Sindrome Metabolica: tra prevenzione e terapia

 

Vincenzo Capuano, Teodora D’Arminio, Ernesto Capuano, Ilaria Bellacosa, Fabio Franculli.

 

Unità Operativa Complessa di Cardiologia ed UTIC –

Ospedale “G. Fucito” - Mercato S. Severino (SA) – ASL SA 2

 

Discutere gli interventi possibili in tema di prevenzione e terapia nei pazienti con diagnosi di Sindrome Metabolica (SM) implica come prima cosa una riflessione su almeno due punti:

1)                             È necessaria una diagnosi di SM per migliorare i nostri interventi di prevenzione cardiovascolare ?

2)                             In quali fasce della popolazione, ai fini di ottimizzare gli interventi, è particolarmente utile individuare i pazienti con SM ?

 

Il concetto di sindrome metabolica (SM) esiste da oltre ottanta anni. Una costellazione di disturbi metabolici fu descritta per la prima volta da un medico svedese: Kylin (1). Successivamente altri ricercatori (2-5) hanno segnalato una sindrome con un cluster di fattori di rischio per malattie cardiovascolari e numerose definizioni sono state create per indicare questa aggregazione: sindrome X, sindrome dell’insulino-resistenza, sindrome dismetabolica, sindrome plurimetabolica.

Ma se dal punto di vista della ricerca questa particolare aggregazione di fattori ha sempre suscitato interesse, solo da pochi anni la sindrome ha assunto un significato clinico.

In particolare due sono stati i momenti fondamentali perché la SM colpisse l’attenzione dei cardiologi:

-                                                  nel 1988 Reaven, in una lezione magistrale (6), rielabora e spiega in modo convincente i rapporti tra resistenza insulinica, la conseguente iperinsulinemia ed alcuni fattori di rischio cardiovascolare.

-                                                  L’ATP III (7) propone una diagnosi clinica di SM di facile utilizzo: si basa su pochi parametri, facilmente ottenibili.  In tempi brevi questa modalità diagnostica viene accettata di buon grado ed adottato in clinica.

Ma, dopo un ampio interesse da parte della comunità scientifica ed un’ampia letteratura che sottolineava l’importanza di tale diagnosi e produceva un numero enorme di lavori, in particolare sulla prevalenza della sindrome nelle varie comunità, sono venuti i primi commenti che insistevano sulla scarsa utilità di una diagnosi simile. La non utilità di porre diagnosi di SM era avallata da i seguenti motivi:

-                                                  Non vi è consenso nella definizione di SM

-                                                  I criteri individuati e i cut-off sono opinioni di esperti autorevoli ma non sono basati su evidenze certe

-                                                  Il livello cardiovascolare associato alla sindrome non è maggiore della somma dei livelli di rischio associati ai singoli fattori

-                                                  L’approccio terapeutico della sindrome non appare diverso da quello relativo a ciascuno dei singoli fattori

Per cui il suggerimento di vari autori e di importanti società scientifiche (8) era:

-                                                  Gli operatori dovrebbero evitare di etichettare pazienti con il termine di SM

-                                                  Adulti con fattori di rischio cardiovascolare maggiori dovrebbero essere valutati sulla base della presenza degli altri fattori di rischio

-                                                  Tutti i fattori di rischio cardiovascolare dovrebbero essere individuati e trattati in modo aggressivo

 

 

I dubbi si sono accresciuti quando proprio Reaven ha pubblicato una serie di lavori che condividevano l’inutilità di una diagnosi così formulata a scopi terapeutici e preventivi (9-11).

Noi crediamo che l’errore sia quello di voler proporre l’utilità della diagnosi di SM in tutta la popolazione, mentre un’attenta analisi dei lavori epidemiologici e il soffermarci sulla fisiopatologia della sindrome può consentire di individuare i punti forti di una tale diagnosi nelle strategie di prevenzione cardiovascolare e collocarla in ambiti ben definiti.

 

Prevalenza della Sindrome metabolica

Gli studi epidemiologici hanno fornito importanti informazioni che a nostro avviso sono estremamente utili per individuare strategie ad hoc per i pazienti con SM.

Hanno messo in evidenza in particolare:

- Una chiara correlazione tra SM ed eventi cardiovascolari (12,13), ma è altrettanto evidente che tale correlazione diventa statisticamente significativa solo dopo vari anni (14).

- Un’alta prevalenza di SM in tutte le popolazioni con un incremento notevole con l’aumentare dell’età della popolazione.

In particolare in un gruppo rappresentativo della popolazione americana (15) adulta di razza caucasica le singole cinque condizioni tipiche della SM si presentano in modo isolato solo in una minoranza di casi e con l’avanzare dell’età tale evento è sempre più raro.

La ricerca della prevalenza della SM, nell’area mediterranea, rilevata secondo i criteri dell’ATP III, nell’ambito del Progetto VIP (16,17) ha confermato un’alta prevalenza in entrambi i sessi ed in tutte le fasce di età con un incremento notevole con l’avanzare dell’età (si veda tabella 1).

 

Accenni di Fisiopatologia e risvolti pratici

Esistono delle condizioni che favoriscono l’insorgere di resistenza all’insulina (fattori genetici, età, adiposità, sedentarietà, farmaci, alimentazione non idonea) con conseguente incremento dell’insulinemia (iperinsulinemia). Questa condizione, a sua volta, favorisce, negli anni, l’insorgere di più fattori di rischio classici (diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemia) e di  altre condizioni di rischio note (disfunzione endoteliale, stato pro-coaugulativo, infiammazione cronica, etc…).

Inoltre le ricerche sulla SM hanno portato alla nostra attenzione un problema sicuramente importante, quello dell’obesità addominale (ritenuto oggi il fattore determinante della sindrome), che come è noto, si associa, di per sé, ad un incremento di eventi cardiovascolari (18,19) ed attualmente rappresenta nei paesi occidentali il fattore di rischio a maggior peso (prevalenza + rischio relativo) nel determinare l’infarto del miocardio (20)

Proprio queste considerazioni fisiopatologiche, insieme ai dati epidemiologici, ci permettono di collocare il ruolo della ricerca della SM nella popolazione nell’ottica giusta.

Queste considerazioni infatti, mostrano l’utilità di individuare i pazienti con SM o forse più semplicemente con obesità addominale, in prevenzione primaria e nelle fasce di età più giovani, cioè in quelle popolazioni in cui la SM ha una prevalenza bassa ed in cui i fattori di rischio classici non si sono ancora sviluppati. L’individuazione della SM, in queste popolazioni, permette di attuare quei provvedimenti che dovrebbero contrastare lo sviluppo dei fattori di rischio classici e successivamente di aterosclerosi, in altre parole di applicare strategie preventive mirate in fase molto precoce.

 

Terapia

Da tutto ciò si evince che i cardini di un intervento, sia in pazienti con SM senza particolari patologie, sia di pazienti che hanno già sviluppato una patologia specifica (dislipideimia, diabete, ipertensione arteriosa ...) è basata soprattutto su una alimentazione quali-quantitativa corretta e sull’implementazione della attività fisica aerobica.

L’utilità di una dieta idonea e dell’attività fisica è ampiamente condivisa nel trattamento dei singoli fattori di rischio coronarico, e nella riduzione del rischio cardiovascolare globale, ma in pazienti con SM queste abitudini vanno promosse con ancora maggior fermezza.

Ampiamente riconosciuto è il ruolo delle modifiche dello stile di vita che devono essere sempre consigliate ed intraprese al fine di ottenere una riduzione del peso corporeo. La riduzione del peso può, infatti, indurre un calo della concentrazione del colesterolo totale, dei trigliceridi, aumentare la concentrazione del colesterolo HDL, ridurre i valori della pressione arteriosa, della glicemia e dell’insulino-resistenza. Come già detto la riduzione del peso deve essere sempre accompagnata da un incremento dell’attività fisica.

Non esistono, al momento, evidenze scientifiche  sul trattamento integrato della SM, mentre sono frequenti le sollecitazioni per interventi mirati sulle singole componenti della stessa. Per quanto concerne il trattamento dei singoli fattori di rischio sicuramente bisogna riferirsi a quanto riportato dalle linee guida, tenendo in considerazione i dati della letteratura che mostrano dei benefici particolari con l’uso di alcune categorie di farmaci. Questo concetto assume un valore particolare nella cura dell’ipertensione arteriosa. Tutti i farmaci antipertensivi possono essere impiegati al fine di ottenere un buon controllo dei valori pressori, ma con  un impatto diverso sui fattori della SM. Diuretici e beta-bloccanti possono indurre modificazioni sfavorevoli del profilo lipidico e, soprattutto, possono accentuare l’insulino-resistenza. Ciò non avviene con l’utilizzo di alcuni antipertensivi metabolicamente neutri (calcioantagonisti), mentre sembrano particolarmente interessanti gli ACE-inibitori e soprattutto gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II. Numerosi studi di intervento hanno dimostrato che essi sono in grado di ridurre l’incidenza di nuovi casi di diabete mellito (21).

Non possiamo non fare un riferimento particolare ad alcuni farmaci usati per la cura del diabete mellito con la peculiarità di ridurre l’insulino-resistenza, per cui potrebbe essere opportuno un loro impiego già in condizioni di dimostrata iperinsulinemia ed in assenza di diabete mellito manifesto.

L’acarbosio  è un inibitore dell’alfa-glucosidasi che causa inibizione competitiva delle disaccaridasi, ritarda la scissione enzimatica dei polisaccaridi e degli oligosaccaridi nel tratto gastrointestinale superiore; questa attività consente di ridurre l’iperglicemia postprandiale ritardando l’assorbimento del glucosio.

È interessante notare che dopo somministrazione prolungata di acarbosio è possibile osservare una prolungata riduzione dell’insulinemia postprandiale superiore al 30 per cento rispetto ai gruppi di controllo.

Il trattamento con acarbosio ha dimostrato, in pazienti con alterata tolleranza al glucosio, di ridurre il rischio di patologie cardiovascolari ed ipertensione (22).

Un altro farmaco particolarmente interessante è la Metformina il cui effetto è legato a un aumento significativo della sensibilità insulinica in vivo sia a livello periferico che a livello epatico e si realizza in assenza di una stimolazione della secrezione insulinica.

Nel campo della cura del diabete si stanno sviluppando numerose molecole che pare abbiano un ruolo importante nel migliorare il profilo cardiovascolare, ma non crediamo che sia questo il momento per trattarle anche perché molti risultati sembrano contraddittori.

La dislipidemia aterogena, associata alla sindrome metabolica, è caratterizzata da bassi livelli di colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità (HDL-C) ed elevata concentrazione di trigliceridi (TG) e incremento delle LDL piccole e dense.

Non esistono evidenze particolari per trattare i pazienti con SM in modo diverso dagli altri dislipidemici anche se esistono  evidenze sull’efficacia delle statine nei pazienti con PCR elevata e la SM è spesso associato ad un aumento dei marker dell’infiammazione ed in particolare della hsPCR.

Un cenno meritano i Fibrati, che hanno dimostrato una particolare efficacia nel ridurre i livelli di trigliceridi con aumento del colesterolo HDL ed azione meno marcata sul colesterolo-LDL.

In alcuni pazienti potrebbe essere utile l’uso di farmaci per l’obesità (Orlistat e Sibutramina), ma non esistono dati che mostrano dei vantaggi in termine di riduzione di eventi cardiovascolari.

Un discorso a parte merita il Rimonabant, capostipite dei bloccanti i recettori CB1.

L'efficacia e la sicurezza della molecola sono state dimostrate negli studi RIO (23), quattro studi che hanno evidenziato come la molecola sia in grado di ridurre il peso corporeo, la circonferenza vita, l’iperinsulinemia, le LDL piccole e dense ed incrementare le HDL. Tali dati sono stati confermati da altri trial pubblicati recentemente (24).

 

 

Tabella 1 Prevalenza della Sindrome Metabolica (secondo ATP III) nell’ambito del Progetto VIP

 

 

Uomini

Donne

 

Prevalenza SM

Prevalenza SM

15-24 anni

0 %

0.8 %

25-34 anni

9.2 %

12.5 %

35-44 anni

16.7 %

30.8 %

45-54 anni

48.3 %

45 %

55-64 anni

66.7 %

46.7 %

65-74 anni

70 %

40.8 %

> 74 anni

39.2 %

3.3 %

25-74 anni

38.5 %

33 %

 

 

Bibliografia

 

1)                            Kylin E : Studien Hypertonie-Hyperglykamie-Hyperurikamiesindrome. Zentralbalatt fur innere Medizin (44). 1923.

2)                            Welborn T, Brekenridge A, Rubistein A, Dollery C, Fraser T: Serum-insulin in essential hypertension and in peripheral vascular disease. Lancet 1966; I: 1336-7

3)                            Modan M, Halkin H, Almog S, Lusky A, Eshkol A, Shefi M et al.: Hyperinsulinemia. A link between hypertension obesity and glucose intolerance. J Clin Invest 1985; 75: 809-17

4)                            Reboldi GP, Castello CM, Perriello G: La sindrome metabolica: un “cluster” di fattori di rischio. Ital Heart J 2004; 5 (supp 4): 20S-24S

5)                            De Fronzo RA, Ferrannini E: Insulin resistance. A multifaceted syndrome responsible for NIDDM, obesity, hypertension, dyslipidemia and atherosclerotic cardiovascular disease. Diabetes Care 1991; 14: 173-94

6)                            Reaven GM: Batting lecture 1988. Role of insulin resistance in human disease. Diabetes 1988; 37:1595-607

7)                            Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults, Executive Summary of the Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection , Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III). JAMA 2001: 285: 2486-97

8)                            Kahn R, Buse J, Ferrannini E, Stern M: The metabolic syndrome: time for a critical appraisal. Joint statement from the American Diabetes Association and European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 2005; 28: 2289-304

9)                            Reaven GM: The metabolic syndrome: requiescat in pace. Clin Chem 2005; 51:931-8

10)                        Reaven GM: The metabolic syndrome: is this diagnosis necessary? Am J Clin Nutr 2006; 83: 1237-47

11)                        Reaven GM: Why a cluster is truly a cluster: insulin resistance and cardiovascular disease. Clin Chem  2008; 54: 785-787

12)                        Lorenzo C, Williams K, Hunt KJ, Haffner SM: The National Cholesterol Education Program – Adult Treatment Panel III, International Diabetes Federation, and World Health Organization definitions of the metabolic syndrome as predictors of incident cardiovascular disease and diabetes. Diabetes Care 2007; 30: 8-13

13)                        Mathieu P, Pibarot P, Despres JP: Metabolic Sindrome: the ranger signal in atherosclerosis. Vascular health and Management 2006: 285-302

14)                        Sundstrom J, Riserus U,  Byberg L, Zethelius B, et al: Clinical value of the metabolic syndrome for long term prediction of total and cardiovascular mortality: prospective, population based cohort study BMJ 2006; 332: 878-882

15)                        Park YW, Zhu S, Palaniappan L, Heshka S, Carnethon MR, Heymsfield SB: The metabolic syndrome: prevalence and associated risk factor findings in the US population from Third National Health and Nutrition Examination Survey, 1988-1994. Arch Intern Med 2003; 163: 427-36

16)                        Capuano V, D’Arminio T, Bambacaro A, Lanzara C, D’Antonio V: Il Progetto VIP: prevalenza dei fattori di rischio della cardiopatia ischemica in un’area della Campania. Ital Heart J Suppl 2001;2 (11): 294-302

17)                        Capuano V, D’Arminio T, D’Antonio V, Lanzara C, Bambacaro A, Del Regno B, Di Mauro G  (Prefazione di Vanuzzo D): 10 anni di Prevenzione Cardiovascolare in Provincia di Salerno: i dati della fase trasversale del “Progetto VIP”Centro Campano Ricerche. Cava dei Tirreni 2001. Pagg: 1- 67

18)                        Zhang C, Rexrode KM, van Dam RM, Li TY, Hu FB: Abdominal obesity and the risk off all-cause, cardiovascular, and cancer mortality. Sixteen years of follow-up in US women. Circulation 2008; 117: 1658-67

19)                        Balkau B, Deanfield E, Despres JP, Bassand JP, et al: International Day for the Evaluation of Abdominal Obesity (IDEA). A study of waist circumference, Cardiovascular disease, and diabetes mellitus in 168000 primary care patients in 63 countries. Circulation 2007; 116: 1942-51

20)                        Yusuf S, Hawken S, Ôunpuu S, Dans T, Avezum A, Lanas F et al: Effect of potentially modifiable risk factors associated with myocardial infarction in 52 countries – the INTERHEART study: case-control study. Lancet 2004; 364: 937:52

 

21)                        Kaplan NM: Vascular outcome in type 2 diabetes: an ADVANCE?. Lancet 2007; 370:804-805

22)                        Chiasson JL, Josse RG, Gomis R, Hanefeld M, Karasik A, Laasko M: Acarbose treatment and the risk of cardiovascular disease and hypertension in patients with impaired glucose tolerance: the STOP-NIDDM trial. JAMA 2003;290:486-494

23)                        Van Gaal L, Sunyer XP, Despres JP: Efficacy and safety of rimonabant for improvement of multiple cardiometabolic risk factors in overweight/obese patients. Diabetes Care 2008;31(Supp 2):S229-S240

24)                        Nissen SE, Nicholls SJ, Wolski K, Rodes-Cabau J, et al: Effect of Rimonabant on progression of atherosclerosis in patients with abdominal obesity and coronary artery disease. The STRADIVARIUS Randomized Controlled Trial. JAMA 2008;299(13):1547-1560