Lo Scompenso Cardiaco Acuto:

 l’esperienza del Blitz 3

 

Alessandra Chinaglia

U.O. di Cardiologia - Osp. Maria Vittoria Torino

 

Lo studio Blitz 3 è stato ideato come uno studio osservazionale relativo ai ricoveri nelle UTIC italiane durante 14 giorni di osservazione.

Per l’elevata partecipazione (332 UTIC, pari all’81% delle UTIC italiane, con un totale di 6986 ricoveri) è in grado di fornirci dati assolutamente ignoti in precedenza sull’epidemiologia dei ricoveri, sui principali aspetti gestionali, sulle risorse utilizzate nella diagnosi, sulla terapia e la gestione dei pazienti ricoverati, sull’outcome dei pazienti in UTIC, sui percorsi organizzativi, sulla durata della degenza e sulla frequenza delle più importanti co-morbidità.

Se tali dati sono scarsi per tutte le patologia, lo sono in particolare sullo scompenso acuto, per cui questo tipo di analisi ci apre delle finestre di conoscenza e valutazione importanti.

Nel blitz 3 i ricoveri in cui lo scompenso acuto era la diagnosi principale sono stati 916, pari al 13% dei ricoveri totali. Il dato epidemiologico principale è l’età avanzata: il 50% dei pazienti ricoverati ha un‘età superiore a 75 anni, il 25% a 82 anni. L’età media è di 73 anni. Il 41% sono donne.

L’eziologia dello scompenso è in un terzo circa dei casi ischemica ( il 36% ha avuto un pregresso IMA), in un terzo dei casi è presente una cardiomiopatia (34%) ed in poco meno di un terzo de casi (29%) è presente una valvulopatia. La valvulopatia è quindi frequente in questa popolazione di anziani con scompenso acuto.

Le comorbidità sono frequenti: il 32% dei pazienti è diabetico, il 26% ha una diagnosi di bronco pneumopatia ostruttiva, l’8% ha avuto un ictus in precedenza.

Un terzo dei pazienti sono in fibrillazione atriale (31%).Solo nel 6% dei casi non è presente alcuna comorbidità, mentre il 20% ne ha più di 3.

La funzione renale, di cui sono note le implicazioni prognostiche e terapeutiche nello scompenso acuto risulta un problema rilevante: nella metà dei pazienti la creatinina all’ingresso è superiore a 1.2; il 31% dei pazienti ha una creatinina superiore a 1.5 già all’ingresso, e nella metà di questi la creatinina è superiore a 2. Durante la degenza il problema dell’insufficienza renale è ancora più rilevante: in un caso su 5 la creatinina sale almeno una volta a livelli superiori a 2 (22%), e in un caso su 10 (9%) sopra 3.

Anche l’anemia è rilevante dal punto di vista epidemiologico: la metà dei pazienti risulta anemico all’ingresso secondo la definizione dell’OMS. Il dato ha scarso valore dal punto di vista clinico, ma risulta invece altamente significativo il fatto che nel 15% dei casi il valore di emoglobina all’ingresso è inferiore a 10. Se poi andiamo a valutare in quale percentuale di pazienti ha avuto un valore di emoglobina inferiore a 10 durante la degenza in UTIC il valore sale al 22%: in un paziente su 5 dobbiamo quindi trattare pazienti con anemia importante. Il dato è confermato dal fatto che una trasfusione è stata somministrata nel 6% dei casi.

La popolazione di pazienti sottoposti al ricovero in UTIC per scompenso è quindi in media anziana, con elevata percentuale di diabetici, di cardiopatia ischemica, di valvulopatia, di insufficienza renale ed anemia.

Per quanto riguarda i percorsi organizzativi i pazienti provengono per i 2/3 dal Pronto soccorso (66%), per cui risultano inseriti in un percorso dell’emergenza. Non è infrequente tuttavia che i pazienti provengano da reparti di degenza medica (9%) e cardiologica (9%), cosi come da altro ospedale (8%). .

La durata media del ricovero in UTIC è 4.8 giorni: la stessa durata media del ricovero per cardiopatia ischemica (STEMI come NSTEMI), patologie in cui l’età media è meno elevata.

Le aritmie sono le complicazioni più frequenti: sopraventricolari nel 9% dei casi, ventricolari nel 4%.

Per quanto riguarda le procedure sono stati sottoposti ad ecocardiogramma il 79% dei pazienti; il dato dimostra che l’ecocardiografia è divenuta una procedura quasi routinaria nei pazienti ricoverati. La ventilazione assistita è stata utilizzata nel 15% dei ricoveri: nella maggioranza dei casi si trattava di ventilazione non invasiva mediante BPAP e CPAP (12%), contro un 3% di ventilazione invasiva.

L’ultrafiltrazione, metodica dedicata ai pazienti con scompenso acuto o refrattario, è stata utilizzata nel 3% dei casi. E’ evidente che al momento attuale la metodica è utilizzata in modo sporadico.

Ancora più infrequente appare l’utilizzo del catetere di Swan Ganz, utilizzato solo nell’1% dei casi.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico abbiamo un largo uso di diuretici (nel 95% dei casi). L’utilizzo delle terapie raccomandate per lo scompenso è stato elevato: il 43% dei pazienti sono stati trattati con betabloccanti, il 68% con ACEinbitore o sartanico.

I nitrati ev sono stati utilizzati in poco meno della metà dei casi (42%), gli inotropi nel 19% dei casi. Evidentemente in una percentuale rilevante di pazienti non è stata necessaria una terapia infusionale con vasodilatatori o inotropi, per cui probabilmente la terapia intensiva non era così strettamente necessaria.

Durante la degenza in UTIC la mortalità è stata del 3.7% e anche questo dato depone per una popolazione piuttosto eterogenea, con una fascia a rischio non particolarmente elevato.

Alla dimissione i pazienti vengono trasferiti nei reparti di degenza cardiologica nel 66% dei casi. Il dato che deve far riflettere è che un paziente su 5 (20%) viene dimesso direttamente al domicilio. Nuovamente è probabile che vi sia una percentuale non indifferente di pazienti che non necessitava di una terapia intensiva, oppure che in alcune realtà le difficoltà organizzative e l’assenza di disponibilità ad un trasferimento presso un reparto a minore intensità rendano necessario il prolungamento della degenza in UTIC fino alla dimissione.

In conclusione attualmente il 13% dei pazienti che vengono ricoverati in terapia intensiva cardiologica sono affetti da scompenso cardiaco: la popolazione risulta di età molto avanzata e ad elevata complessità per la presenza di comorbidità quali diabete, BPCO, insufficienza renale e anemia. La mortalità non è elevata. L’utilizzo delle procedure è limitato, se si eccettua l’ecocardiografia, divenuta quasi di routine. La terapia infusionale con nitrati e inotropi è utilizzata in meno della metà dei pazienti. Sono elevati l’utilizzo di betabloccanti, ACEinibitori/sartanici e soprattutto diuretici. La maggior parte dei pazienti viene trasferita in cardiologia alla dimissione, ma una quota non indifferente viene dimessa direttamente al domicilio.