L’ANGIOPLASTICA PRIMARIA
Fortunato Scotto di Uccio
Cardiologia Interventistica ed UTIC, AO Rummo – Benevento
Il trattamento dell’infarto
miocardico acuto con sopralivellamento del tratto ST (STEMI) è
la rapida e piena riperfusione, cioè il completo ripristino
della circolazione coronarica nel territorio ove è avvenuta
l’occlusione. Assunto fondamentale è il concetto che la
riperfusione deve essere tempestiva, poiché già solo dopo 30
minuti di completa mancanza di flusso, si realizza un danno
miocardico irreversibile e persistente. Sono oggi disponibili
due distinti approcci per la riperfusione, il primo attraverso
l’uso di farmaci, i fibrinolitici, il secondo meccanico con
l’angioplastica (PCI) primaria. La prima tecnica è facilmente
disponibile ovunque e può essere somministrata da chiunque con
estrema rapidità, la PCI primaria invece può essere realizzata
solo in centri dotati di di un laboratorio di emodinamica
interventistica ad elevata attività e di operatori esperti. In
studi randomizzati la PCI primaria ha offerto risultati
nettamente superiori alla fibrinolisi, determinando, una
riperfusione più efficace e persistente, cui consegue una
maggiore riduzione della mortalità, del re-infarto, dello stroke
e dell’emorragia intracranica. Nonostante questi vantaggi
clinici, la PCI primaria ha implicite difficoltà
logistico-organizzative che ne impediscono l’applicazione
estensiva. Per questo motivo, le linee guida europee ed
americane, la indicano come trattamento di scelta nello STEMI,
solo se può essere praticata entro 90 minuti dal primo contatto
medico, in centri ad alto volume e da personale esperto.
Purtroppo la diffusione dei centri è insufficiente e solo in
pochi di questi può essere praticata secondo tali criteri. In
caso contrario, l’eventuale ritardo alla riapertura del “vaso
colpevole”, determinato dall’organizzazione della PCI primaria,
può ridurre gran parte dei vantaggi di questo approccio
terapeutico rispetto alla trombolisi. Pertanto al fine di
ottimizzare le risorse disponibili all’efficacia del trattamento
diventa fondamentale la stratificazione del rischio del paziente
con presunto infarto miocardico acuto con sopralivellamento del
tratto ST. Le linee guida europee ed americane e il Documento di
Consenso ANMCO-SIC, fanno presente che i criteri per la
stratificazione prognostica del paziente con STEMI sono: età >
75 anni; pressione arteriosa sistolica < 100 mmHg e frequenza
cardiaca > 100 b/min; TIMI risk score ≥ 5; infarto
anteriore/esteso (> 4 derivazioni con sopraslivellamento del
tratto ST); precedente by-pass aortocoronarico. In più potremmo
aggiungere che la PCI primaria è fortemente indicata in pazienti
nei quali vi sia una controindicazione assoluta alla fibrinolisi
o un fallimento della stessa, in presenza di shock cardiogeno,
se il tempo dall’esordio dei sintomi è > a 3 ore, se il ritardo
prevedibile è < a 90 min.
I risultati clinici della PCI
primaria dipendono dalla interazioni di più fattori, ovvero
dalla interazione di tre fattori: organizzativo, paziente (età,
fattori di rischio, presentazione clinica, patologie
concomitanti, etc), procedurale (correlato alla tecnica
interventistica). Tra le “complicanze”che si possono verificare
in corso di PCI primaria, quella che merita particolare
considerazione è il fenomeno del “no-reflow”. E’ ampiamente
documentato che vi sia una associazione tra un tasso mortalità
progressivamente minore e la presenza di flusso anterogrado
progressivamente più rapido (flusso TIMI), con una mortalità del
3,7% in pazienti con flusso TIMI 3 a fronte di una mortalità del
9,3% in pazienti con flusso TIMI 0-1. Sebbene il ristabilimento
precoce di un rapido e completo flusso nel ramo coronarico
epicardio sia una condizione necessaria, è, tuttavia
documentato, che tale condizione non è sufficiente a garantire
una prognosi ottimale dopo terapia reperfusiva. Alla
riperfusione del vaso epicardico deve necessariamente
corrispondere una riperfusione del microcircolo e, di
conseguenza, del tessuto miocardico sottoposto ad ischemia
miocardica prolungata. Con l’utilizzo dell’ecocardiocontrastografia
è stata dimostrata la presenza di “no-reflow” microvascolare in
¼ dei pazienti con STEMI, a fronte di flusso TIMI 3 nel ramo
epicardico colpevole della PCI primaria. Una tecnica di
misurazione meno sofisticata come il grado di risoluzione del
sopraslivellamento del tratto ST nell’ECG a 12 derivazioni è da
lungo tempo utilizzata per la valutazione non invasiva del
successo delle varie strategie di riperfusione. A 90-180 minuti
dalla somministrazione della terapia fibrinolitica, la completa
risoluzione dell’ST si associa ad una probabilità estremamente
elevata (> 80%) di presenza di flusso TIMI 3 nella coronaria
colpevole. Al contrario, l’assenza di risoluzione del tratto ST
non si associa ad un tasso particolarmente elevato di occlusione
dell’arteria colpevole, poiché è documentato che circa il 50% di
queste ultime sono pervie all’angiografia precoce. I pazienti
che a fronte di u flusso adeguato nell’arteria coronarica
colpevole, presentano dopo la terapia riperfusiva un ST
persistentemente sopraslivellato rimangono ad alto rischio di
morte e scompenso. La presenza di “danno microvascolare” in
corso di STEMI con flusso TIMI 3 dopo riperfusione (sia
meccanica che farmacologia) è prognosticamente sfavorevole e non
molto dissimile dalla sorte dei pazienti con arteria
“colpevole”persistentemente occlusa, ed è stato ampiamente
documentato con diverse tecniche di imaging, tra cui il Doppler
intracoronarico, il “grading” di perfusione agiografico (miocardial
blush), la scintigrafia.
I meccanismi alla base del
fenomeno del “no-reflow” dopo ripristino di flusso TIMI 3 nella
coronaria colpevole sono sconosciuti e la loro origine è
probabilmente multifattoriale. Primo, la integrità delle cellule
endoteliali è fondamentale per una normale funzione vasale ed il
fenomeno “dell’ischemia-riperfusione” si accompagna a
disfunzione edoteliale. Essa probabilmente determina un flusso
microvascolare ridotto a causa di una relativa deficienza di
vasodilatatori endotelio-derivati, come ossido nitroso, ed una
eccessiva produzione di vasocostrittori, come endotelina e i
radicali liberi dell’ossigeno. Inoltre è presente un
“milieu”procoagulante e proinfiammatorio causato
dall’attivazione delle piastrine, della cascata coagulativa, dei
neutrofili e delle molecole di adesione che sono dei
riconosciuti mediatori del danno miocardico. In aggiunta,
l’edema cellulare, delle cellule edoteliali e dei miociti, ed
interstiziale può condizionare una forma di occlusione meccanica
dei capillari.
Secondo, lo stress ossidativi,
risultante dalla eccessiva produzione di radicali liberi
dell’ossigeno associata ad una riduzione delle attività delle
vie endogene di rimozione degli stessi radicali liberi
(superossido dismutasi) raprresentano un altro importante
meccanismo del danno miocardico. Terzo,
“l’ischemia-riperfusione” porta ad aumento del calcio
intramiocardico a causa di una alterata permeabilità del
sarcolemma; ciò porta all’attivazione di proteasi
calcio-dipendenti che determinano un danno a carico delle
miofibrille. Quarta ed ultima causa, ma non ultima per
importanza, la microembolizzazione di materiale aterotrombotico
conseguente alla terapia riperfusiva, che può risultare
nell’occlusione meccanica intravasale del microcircolo. Tale
meccanismo può determinarsi più frequentemente a seguito di una
terapia riperfusiva di tipo meccanico. La malperfusione
conseguente ha inoltre un importante impatto clinico essendo
associata ad una maggiore estensione dell’area infartuata, ad
una più severa disfunzione ventricolare sinistra e, infine, ad
una prognosi peggiore rispetto ai pazienti con adeguata
perfusione miocardica.
A tuttoggi, la prevenzione del
danno microvascolare è la più efficace strategia della
“malperfusione” miocardica in corso di STEMI, ed è inversamente
correlata al tempo trascorso dall’insorgenza dei sintomi.
Attualmente tale prevenzione viene effettuata attraverso
l’utilizzo precoce di farmaci antiaggreganti (aspirina,
clopidogrel ed inibitori della glicoproteina IIb/IIIa) ed
anticoagulanti (eparina frazionata o non frazionata), mentre
l’utilizzo di sistemi di protezione periferica del microcircolo
intracoronarici, attualmente, non sembrano apportare ulteriori
benefici.
BIBLIOGRAFIA
1)
Boersma E, Mercato
N, Poldermans D, Gardien M, Vos J, Simoons ML. Acute
myocardial infarction. Lancet 2003; 361: 847-858.
2)
Keeley
EC, Boura JA, Grines CL.
Primary angioplasty
versus intravenous thrombolytic therapy for acute myocardial
infarction: a quantitative review of 23 randomised trials.
Lancet 2003: 361: 13-20.
3)
Van de
Werf F, Ardissino D, Betriu A, et al.
Management of acute
myocardial infarction in patients presenting with ST-segment
elevation. The Task Force on the Management of Acute Myocardial
Infarction of the European Society of Cardiology.
Eur Heart J 2003;
24:28-66.
4)
Silber
S, Albertsson P, Avilès FF, et al.
Guidelines for
Percutaneous Coronary Interventions. The Task Force for
Percutaneous Coronary Interventions of the European Society of
Cardiology.
Eur Heart J 2005;
26(8):804-847.
5)
Antman EM, Anbe DT, Armstrong PW, et al. Guidelines
for the Management of Patients With ST-Elevation Myocardiali
Infarction. Report of the American College of
Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice
Guidelines. Circulation 2004; 110: 588-636.
6)
Tavazzi L,
Chiariello M, Scherillo M, et al. Federazione Italiana di
Cardiologia (ANMCO-SIC): Documento di Consenso. Infarto
miocardico acuto con ST elevato persistente: verso un
appropriato percorso diagnostico-terapeutico nella comunità.
Ital Herat J Suppl 2002; 3: 1127-64.
7)
Steg PG, Bonnefoy E, Chabaud S et al. For the
Comparison on Angioplasty and Prehospital Thrombolysis in Acute
Myocardial Infarction (CAPTIM) Investigators. Impacto of time to
treatment on mortality after prehospital fibrinolysis or primary
angioplasty: data from CAPTIM randomized clinical trial.
Circulation 2003; 108: 2851-2856.
8)
Grines CL, et al. for the Air PAMI Study Group. A
randomized trial of transfer for primary angioplasty versus
on-site thrombolysis in patients with high-risk myocardial
infarction: the Air primary Angioplasty in Myocardial Infarction
study. J Am Coll Cardiol 2002, 39: 1713-1719.
9)
Hochman JS, Sleeper LA, Webb JG, et al. Early
revascularization in acute myocardial infarction complicated by
cardiogenic shock. SHOCK Investigators. Should We Emergently
Revascularize Occluded Coronaries for Cardiogenic Shock. N
Engl J Med 1999; 341: 625-34.
10)Gibson CM,
Murphy SM, Rizzo MJ, et al. Relationship between TIMI frame
Count and clinical outcame after thrombolytic administration.
Circulation,
1999; 99: 1945-50
11)Van’t Hof A,
Liem A, de Boer M, et al. Clinical value of 12-lead
Electrocardiogram afeter succesful reperfusion therapy for
acute myocardial infarction.
Lancet 1997; 350:615-9.
12) Van’t Hof A,
Liem A, et al. Angiographic assessment of myocardial
reperfusion in patients treated with primary angioplasty for
acute myocardial infarction: myocardial blush grade.
Circulation 1998; 97: 2302-6.
13) Kondo M, Nakano A, Saito D,
et al.
Assesment of “mocrovascular no-reflow phenomenon” using
technitium-99m macroaggragated albumin scintigraphy in patients
with acute myocardial infarction.
J Am Coll Cardiol 1998: 32: 898-903.
14) Henriques JP,
Zijlstra F, et al.
Incidence and
clinical significance of distal embolization during primary
angioplasty for acute myocardial infarction.
Eur Heart J 2002; 23: 1112-1127.
