La valutazione del rischio nel paziente sottoposto a procedura
di cardiologia interventistica ed a chirurgia cardiaca
Cesare
Baldi
S. C. di
Cardiologia
Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia
A.O.” S.
Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”
- SALERNO
Per il cardiologo interventista sta diventando sempre più comune
affrontare condizioni estreme in cui viene chiamato ad
effettuare procedure di interventistica coronarica (PCI) in
pazienti che presentano una combinazione di problemi
particolarmente seri, quali età avanzata, comorbidità multiple,
instabilità emodinamica di grado avanzato o controindicazioni
alla chirurgia coronarica. Come si regola, allo stato attuale,
l’operatore? Nella maggioranza dei casi si orienta a spiegare al
paziente i rischi connessi alla esecuzione (o, alternativamente,
alla non esecuzione) della procedura allo scopo di ottenere un
completo e consapevole consenso informato; ma può anche
riservarsi il diritto di non essere lui ad effettuare la
procedura e chiedere, eventualmente, il parere di un collega più
esperto. In realtà bisogna chiedersi se esista una guida
consolidata al delicato processo di presa di decisione in queste
situazioni estreme.
I cardiochirurghi sono da tempo abituati ad utilizzare nella
loro abituale pratica clinica, ed in particolare nelle
condizioni critiche,
sistemi di valutazione a punti del rischio
(Risk Scoring System- RSS) come il Parsonnet o l’EuroSCORE, allo
scopo da supportare in maniera obbiettiva il processo
decisionale. Le limitazioni nella accuratezza della predizione
del rischio sono note per entrambi i sistemi; essi offrono,
tuttavia, uno strumento comune e condiviso di definizione
terminologica che garantisce un qualche grado di precisione
nell’assistere il chirurgo, il paziente e la sua famiglia nel
momento di prendere la difficile decisione di effettuare un
intervento a cuore aperto. Esistono analoghi RSS per la PCI e,
se esistono, come mai essi non sono correntemente utilizzati?
Forse perché manca la determinazione (o l’incentivo) ad
utililizzarli?
ü
Come nasce
un sistema di valutazione a punti del rischio?
Nella seconda metà degli anni 90
sono stati sviluppati numerosi modelli statistici destinati a
predire gli esiti avversi della PCI come la morte e le
complicanze post-procedurali; ma, questi modelli , basati su
tecniche di regressione logistica applicate ai fattori di
rischio preprocedurali, non risultano di semplice applicazione e
richiedono l’uso del computer, per la implementazione delle loro
complesse formule. Per semplificare il processo di predizione
del rischio, sono stati proposti dei sistemi di valutazione a
punti (RSS) che prevedono la assegnazione ad ogni fattore di
rischio di un determinato punteggio, proporzionato al peso
intrinseco che quel fattore di rischio mostra all’interno del
modello di regressione logistica dal quale il sistema deriva: la
somma dei punti corrispondenti ai diversi fattori di rischio a
cui è esposto il paziente candidato alla PCI totalizza il
punteggio finale del rischio del paziente; ovviamente, ad ogni
punteggio totale del rischio corrisponde un rischio atteso di
esito avverso utilizzabile per orientare la decisione clinica
finale.
Nella fase iniziale di questo
percorso metodologico, la maggior parte di questi RSS è stata
sviluppata a partire dai database provenienti da singoli centri
o da raggruppamenti comunque ristretti di più ospedali, cosa che
inevitabilmente veniva a confinare la accuratezza della
predizione del rischio alle popolazioni di pazienti da cui lo
stesso RSS derivava. La ipotesi di lavoro che ha ispirato la
progettazione degli RSS più robusti è stata innanzitutto di
garantire una adeguata generalizzabilità dello
strumento attraverso la derivazione da popolazione molto ampie e
la necessità di validare il grado di precisione dello strumento,
sia pure potente e affidabile all’interno della popolazione di
provenienza, nell’ambito di una popolazione, altrettanto ampia e
variegata, ma profondamente diversa.
Queste considerazioni di ordine
logico ci consentono di affrontare alcune spinose questioni di
ordine statistico che vanno però conosciute, sia pure per
grandi linee, per familiarizzare con le caratteristiche che un
efficiente RSS deve possedere. Un buon sistema di
valutazione a punti del rischio deve innanzitutto
essere accurato, nel senso che deve evitare
errori di sottostima o di sovrastima del rischio: se il rischio
medio di sviluppare un evento all’interno di una popolazione è
del 5%, allora si potrebbe essere accurati assegnando un rischio
atteso del 5% ad ogni paziente, senza però garantire una
adeguata precisione dal momento che si arriva ad assegnare la
stessa prognosi a pazienti di differente profilo di rischio. Un
buon RSS deve essere in possesso anche di una adeguata
capacità discriminativa che correla con la precisione
con cui risulta in grado di differenziare i pazienti a basso
rischio da quelli ad alto rischio. La regressione logistica
è il modello statistico standard che viene utilizzato per
esprimere la probabilità a verificarsi di un evento come
funzione lineare di una variabile indipendente (cioè il fattore
di rischio); questo modello produce gli odds ratio come misura
della associazione tra fattore di rischio ed evento. Alla
costruzione del modello di regressione logistica concorreranno i
fattori di rischio evidenti alla esperienza clinica senza alcun
riferimento alla conoscenza della loro relazione con gli esiti
del data set di partenza (generalmente viene raccomandato di
esplorare un numero totale di fattori di rischio non > 10% di
quelli presenti nel data set). La capacità discriminativa di un
modello viene valutata attraverso la statistica c (c da
concordanza), che, con l’impiego delle aree delle curve ROC,
esprime la proporzione di volte in cui il modello riesce ad
aggiudicare correttamente il rischio in una coppia di soggetti.
Una volta che il modello finale è stato sviluppato, bisogna
passare ad utilizzare il test di Hosmer-Lemeshow allo
scopo di determinare se il modello riflette in maniera adeguata
i dati osservati: il test consiste nel dividere tutto il
campione in gruppi, in genere in decili, omogenei per valori
attesi di rischio simili tra loro e, quindi, nel confrontare
all’interno di questi gruppi i rapporti tra eventi attesi ed
eventi osservati. Se il test verifica la globale concordanza tra
eventi attesi ed eventi osservati, allora esso mostrerà una
adeguata capacità di calibrazione. Alla fine, la
configurazione definitiva del RSS incorporerà i diversi fattori
di rischio, scelti in quanto associati in maniera significativa
agli eventi osservati, come numeri interi che, sommati tra loro,
realizzeranno un punteggio numerico che identifica la fascia di
rischio di sviluppare eventi a cui appartiene il paziente; tutto
ciò rende il lavoro del clinico molto più semplice senza
sacrificarne la attendibilità perché il numero intero connesso
al fattore di rischio esprime matematicamente, sia pure in
maniera approssimata, il coefficiente dell’odds ratio ricavato
dal modello di regressione logistica.
ü
Quali sono i
modelli di valutazione a punti del rischio in pazienti
sottoposti a PCI?
I modelli attualmente esistenti
per la predizione del rischio di morte o di complicazioni dopo
PCI sono numerosi, ma vanno ricordati solo i più rilevanti,
perché costruiti con procedure che hanno rigorosamente
rispettato le regole di metodologia statistica prima discusse:
1)
New York (NY) State model, 2) American College of Cardiology–National
Cardiovascular Data Registry (ACC-NCDR); 3) Northern New England
(NNE); 4) Michigan Consortium; 5) William Beaumont Hospital; 6)
Cleveland Clinic; 7) Mayo Clinic; 8) Brigham and Women’s
Hospital.
Tutti questi modelli sono stati sviluppati per predire la
mortalità intraospedaliera e gli ultimi tre anche per predire il
rischio di complicanze (IM, stroke e ricorso a BPAC).
Le variabili inserite come fattori di rischio in tutti questi
RSS appartengono in realtà a categorie ampie e ben note alla
pratica clinica:
§
Età:
l’età crescente rappresenta un importante fattore di rischio per
le maggiori complicanze cardiovascolari in relazione alla
ridotta riserva di funzione cardiaca, alla presenza frequente di
malattia multivasale ed alla maggiore prevalenza di comorbidità;
nel risk score della Mayo Clinic la probabilità di un
ultratrottantenne a sviluppare complicanze è almeno sei volte
superiore a quella di pazienti di età inferiore. Peraltro, la
età avanzata rappresenta una probabilità incrementale di morte
in tutti modelli, con un rischio atteso di almeno tre volte
superiore in un ottuagenario rispetto ad un paziente in una
fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni.
§
Funzione ventricolare sinistra:
questo fattore viene incorporato nei diversi modelli di rischio
con diversi parametri di valutazione; nel modello dello stato di
NY, frazione di eiezione ridotta e scompenso cardiaco vengono
considerati predittori indipendenti morte; nel modello della
Mayo Clinic vengono presi in esame, ai fini della funzione VSin,
i pazienti con classe NYHA =/ > 3, laddove nel modello NNE il
valore di FE < 40% è in grado di identificare complicazioni.
§
Shock cardiogeno:
si tratta del predittore più importante di complicanze
postprocedurali: nei modelli della Cleveland Clinic e della Mayo
Clinic valori di OR di complicanze intraospedaliere per i
pazienti in shock oscillavano tra 12.7 e 4.95, rispettivamente.
Il rischio di morte si aggirava tra il 28% nel modello ACC-NCDR
ed il 33% nel modello del Michigan Consortium.
§
Presentazione in condizioni di emergenza:
infarto miocardico acuto, arresto cardiaco ed instabilità
emodinamica sono variabili che condizionano pesantemente l’esito
della procedura; anche l’impiego della contropulsazone aortica
nel corso di una procedura effettuata in urgenza costituisce un
marcatore significativo del rischio di morte.
§
Caratteristiche angiografiche di alto rischio:
malattia multivasale, malattia del tronco comune, presenza di
trombo, lesione di tipo C, sec la classificazione ACC/AHA, non
sono omogeneamente rappresentate in tutti i modelli di rischio.
§
Insufficienza renale:
nonostante le differenti definizioni adottate per individuare la
presenza prePCI di disfunzione renale, essa rimane un importante
predittore di complicanze postprocedurali: nel modello del
Michigan Consortium l’OR di mortalità nei pazienti candidati a
PCI con una creatininemia > 1.5 mg/dl è pari a 5.5.
§
Vasculopatia periferica:
si tratta di un fattore di rischio che identifica, se presente,
un quadro di coronaropatia mediamente più avanzato sia in
termini di severità che di diffusione delle lesioni: nel modello
dello stato di NY l’OR per il rischio di morte nei pazienti con
malattia dell’asse femoro-popliteo è pari a 1.77.
Altri predittori ben noti, come il diabete mellito ed il sesso
femminile, sono stati incorporati in alcuni modelli ma solo in
una minoranza di essi, non riuscendo in quelli in cui non sono
presenti a mostrare un peso prognostico sufficiente; altri
predittori, che hanno sollevato un interesse epidemiologico per
il loro impatto prognostico crescente , come la leucocitosi, la
anemia e la presenza di marker infiammatori, non sono
assolutamente contenuti nei correnti RSS.
ü
Quale
modello scegliere nella pratica clinica?
La performance di questi modelli, esaminati nella loro
globalità, appare ancora pesantemente condizionata da numerose
limitazioni: le variabili incluse nei differenti modelli sono
state spesso incorporate con definizioni differenti ; la
derivazione dei singoli modelli da database di istituzioni
individuali o da consorzi ristretti di più istituzioni
rappresenta un ostacolo concreto ad una ampia generalizzabilità
dello strumento; in alcuni modelli esiti alternativi alla
mortalità non sono stati calcolati; il volume di attività,
espresso in termini di PTCA eseguite dal singolo operatore e
dalla singola istituzione, non è stato testato; la
classificazione ACC/AHA della gravità angiografica delle lesioni
mostra una capacità discriminativa modesta; gli eventi a bassa
incidenza richiederebbero la estrazione dei dati da parte di
dataset più ampi; gli intervalli di tempo, spesso troppo
estesi, tra la acquisizione dei dati e la costruzione del
modello rappresentano un forte ostacolo alla reale applicabilità
del modello alla pratica clinica corrente; i criteri più recenti
di definizione di infarto miocardico non sono disponibili. Tutti
questi modelli, cionondimeno, mostrano una capacità
discriminativa con la statistica c che va dal valore di 0.782
nel modello della Mayo Clinic a quello di 0.892 nel modello
dello stato di NY, anche se i modelli che predicono il rischio
di morte appaiono generalmente più robusti dei modelli che
predicono il rischio di complicanze postprocedurali.
La previsione della probabilità di un evento non può essere
assimilata alla lettura nitida del futuro nella sfera di
cristallo: la maggioranza dei pazienti ad alto rischio
verosimilmente non svilupperà alcuna complicanza nel senso che
il vero obbiettivo di un modello di rischio consiste nello
stratificare correttamente i pazienti in categorie di rischio
basso, moderato ed elevato. In altri termini, un modello di
rischio efficiente è in grado di predire gli eventi avversi
postprocedurali nella media dei pazienti, ma non è costruito per
definire con assoluta precisione il rischio del singolo
paziente; inoltre il paziente singolo può presentare altri
problemi medici rilevanti ma epidemiologicamente marginali che
non sono stati incorporati nel modello di rischio (si pensi al
coma postanossico successivo ad un arresto cardiaco prolungato o
alla diagnosi recente di leucemia). In definitiva, uno score
di rischio dovrebbe essere utilizzato per guidare il cardiologo
ed il paziente a prendere una decisione consapevole e non a
prevedere in anticipo l’esito specifico del singolo paziente.
Tenendo in mente tutte queste considerazioni, appare legittimo
selezionare nella moltitudine dei RSS disponibili , i due risk
score che sembrano mostrare i requisiti di maggiore
efficienza: il New York risk score e il Mayo Clinic risk score.
Il primo è stato costruito su un data set consistente che si
riferisce ad un numero totale elevatissimo di variabili connesse
ad oltre 45000 PCI effettuate in 46 ospedali diversi dello stato
di New York nel 2002; il modello di regressione logistica ha
considerato numerosi fattori di rischio dei quali solo nove sono
entrati nel sistema di valutazione con pesi variabili da 1 a 9 e
con punteggio totale di rischio (inteso come somma dei punteggi
individuali di ognuna delle nove variabili) oscillante tra 0 e
40. I punteggi assegnati alla variabile età sono 1 per la fascia
di età compresa tra 56 e 64 anni, 3 per la fascia tra 65 e 74
anni ed infine 5 sopra i 75 anni; lo shock cardiogeno totalizza
da solo 5 punti; l’infarto miocardico realizza un punteggio di 2
se la PCI viene effettuata al di là dei 14 giorni dall’evento, e
un punteggio pari a 9 nel casi di procedura effettuata entro le
24 ore a partire da una occlusione trombotica di stent.
Nel 2007 Singh e coll hanno messo a punto un modello di rischio
innovativo tenendo presente alcuni problemi ancora evidenti nei
modelli di rischio correntemente utilizzati ed in particolare:
la impossibilità di utilizzare, per la stratificazione prima
della procedura, i modelli correnti a causa della necessità di
conoscere alcune variabili angiografiche incorporate in esso; la
restrizione di alcuni modelli alla predizione del rischio di
morte e non del rischio di complicanze; l’impiego di variabili
definite sulla base di giudizi soggettivi e non di valutazioni
quantitative. Il nuovo modello di rischio della Mayo Clinic è
stato pertanto progettato con il dichiarato obbiettivo di poter
disporre nella pratica quotidiana di uno strumento aggiornato in
grado di definire il rischio prima della esecuzione della
procedura sulla base di dati di natura esclusivamente
clinica e non invasiva. Un esempio della modalità di calcolo
dello score di rischio di morte è rappresentato nella fig 1
nella quale compaiono 7 variabili, 3 continue a cui assegnare un
punteggio determinabile con l’aiuto del nomogramma, e 4
categoriche con punteggio preassegnato da aggiungere alla somma
finale se presenti nel paziente in esame.

Fig1: Modello di rischio della Mayo Clinic per la predizione
della morte intraospedaliera (estratto da Singh M: Bedside
estimation of risk from PCI - Mayo Clin Proc 2007;82:701-708)
Recentemente la potenza predittiva del Mayo Clinic risk score è
stata confermata attraverso un processo di validazione esterna
grazie al quale esso è stato applicato in un popolazione diversa
da quella da cui è stato derivato e di proporzioni molto più
ampie, il National Cardiovascular Data Registry contenente i
dati relativi alle procedure effettuate in 309.351 pazienti tra
il 2004 e il 2006; il modello Mayo ricalibrato dopo il processo
di validazione ha mostrato una capacità discriminativa
eccellente a conferma della possibilità di utilizzo di uno
strumento predittivo in fase preprocedurale, basato su variabili
cliniche e non angiografiche o intraprocedurali, che potrebbe
rappresentare la piattaforma di dialogo oggettivo nel colloquio
con il paziente e con i suoi familiari e venire quindi
incorporato nel processo di acquisizione del consenso informato.
ü
A cosa serve
la implementazione di un modello per la predizione del rischio
connesso a PCI?
Perché non siamo già in grado di effettuare una valutazione
formale del rischio connesso a PCI? Forse perché siamo pigri, o
perché siamo soddisfatti dei nostri risultati, o, ancora, perché
riteniamo che si tratti di strumenti troppo complessi per poter
essere applicati nella pratica clinica? La verità è che esistono
ormai delle forti pressioni che si ribaltano sul cardiologo
interventista: basti pensare alla recente pubblicazione sui
giornali, non solo statunitensi ma anche britannici, dei dati
relativi alla mortalità dei singoli cardiochirurghi in un trend
che verosimilmente si allargherà dall’ area della chirurgia
cardiaca a quella della interventistica coronarica. In questa
prospettiva il risk score può diventare uno strumento di
autotutela del cardiologo interventista ed essere utilizzato sia
per neutralizzare l’impatto dei casi di maggiore complessità ( e
con tassi di maggiore mortalità) negli ospedali terziari, che
altrimenti rimarrebbero penalizzati sotto il peso di risultati
apparentemente inferiori se non interpretati alla luce del più
alto profilo di rischio dei pazienti, sia per documentare che i
rischi di una procedura potenzialmente complessa sono stati
discussi preliminarmente con il paziente.
ü
I problemi
connessi con l’impiego dei sistemi di valutazione del rischio in
chirurgia cardiaca
L’utilizzo di un sistema per la stratificazione del rischio
chirurgico rappresenta un utile strumento per uniformare la
valutazione dei pazienti, basato non su impressioni cliniche
soggettive ma su parametri condivisi e misurabili. Questo
consente di fornire, al paziente, un’adeguata informazione sul
rischio chirurgico attraverso il confronto oggettivo dei dati di
casistiche diverse, e, al singolo centro, di verificare se i
risultati ottenuti al proprio interno rientrino nei valori di
riferimento.
Nelle ultime due decadi sono stati sviluppati numerosi RSS
applicati alla chirurgia cardiaca; il primo modello di
predizione del rischio è stato il Parsonnet score, utilizzato
sia dalle istituzioni ospedaliere che dai singoli operatori per
confrontare con un benchmark gli esiti della attività chirurgica
aggiustata per il profilo di rischio dei pazienti operati, ma
esso mostrò un significativo difetto di sovrastima della
mortalità . Successivamente, nel 1999, fu introdotto l’EuroSCORE
additivo, che assegna un punteggio espresso in numeri interi
ad ognuno dei 17 fattori di rischio identificati come predittori
di mortalità operatoria per andare a totalizzare un punteggio
finale che identifica il rischio previsto di morte
intraospedaliera. Questo modello è stato sottoposto a numerose
validazioni, anche all’esterno della comunità dei
cardiochirurghi europei da cui il modello stesso è stato
derivato, in particolare negli Stati Uniti ed in Australia: esso
ha mostrato, nella popolazione globale dei pazienti candidati a
chirurgia coronarica ed a chirurgia valvolare, una ragionevole
capacità predittiva complessiva dei risultati, denunciando
però, nelle procedure coronariche, una sostanziale sovrastima
del rischio atteso rispetto al rischio realmente osservato;
inoltre la capacità predittiva è risultata scadente nel
sottogruppo dei pazienti ad alto rischio mentre la mortalità
della chirurgia di combinazione valvolare e coronarica è
risultata sottostimata. Più recentemente, a partire dagli stessi
fattori di rischio ma con un algoritmo più complesso che
richiede l’uso del computer per la introduzione diretta dei
coefficienti derivati dalla regressione logistica che è alla
base del modello, è stata disegnata una configurazione
innovativa di questo modello, l’EuroSCORE logistico, a
cui è stato attribuito un potere predittivo della mortalità
operatoria più elevato di quello dell’EuroSCORE additivo.
Effettivamente esso sembra comportarsi meglio nella fascia dei
pazienti ad alto rischio, ma indagini di validazione effettuate
in diversi contesti istituzionali ne hanno nuovamente
sottolineato il sostanziale difetto di sovrastima del rischio e
ne hanno suggerito una ricalibrazione nelle singole istituzioni
e nelle singole fasce di rischio in cui venga utilizzato.
Allo stato attuale, nonostante la diffusione di un numero
elevato di RSS in chirurgia cardiaca e la notevole esperienza
accumulata con alcuni di essi, rimane difficile stratificare il
rischio del singolo paziente, soprattutto di quello ad alto
rischio; tutto ciò probabilmente continuerà ad avere un impatto
di rilevante, e disturbante, incertezza, nella pratica clinica
comune nella quale sempre più spesso, in relazione ai
promettenti risultati della Cardiologia Interventistica nel
trattamento percutaneo della stenosi aortica critica o della
malattia del tronco comune, saremo chiamati a prendere in
considerazione, nel paziente ad altissimo rischio chirurgico,
una opzione terapeutica alternativa a quella chirurgica
tradizionale.
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