
condizioni cliniche riscontrate in grado di determinare una
ridotta frazione d’eiezione del ventricolo sinistro: esaurimento
della riserva coronarica, pregressi infarti ripetuti, IMA in
atto, impossibilità anatomica di rivascolarizzazione della
intera piastra ischemica; tali condizioni ricorrono più di
frequente nei pazienti anziani, con una lunga storia di
cardiopatia ischemica sintomatica, che giungono al tavolo
operatorio dopo i fallimenti della terapia medica ed con un
quadro coronarografico di diffusa malattia aterosclerotica.
Per ciò che concerne il sesso
femminile in questo gruppo di pazienti la stima del rischio
attribuisce un odds ratio di circa 3.1 rispetto ai corrispettivi
pazienti maschi compresi nel campione con una frequenza relativa
dei decessi del 32.1%; la letteratura medica specifica si è
spesso confrontata con risultati simili ed è attualmente incerto
se il sesso femminile, nei vari case-mix, rappresenti un fattore
demografico rilevante ai fini della prognosi dei pazienti
coronaropatici; bisogna rilevare però che, quando in ampie
casistiche si è confrontata la prognosi dei pazienti riguardo
alla variabile sesso correggendo statisticamente i dati in
relazione all’indice di massa corporea ed all’età, non si sono
accertate differenze statisticamente significative. La più alta
frequenza relativa dei decessi dei pazienti di sesso femminile
nei dati grezzi è quindi stata messa in relazione al fattore
anatomico coronarico che, a parità di indice di massa corporea
ed età, conferisce al sesso femminile uno svantaggio in termini
di run-off distale nelle coronarie native in rapporto alle
entità ed alla distribuzione delle stenosi coronariche ed ai
flussi attraverso i grafts.
In conclusione i risultati della
chirurgia di rivascolarizzazione coronarica in un setting
prevalentemente di urgenza/emergenza chirugica e su pazienti
eterogenei con quadro estremo di cardiopatia ischemica è da
considerarsi soddisfacente anche se la nostra analisi ha solo in
parte identificato fattori clinici modificabili con interventi
tecnici ipotizzabili. Attualmente riteniamo che la migliore
strategia sia la preservazione di una normale funzione
ventricolare sia con un uso più esteso dei presidi terapeutici
(anche invasivi) e sia con l’adozione scrupolosa di metodi di
protezione miocardica intraoperatori soprattutto nei pazienti di
età avanzata e di sesso femminile o con ridotta funzione
ventricolare. Riteniamo infine che l’analisi della casistica
abbia chiaramente dimostrato che il riferimento anatomico può
essere fallace nella prognosi ospedaliera se estrapolato dal
rischio chirurgico generico o dalla clinica e che un approccio
attendistico nel timing chirurgico non apporti al paziente
sostanziali benefici anche nei casi apparentemente stabili dal
punto di vista clinico.