Chiusura percutanea
di leak paravalvolare mitralico
Roberto Violini, Edoardo Pucci, Alberta Cifarelli
U.O. Cardiologia Interventistica
Azienda Ospedaliera S.Camillo Forlanini – Roma
Il leak paravalvolare e’
costituito dalla deiescenza parziale di una protesi valvolare:
e’ un evento di non raro riscontro all’esame ecocardiografico,
ma esso assume raramente significativita’ clinica (2 - 3% dei
pazienti portatori di protesi valvolare ).
E’ causato o da problemi
tecnici, determinati soprattutto dalle condizioni anatomiche
dell’anulus (calcificazioni) o da endocardite batterica su
protesi. Si verifica piu’ frequentemente sulle protesi in
posizione mitralica che su quelle in posizione aortica;
clinicamente determina rigurgito valvolare, talvolta importante
con le sue conseguenze emodinamiche; spesso si associa ad
emolisi con anemia severa.
La sua soluzione e’ sicuramente
chirurgica con l’intervento di riparazione o di sostituzione
della protesi.
Poiche’ le recidive sono
frequenti, non raramente il leak si verifica in pazienti gia’ piu’
volte operati, anziani e/o con patologie associate, che quindi
presentano un rischio chirurgico molto elevato. Per tale motivo
si sono sviluppate alternative interventistiche con l’impianto
di device per occludere il tramite presente tra protesi ed
anulus valvolare.
Poiche’ non e’ stato creato
alcun device dedicato, si utilizzano approcci e soluzioni molto
differenti: per l’aorta si usa solitamente l’approccio
retrogrado dall’aorta al ventricolo sinistro; l’approccio
retrogrado dal ventricolo all’atrio sinistro e’ invece raramente
utilizzato per la mitrale, per la quale si preferisce un
approccio anterogrado, mediante cateterismo transettale. I
device applicati sono diversi: coil, Amplatzer per dotto o
difetto interventricolare, plug vascolari.
In letteratura sono pubblicati
una trentina di case report ed alcune casistiche di una decina
di casi ciascuna, trattati nello stesso centro.
Riportiamo dettagliatamente un
caso di leak paravalvolare mitralico, in una paziente di 63
anni, operata tre volte di sostituzione valvolare e portatrice
di pacemaker biventricolare. Presentava sulla valvola bidisco un
ampio leak in posizione parasettale sull’anulus notevolmente
calcifico; clinicamente si rilevava importante emolisi e
conseguente anemia (Hb 8 g %), resistente alle trasfusioni. I
chirurghi avevano rifiutato l’ulteriore intervento giudicandolo
a rischio eccessivamente elevato (>20%).
La procedura e’ stata condotta
in due tempi, in anestesia locale, con cateterismo venoso dalla
v. femorale destra ed approccio anterogrado transettale.
Con la nostra tecnica abituale,
che utilizza la proiezione laterale ed il tatuaggio del setto
interatriale con mezzo di contrasto per evitare i rischi della
puntura dell’aorta, abbiamo effettuato il cateterismo
transettale con ago di Brockenborough, posizionando
un’introduttore di Mullins 7 F in atrio sinistro. Attraverso
questo abbiamo introdotto in atrio sinistro cateteri di curve
differenti per riuscire a sondare con una guida idrofilica
0.035” il tramite del leak. Abbiamo ottenuto il risultato voluto
con un catetere diagnostico per coronarografia dell’a. mammaria
interna 5F. Una volta attraversato con il filo guida il leak, e’
stato avanzato il catetere e quando questo e’ stato stabilizzato
in ventricolo sinistro, la guida idrofilica e’ stata sostituita
con una guida angiografica teflonata superstiff 0,035” , lunga
260 cm. E’ stato cosi’ ritirato il catetere ed avanzato
l’introduttore di Amplatzer 6F , che non e’ stato possibile
posizionare nel ventricolo sinistro poiche’ veniva bloccato a
livello dell’anello valvolare molto calcifico. Si e’ quindi
utilizzato un’introduttore Cordis armato 6 F che e’ invece
avanzato fino al ventricolo sinistro; al suo interno e’ stato
avanzato un device per dotto arterioso Amplazter PDA 6-8 mm.
Tale device e’ costruito con una rete di filo di nitol (nichel
+ titanio), per cui puo’ essere inserito in un’ introduttore e,
all’uscita da questo, per l’elevata memoria di forma del nitinol,
riacquisisce la sua forma originaria, paragonabile ad un fungo o
ad un tappo di champagne. La testa del device e’ ovviamente
posizionata nel ventricolo sinistro, poiche’ il rigurgito
avviene dal ventricolo all’atrio sinistro. Il device e’ stato
piu’ volte riposizionato, accertandosi che non interferisse con
il movimento dei dischi della valvola e che limitasse il piu’
possibile il rigurgito valvolare.
Pur evidenziando al monitoraggio
ecocardiografico la persistenza di un rigurgito si e’ conclusa
la procedura per valutarne a distanza gli effetti. Al follow up
del giorno successivo ed a 2 mesi, persisteva un rigurgito di
grado moderato, ancora accompagnato da emolisi ed anemia.
Pertanto con la stessa tecnica, con una seconda procedura, e’
stato posizionato, lateralmente al precedente, .un altro device
di ugual misura.
A distanza di tre mesi ed ora al
follow up di un anno, la paziente presenta minima insufficienza
mitralica, con lievissima emolisi ed emoglobina persistentemente
superiore a 10.5 g %.
Il ns caso clinico conferma la
fattibilita’ ed il successo dell’approccio percutaneo, che
rimane pero’ indicato solo nei pazienti a rischio chirurgico
molto elevato.
Bibliografia essenziale
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