La gestione del paziente

con ipercolesterolemia



 

Claudio Cortese

Dipartimento di Medicina Interna- Università di Roma- “Tor Vergata”

claudio.cortese@uniroma2.it

 

 Le dislipidemie

Tra i fattori di rischio cardiovascolare, un ruolo di primo piano è riconosciuto ai disordini del metabolismo lipidico. Il transito dei grassi nel plasma segue un complesso meccanismo, in cui svolgono un ruolo di primo piano le cosiddette lipoproteine, ovvero dei composti idrosolubili, essenziali affinché i lipidi, notoriamente insolubili in acqua, possano essere veicolati fra i diversi distretti dell’organismo. Le lipoproteine possono quindi venire considerate le unità fisiche di trasporto dei lipidi nel sangue. Esiste tuttavia la possibilità che si verifichino errori, o siano presenti deficit di alcuni componenti delle lipoproteine, i quali ostacolano il normale metabolismo dei grassi, con conseguente aumento dei livelli di specifiche lipoproteine e di conseguenza dei lipidi da esse veicolate. In conseguenza di ciò, e in relazione al fatto che l’iperlipidemia è uno dei quattro fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo dell’aterosclerosi, i soggetti affetti da tali errori del metabolismo dei grassi, saranno maggiormente soggetti al rischio di sviluppare la patologia aterosclerotica e le sue complicanze cliniche. Si tratta di patologie che hanno una forte caratteristica familiare, data la frequente trasmissione genetica dei suddetti errori o deficit del metabolismo lipidico.

 

Cenni di diagnostica

Essendo l’aterosclerosi silente per lunghi periodi di tempo, le indagini diagnostiche nei confronti di tale malattia consistono soprattutto in indagini di screening sulla popolazione asintomatica, con l’obiettivo di ricercare la presenza di eventuali fattori di rischio. Tali indagini vengono sovente anche eseguite come monitoraggio verso individui che manifestano o hanno manifestato in passato una delle conseguenze cliniche della malattia. In tal caso, si tratta soprattutto di stabilire se l’aterosclerosi si trovi in un periodo di relativa quiescenza o sia in un periodo a rischio per accidenti cardiovascolari. Nelle indagini di screening, eseguite per il riconoscimento del rischio di aterosclerosi, le determinazioni che si effettuano avvengono soprattutto a livello di laboratorio. Innanzitutto, l’ispezione visiva del siero o del plasma se appaiono più torbidi del normale, dopo una notte a 4°C può fornire indicazioni sull’eventuale accumulo di lipidi nel sangue, e di conseguenza può già far sospettare  la presenza di una dislipidemia. L’indagine più comune è il dosaggio del colesterolo plasmatico totale, i cui livelli considerati desiderabili sono <200 mg/dl negli adulti e <180 mg/dl nei giovani. Per quanto riguarda i trigliceridi, i valori desiderabili si attestano tra i 150 e i 200 mg/dl. Un’altra indagine effettuata comunemente è il colesterolo legato alle lipoproteine HDL (Hight Density Lipoprotein), i cui valori desiderabili sono >40 mg/dl per gli uomini e >45 mg/dl per le donne. Attraverso la cosiddetta formula di Friedewald, è possibile, conoscendo i valori di colesterolo totale, trigliceridi e colesterolo HDL nel plasma, ottenere la concentrazione di colesterolo legato alle lipoproteine LDL:

                                 Col LDL = Col tot – Col HDL – (Tgl/5)

I valori desiderabili di colesterolo LDL variano tra100 e 160 mg/dl a seconda del livello di rischio in cui si trova il soggetto in esame. Accanto a queste classiche e ad altre più specifiche indagini di laboratorio, che permettono di evidenziare la presenza di un’iperlipidemia ed eventualmente formulare diagnosi di una dislipidemia familiare, esiste tutta la componente di indagini diagnostiche che viene utilizzata soprattutto per monitorare il decorso dell’aterosclerosi. Essendo chiara la sua natura infiammatoria, diversi markers riflettono l’aspetto flogistico della malattia. Il più noto tra essi è la proteina C reattiva, un marker di infiammazione, il cui aumento sembra essere proporzionale al rischio di insorgenza di un episodio cardiovascolare acuto, anche se, alla luce di un’indagine pubblicata molto recentemente, tale ruolo risulterebbe ridimensionato. Altre proteine connesse all’aterosclerosi attiva sono il fibrinogeno, l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo 1, l’inibitore endogeno dell’ossido nitrico sintetasi, l’aumentata espressione dell’antigene CD11b/CD18 sulla superficie dei leucociti circolanti  e delle proteine di adesione VCAM-1 ed ICAM-1. Tra le indagini non di laboratorio che si propongono soprattutto per una diagnosi di tipo morfologico delle lesioni aterosclerotiche esistono quelle di natura radiologica, invasive e non. Diversi studi hanno dimostrato che con tecniche di risonanza magnetica nucleare è possibile ottenere informazioni dettagliate sulle caratteristiche della parete arteriosa, potendo misurare anche il volume della placca ateromasica. Numerosissime sono poi le evidenze sperimentali che attribuiscono all’ultrasonografia un importante ruolo nella misurazione dello spessore della parete arteriosa, specificamente a livello dell’intima-media. Tecniche diagnostiche invasive e non scevre da rischi sono costituite invece dall’angiografia e dalle indagini ultrasoniche intravascolari, mentre due nuove tecniche di diagnostica per immagini e medicina nucleare, l’angiografia con tomografia computerizzata (angio-TC)  e tomografia ad emissione di positroni (PET), sono in grado di fornire un indice sull’attività infiammatoria di una placca ateromasica, e sulla sua tendenza ad incorrere in complicazioni.

 

 Cenni di prevenzione e terapia

            Varie proposte e strategie sono state adottate per modificare l’evoluzione dell’aterosclerosi e soprattutto si è avvertita la necessità di stilare delle linee guida di prevenzione cardiovascolare per unificare le impostazioni preventive e terapeutiche. Le linee guida sono un insieme di raccomandazioni volte a ridurre l’assunzione di grassi dietetici, controllare l’ipertensione, smettere di fumare, controllare il diabete, ecc. Un fattore importante è stabilire se il controllo dei fattori di rischio debba essere rivolto all’intera popolazione o principalmente ai soggetti a maggior rischio cardiovascolare. Probabilmente un equilibrio soddisfacente fra le due strategie consiste nel sottolineare l’importanza delle misure non farmacologiche nei soggetti a minor rischio, e di quelle farmacologiche in aggiunta alle precedenti in coloro che sono in una situazione di maggior rischio cardiovascolare.  Attualmente le indicazioni più dettagliate provengono principalmente da due organismi, L'Adult Treatment Panel del National Cholesterol Education Program (NCEP ATP III) americano e la Joint Task Force Europea delle società scientifiche attive in ambito cardiovascolare. Entrambi hanno recentemente pubblicato la terza edizione delle loro raccomandazioni. Le prime si rivolgono più specificamente al paziente dislipidemico, le seconde alla prevenzione cardiovascolare in generale. Il NCEP ATP III calcola il rischio in modo da modulare la terapia ipolipemizzante nei soggetti in prevenzione primaria, mediante il conteggio dei fattori di rischio associati all’ipercolesterolemia e, nel caso  questi siano due o più, valuta il rischio di eventi coronarici a 10 anni attraverso un punteggio indicato da scale basate sullo studio di Framingham. Il principale target di queste linee guida è la riduzione del colesterolo LDL; come seconda cosa vengono classificati i livelli lipidici entro varie classi di normalità/anormalità; seguono le indicazioni alla terapia farmacologica ipolipemizzante in base al livello di rischio cardiovascolare; si invita al controllo dei valori di HDL e trigliceridi; si identificano particolari sottogruppi di popolazioni che sono candidati a notevoli cambiamenti dello stile di vita.

            La Third Joint Task Force Europea propone invece, per il calcolo del rischio, una mappa di mortalità cardiovascolare a codifica di colore, che permette di risalire all’area che meglio rappresenta il rischio nei successivi 10 anni del soggetto in esame. L’Europa viene divisa in una zona a basso rischio (area mediterranea, Belgio e Lussemburgo) e una ad alto rischio (le nazioni rimanenti). Il rischio appare determinato dai quattro principali fattori di rischio cardiovascolari e modulato dagli altri meno importanti. Gli obiettivi terapeutici vengono così diversificati nei confronti dei vari costituenti il rischio cardiovascolare. Il trattamento prevede misure farmacologiche e non farmacologiche. Nella strategia europea l’attenzione principale viene rivolta ai soggetti a maggior rischio di sviluppare eventi cardiovascolari.

            Tra i farmaci che oggi vengono maggiormente impiegati come ipolipemizzanti, hanno un ruolo particolarmente importante le statine, ovverosia composti inibitori dell’HMG-CoA reduttasi, enzima chiave nella sintesi endogena del colesterolo, ma agenti anche ad altri livelli, come la stimolazione dell’uptake e degradazione delle LDL, l’inibizione dell’ossidazione di quest’ultime e l’inibizione dell’accumulo di colesterolo nelle cellule. Altri farmaci comunemente utilizzati come ipolipemizzanti sono i fibrati, le resine e la niacina.

            Le statine sono degli inibitori dell’enzima chiave nella sintesi del colesterolo, l’HMGCoA reduttasi. Il loro meccanismo di azione si estrinseca attraverso un aumento della densità dei recettori per le LDL, soprattutto a livello epatocitario, permettendo così un aumentato catabolismo delle LDL circolanti. Nonostante la provata efficacia delle statine, per una serie di motivazioni che vanno dalla scarsa compliance del paziente, alla insicurezza soggettiva  nell’impiegare alti dosaggi, alla presenza di non “responders” e alla rara ma possibile complicanza miopatica, sono prevalenti i casi di mancato raggiungimento dell’obbiettivo. L’Ezetimibe è un nuovo agente ipolipidemizzante, già in commercio in numerosi stati europei  e in Italia nella sua associazione con simvastatina, che agisce attraverso un meccanismo nuovo. Infatti è in grado modulare l’azione di una proteina, a livello intestinale- la NPC1L – responsabile dell’assorbimento del colesterolo di origine biliare e di origine alimentare. In monoterapia l’Ezetimibe è in grado di abbassare i livelli di LDL-colesterolo in media del 20%, ma è nell’associazione con le statine che mostra la sua azione più interessante. Tale associazione rappresenta un modello di cooperatività farmacologica. Per comprendere questo punto si accenna brevemente alle vie metaboliche che caratterizzano l’assorbimento e  la sintesi  del colesterolo. Il bilanciamento corporeo del colesterolo è mantenuto attraverso i meccanismi che ne regolano l’assorbimento intestinale (colesterolo assunto con la dieta), la sintesi endogena e l’escrezione attraverso le vie biliari . In presenza di colesterolo proveniente dalla dieta e di colesterolo biliare recuperato come “remnants“ dei chilomicroni, la sintesi epatica di questo composto diminuisce. Anche se la sintesi apporta al pool corporeo del colesterolo due o tre volte le quantità apportate dall’assorbimento intestinale, quest’ultimo rappresenta comunque una componente importante per il mantenimento della sua omeostasi. Il ruolo dei sali biliari nelle fasi iniziali dell’assorbimento del colesterolo derivante dalla dieta è ben caratterizzato da tempo, mentre più di recente sono stati individuati altri meccanismi molecolari che controllano tale processo. A livello intestinale, non viene soltanto determinata la quantità di colesterolo assorbito ma anche la qualità degli steroli assimilati. Infatti, nell’intestino vengono assorbiti anche altri steroli rappresentati in modo sostanziale in una dieta normale, quali steroli vegetali o di mollusco. Tuttavia, sebbene in genere con la dieta venga assunta una quantità simile di colesterolo e di steroli vegetali, meno del 2% di questi ultimi viene assorbita . Nel lume intestinale il colesterolo proveniente dalla dieta viene presentato agli enterociti sotto forma di micelle formate da sali biliari, colesterolo e acidi grassi. Il colesterolo è assorbito essenzialmente nel duodeno e nel digiuno, mentre gli acidi biliari sono principalmente assorbiti nell’ileo, completando il circolo enteroepatico . Gli steroli diversi dal colesterolo, quali i sitosteroli, sembrano essere esclusi da questo tipo di assorbimento o, alternativamente, potrebbero essere riversati nuovamente nel lume intestinale. E’ noto che la somministrazione di steroli vegetali in dosi farmacologiche compete con il colesterolo per la formazione delle micelle, diminuendone l’assorbimento . L’identificazione del farmaco ezetimibe come potente inibitore selettivo dell’assorbimento di colesterolo a livello intestinale ha confermato che questo processo è mediato da specifici trasportatori e rappresenta un buon target per l’intervento terapeutico volto alla riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo . D’altra parte, in relazione ad un ridotto assorbimento di colesterolo mediato da Ezetimibe, anche se l’effetto netto sarà quello di una diminuzione dei livelli circolanti di colesterolo, a livello epatico, come meccanismo fisiologico di omeostasi biologica ci sarà una attivazione della sintesi endogena di colesterolo. La cosomministrazione di un inibitore della sintesi, cioè di una statina, compensa perfettamente tale attivazione, comportando un ulteriore decremento del colesterolo veicolato dalle LDL.

Infatti in vari studi è stato possibile dimostrare che il dosaggio più basso di una statina associato al dosaggio standard di 10 mg/die di Ezetimibe, ha la stessa efficacia del dosaggio massimo di quella statina. Nello studio chiamato “EASE” la associazione di Simvastatina con Ezetimibe ha permesso di raggiungere gli obbiettivi terapeutici stabiliti dalle varie linee guida in circa l’80% dei casi contro una media del 20% in genere ottenibile con l’uso di sola statina.

La duplice inibizione della sintesi di colesterolo con statine e di assorbimento di colesterolo con Ezetimibe offre una nuova, concreta, sicura ed efficace strategia nel trattamento delle ipercolesterolemie.

 

Studi Clinici con Ezetimibe. Lo studio ENHANCE

Il primo studio clinico condotto con Ezetimibe “ ENHANCE “  ha visto la partecipazione di 720 pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare (FH) e si è paragonato il trattamento con 80 mg di simvastatina verso l’associazione simvastatina 80 mg + Ezetimibe 10mg, sulla progressione di aterosclerosi carotidea valutata mediante metodica Doppler. Il periodo di osservazione è stato di 24 mesi. L’end-point primario è stato ovviamente la modifica della media dello  spessore intimale misurata a livello delle carotidi comuni, del bulbo e delle carotidi interne. Altri endpoint secondari hanno riguardato altri parametri dello spessore medio intimale della carotide e delle arterie femorali. Sia l’endpoint primario che gli endpoint secondari non hanno mostrato un effetto positivo sulla regressione dell’aterosclerosi in questi soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare anche se i livelli circolanti di LDL-colesterolo risultavano significativamente ridotti nel gruppo trattato con l’associazione Ezetimibe  + Simvastatina. Anche i livelli di proteina C-reattiva e di trigliceridi risultavano significativamente ridotti nel gruppo trattato con l’associazione farmacologica.

 

Commento

I “Trias” o studi clinici controllati sono delle sperimentazioni che si propongono di verificare un’ipotesi scientifica al fine di valutare la possibilità di utilizzare tale esperienza nella pratica clinica. In altre parole non dovrebbero mai “direttamente” portare ad una trasposizione delle strategie implementate nello studio nell’uso quotidiano nei nostri pazienti dell’esperienza maturata.

La Ipercolesterolemia Familiare (FH) è una condizione clinica caratterizzata da livelli circolanti di colesterolo totale mediamente raddoppiati rispetto ad una popolazione di riferimento dovuti ad un aumentato livello di colesterolo trasportato dalle LDL. Tale condizione è causata da un difetto parziale ( in eterozigosi) o totale (in omozigosi) del recettore delle LDL presente sulle membrane cellulari di quasi tutte le cellule dell’organismo. Tale recettore è finemente regolato dal patrimonio intracellulare di colesterolo e regola la quantità di colesterolo che le cellule captano e internalizzano e la quantità di colesterolo che la cellula è chiamata a sintetizzare in carenza dello stesso. Risulta chiaro che tale recettore riveste un ruolo fondamentale nel catabolismo delle LDL e che un suo difetto comporti un aumento  delle LDL e conseguente notevole aumento del rischio aterosclerotico mediato dalla componente lipidica. Dal punto di vista genetico si tratta di condizione autosomica cosiddetta co-dominante nel senso che non c’è un allele dominante e uno recessivo. In altre parole ambedue gli alleli cooperano alla funzione del recettore e la condizione è presente anche se si eredita il difetto da un solo dei genitori. Tale condizione di eterozigote ha una frequenza nella popolazione di circa 1:500, ma si trovano enclave, che sono state nel tempo  isolate geneticamente, come in Sardegna e nell’entroterra appeninico del sud del nostro paese, con una frequenza decisamente superiore. I livelli di colesterolo totale, se non trattati, possono raggiungere i 400 mg/dl. La condizione di omozigote è per fortuna estremamente rara con una frequenza riportata di 1:1.000.000, ma con le stesse eccezioni descritte sopra. Si tratta di malattia pediatrica con livelli di colesterolo che possono raggiungere i 1000 mg/dl e con aterosclerosi precocissima che può portare ad eventi ischemici anche in età pediatrica. L’unica cura in tale condizione di estrema gravità è la rimozione meccanica delle LDL, come la LDL aferesi o il trapianto di fegato,organo che possiede la maggior parte dei recettori delle LDL. Nella condizione eterozigote, invece, fino alla fine degli anni ottanta, si avevano ben pochi presidi farmacologici come la colestiramina o il colestipolo, agenti di non facile assunzione cronica e con limitate attività ipocolesterolemizzanti. L’avvento delle statine ha invece rivoluzionato il trattamento degli FH, anche e soprattutto in relazione alla fisiopatologia della condizione e al meccanismo di azione delle stesse. E’ infatti noto che le statine, modulando negativamente l’enzima chiave della sintesi del colesterolo, l’HMGCoA-reduttasi, impoveriscono il patrimonio endocellulare di colesterolo libero, attivando in maniera massimale l’attività recettoriale residua. Nella condizione di FH eterozigote, essendo il numero di recettori ridotto, ma ancora presente al 50%, si può ottenere un brillante risultato terapeutico.

Tornando al discorso dello studio “ENHANCE” l’ipotesi scientifica è stata di verificare se un trattamento intensivo con l’associazione di simvastatina 80 mg e del nuovo agente Ezetimibe 10 mg fosse superiore al trattamento con simvastatina 80 mg nel ridurre la progressione o nell’indurre la regressione di aterosclerosi a livello carotideo valutata con metodiche ultrasonografiche. Lo studio non è stato in grado di dimostrare la ipotesi. Al di là del clamore mediatico che la comunicazione di tali risultati ha causato, cosa legata più al mondo giornalistico che agli interessi della  comunità scientifica, si debbono fare alcune considerazioni che danno piena ragione dei risultati ottenuti e che in un certo senso rafforzano, non diminuiscono, l’ipotesi lipidica.

 

1)      Le metodiche ultrasonografiche costituiscono un surrogato del processo aterosclerotico sottostante e in ogni caso non riflettono necessariamente la progressione verso l’evento ischemico

2)      La popolazione oggetto di studio era relativamente giovane- età media intorno ai 45 anni- e ciò comporta anche nella condizione di FH, un rischio relativamente minore

3)      Si evince che gli altri fattori di rischio erano sotto controllo strettissimo

4)      Si evince inoltre dalla lettura dei criteri di inclusione che, non soltanto i pazienti FH potevano essere già in trattamento con farmaci ipocolesterolemizzanti, ma potevano essere in trattamento persino con qualsiasi associazione farmacologica ivi compreso l’Ezetimibe e l’acido nicotinico. Infatti un numero “sizable” ( considerevole ) di pazienti, da quanto riferito dallo stesso Kastelein, che è stato l’investigatore principale, ha avuto dei valori medi di colesterolemia durante lo studio superiore ai suoi valori medi prima di entrare nello studio. Non sorprende che  la media dello spessore medio-intimale all’inizio dello studio era di 0.70 mm, esattamente comparabile con quello riscontrabile in soggetti normocolesterolemici della stessa età

 

 Conclusioni

Per la comunità scientifica il messaggio positivo è che trattare in maniera efficace soggetti ad altissimo rischio come quelli portatori di FH per un periodo congruo di tempo ( le statine sono presenti dalla fine degli anni ottanta e da allora  hanno costituito il presidio farmacologico obbligato per i soggetti FH), comporta un arresto della progressione dell’aterosclerosi almeno al livello carotideo. Successivi studi con l’associazione di statine ed  Ezetimibe in soggetti “naive” e/o  in particolari contesti clinici come nelle coronaropatie acute ( come lo studio in corso “IMPROVE IT)  sono necessari ai fini di stabilire se il raggiungimento di livelli di LDL  colesterolo anche inferiori ai 70 mg/dl siano in grado di apportare ulteriori benefici in termini di riduzione di eventi clinici.