IL DOSAGGIO DEL BNP : UTILITA’ E LIMITI.

 

Angela Beatrice Scardovi

 

UOC di Cardiologia Ospedale Santo Spirito Roma.

 

INTRODUZIONE

 Lo scompenso cardiaco e’ una patologia ad alta prevalenza epidemiologica nel mondo attuale la cui prognosi, come dimostrato dallo studio Framingham  ,   è infausta: la sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco  5 anni dopo la diagnosi è del 25% per gli uomini e del 38% per le donne.

In questo contesto è molto importante porre la diagnosi il più rapidamente possibile ed  iniziare al piu’ presto i trattamenti (ace-inibitori, beta-bloccanti ecc..) che si sono dimostrati capaci  di migliorare in modo consistente la sopravvivenza. A tal fine puo’ essere un valido ausilio la determinazione del tasso  plasmatico  neuro – ormonale..

L’attivazione neuro-ormonale, conseguente al danno miocardio ha , infatti , un ruolo fondamentale nella patogenesi dello scompenso cardiaco. I livelli aumentati di vari fattori neuro-ormonali ad effetto vasocostrittivo, quali la norepinefrina (NE), la renina e l’endotelina-1, hanno dimostrato di essere potenti predittori prognostici. D’altra parte anche l’aumento di concentrazione di fattori ad azione vasodilatante quali l’ormone natriuretico di tipo A (ANP), principalmente prodotto dall’atrio, e l’ormone natriuretico di tipo B (BNP) hanno verosimilmente valore prognostico. La misurazione dei  livelli plasmatici di alcuni ormoni è utile nella diagnosi e può essere di ausilio nella stratificazione del rischio e nella scelta della terapia .

L’ANP è composto da 28 aminoacidi, viene prodotto soprattutto in risposta al sovraccarico atriale come pro-ormone ma nello scompenso cardiaco  può essere prodotto anche dai ventricoli .

Il BNP  è un peptide natriuretico isolato per la prima volta (1988) nel cervello di maiale ma, successivamente, è stato dimostrato che le maggiori fonti di produzione ed il luogo dove viene conservato in granuli, sono i miociti ventricolari del cuore umano, del maiale e del ratto e per questo è considerato un “ormone ventricolare”. Questo peptide  viene  rilasciato dai miociti ventricolari come pro- BNP che a sua volta si suddivide in un frammento inattivo (NT- pro BNP) e in una  forma attiva  (BNP).Contrariamente a quanto accade per l’ ANP l’espressione genica del BNP può aumentare rapidamente in risposta ad uno stimolo appropriato .  Il BNP e’ secreto in minima parte anche dal tessuto atriale ed è immagazzinato insieme con l’ANP anche in granuli presenti nell’atrio .Fattori stimolanti la sua produzione sono l’ipertrofia e l’aumento di volume del ventricolo sinistro, lo stiramento dei miociti, l’aumento della pressione sanguigna, la disfunzione diastolica, l’insufficienza renale e l’attivazione delle citochine. Altre cause dell’aumento del BNP sono la tachicardia , i glucocorticoidi, gli ormoni tiroidei ed i peptidi vasoattivi quali l’endotelina – 1 e l’angiotensina II  indipendentemente dagli effetti emodinamici di questi agenti.  Il BNP è  più stabile nel plasma rispetto all’ANP ed ambedue i peptidi causano natriuresi e vasodilatazione, provocano il rilascio di GMP ed hanno il potere di sopprimere l’aldosterone. Sono inoltre  lisati dall’endopeptidasi neutra e  la potente azione natriuretica degli inibitori di questo enzima nello scompenso cardiaco è dovuta ad un aumento del BNP e dell’ANP.

I peptidi natriuretici  posseggono numerosi effetti biologici, fra cui i più importanti, dal punto di vista cardiovascolare, sono:

1-      aumento di diuresi e natriuresi secondari al loro effetto di aumentare la filtrazione glomerulare  ;

2-      facilitazione della trasudazione di liquidi nell’interstizio, senza però provocare la formazione di un edema conclamato;

3-      inibizione della secrezione e/o produzione di molti fattori neuro-ormonali, fra cui aldosterone, angiotensina II, endoteline, renina e vasopressina;

4-      diminuzione della pressione arteriosa e del precarico del ventricolo sinistro.

Il BNP ha, inoltre, un’azione diretta lusitropica sul miocardio  e, verosimilmente, un effetto antiproliferativo e antifibrotico sui tessuti vascolari .

Nello scompenso cardiaco questi effetti benefici sono attenuati fin dalle prime fasi della malattia. Tale resistenza agli effetti biologici benefici dei peptidi natriuretici potrebbe essere dovuta ad una “down-regulation” dei recettori di attività (tipo A e B) e ad una “up-regulation” dei recettori di “clearance” (tipo C) strettamente collegata alla severità della malattia. Anche altri fattori potrebbero entrare in gioco nell’innesco del meccanismo della resistenza ai peptidi natriuretici come un aumento dell’attività delle endopeptidasi, enzimi responsabili della loro degradazione o una inibizione post-recettoriale della loro attività biologica. L’entita’ dei fenomeni descritti è correlata con il grado di avanzamento della malattia :  i livelli circolanti di peptidi natriuretici (soprattutto BNP o NT- proBNP) hanno dimostrato in numerosissimi studi di essere dei predittori molto sensibili di mortalità precoce, piu’ affidabili  dei livelli circolanti di altri neurormoni e  degli indici di funzionalità ventricolare quali la frazione di eiezione.

È stato recentemente dimostrato che nei soggetti sani non vi sono differenze significative tra i due sessi per quanto riguarda i valori medi di concentrazione di ANP

 ( 15 ) , mentre la concentrazione di BNP si comporta in modo diverso essendo maggiore nelle donne verosimilmente per l’effetto degli estrogeni . ANP e BNP inoltre tendono ad aumentare con l’età anche in assenza di cardiopatia strutturale  e  in caso d’insufficienza mitralica  con funzione sistolica del ventricolo sinistro conservata   . Le  variazioni  della concentrazione ematica dei peptidi natriuretici

( BNP e  NT  - pro ANP )  sarebbero dipendenti anche da  fattori genetici additivi ereditari , come ha evidenziato uno studio condotto su 1914 soggetti relativi alla casistica dello studio Framingham  nella quale sono stati identificati due loci sui cromosomi 2p25 e 12p13 verosimilmente responsabili di tale fenomeno.

 Osservazioni interessanti sono emerse dal lavoro di Wang  ,  effettuato su  3.389  soggetti senza scompenso cardiaco, sempre relativi allo studio Framingham, nel quale si valutava la relazione tra indice di massa corporea , BNP e NT -pro ANP. Nei soggetti obesi vi era una correlazione inversa tra indice di massa corporea e concentrazione plasmatica dei peptidi natriuretici. Questa osservazione poteva essere spiegata dalla  marcata presenza di recettori di clearance ( NPR- C ) per i peptidi natriuretici nelle cellule adipose, ma anche dalla possibilita’ di un ridotto rilascio o di una compromissione della capacita’ di sintesi di tali ormoni da parte dei miociti dei soggetti obesi.. Anche nel gruppo degli obesi affetti da ipertensione arteriosa, condizione notoriamente associata ad aumento della concentrazione ematica dei peptidi natriuretici, i livelli di BNP e di N Terminal Pro ANP erano ridotti. Dallo studio emergevano , quindi, alcune implicazioni : 1) i peptidi natriuretici potrebbero avere una parte importante nella patogenesi dell’ipertensione correlata all’obesita’ ; 2) negli obesi il BNP potrebbe essere un parametro meno attendibile nella diagnosi e nella stratificazione prognostica dello scompenso cardiaco rispetto ai soggetti con normale indice di massa corporea; 3) la riduzione del peso corporeo potrebbe potenziare l’attivita’ degli ormoni natriuretici in questi soggetti.

È  importante quindi tenere conto anche di questi fattori di variabilita’ naturale nell’utilizzo clinico dei peptidi natriuretici.    

 

 

 

IL BNP NELLA DIAGNOSI DI SCOMPENSO CARDICO

 

Diagnosi differenziale delle dispnee .

 

La metodica standard per diagnosticare la disfunzione ventricolare sinistra è l’ecocardiografia per la quale una frazione di eiezione inferiore al 45% definisce la disfunzione sistolica . La diagnosi di disfunzione diastolica è meno standardizzata e più controversa. I peptidi natriuretici aumentano sia in caso di disfunzione sistolica che diastolica, sebbene il grado di correlazione con i parametri ecocardiografici  sia variabile nei vari studi pubblicati.

Poiché nella pratica vi è un’alta frequenza di diagnosi cliniche falsamente positive, specialmente nelle donne, l’utilizzo del dosaggio dei livelli ematici dei peptidi natriuretici è consigliato nelle recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia

 per aumentare la percentuale di diagnosi appropriata  o  per escludere la presenza di scompenso cardiaco : un aumento della concentrazione ematica dei peptidi natriuretici  fa porre indicazione ad un approfondimento mediante ulteriori indagini strumentali. 

In caso di dispnea acuta, quale si puo’ presentare in pronto soccorso, e’ fondamentale porre la diagnosi eziologica  il più rapidamente possibile,  per poter intervenire nel modo piu’ adeguato a  ridurre il rischio di morbilità e di mortalità. L’ecocardiografia non è sempre disponibile e comunque il paziente intensamente dispnoico può non essere in grado di mantenere a lungo la posizione idonea  all’effettuazione di un corretto esame ecocardiografico;  questo peraltro puo’ essere reso difficoltoso dalla obesità , dall’enfisema polmonare o da altre condizioni che rendono scarsamente esplorabile il cuore. Quindi, anche in un contesto dove l’ecocardiografia  sia presente, un test sensibile e specifico come il dosaggio degli ormoni natriuretici ed in particolare del BNP, specie con metodica “point-of-care”, può costituire uno strumento utile e di rapido utilizzo a disposizione del medico di pronto soccorso. Davies  ha misurato il livello ematico di BNP e ANP in 52 pazienti affetti da dispnea acuta rilevando che un valore di BNP > 22 pmol/L ( corrispondente a 76,4 pg/ ml) aveva una sensibilità del 93%, una specificità del 90% rispetto alla diagnosi finale di scompenso cardiaco ed un potere predittivo superiore a quello della frazione di eiezione e dell’ANP. Vi era, inoltre, una correlazione negativa altamente significativa tra frazione di eiezione e BNP.  

In uno studio successivo più ampio, condotto da Maisel su 1586 pazienti ricoverati nel dipartimento di emergenza per dispnea, il BNP misurato con metodica rapida “point-of-care”, risultava essere molto utile nell’escludere o confermare la diagnosi di scompenso cardiaco. L’accuratezza  diagnostica ad un cut-off di 100 pg/ml era dell’83,4% ed il valore predittivo negativo di un valore di BNP inferiore a 50 pg/ml era del 96%. La misurazione del livello ematico di BNP aggiungeva in modo significativo ed indipendente potere predittivo alle variabili cliniche  normalmente utilizzate per la diagnosi di scompenso cardiaco.

Nello stesso senso erano andati i risultati dello studio retrospettivo di Dao  condotto su 250 pazienti con dispnea acuta. Una concentrazione di BNP di 80 pg/ml prediceva con un’accuratezza del 95% la presenza di scompenso cardiaco; valori al di sotto di questo avevano un potere predittivo negativo del 98%. Il dosaggio del BNP era in grado di individuare correttamente 29 dei 30 pazienti in cui i medici del dipartimento di emergenza avevano marcato la diagnosi clinica di scompenso cardiaco. 

Recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio multicentrico BNP ( Breathing Not Properly)   che si proponeva di determinare il potere diagnostico aggiuntivo del BNP , dosato con metodica rapida (Triage BNP Test, Biosite), alle altre informazioni tradizionali ottenibili durante la valutazione clinica di oltre 1.500  pazienti con dispnea acuta. I pazienti, dopo valutazione da parte del medico del dipartimento di emergenza, venivano divisi in tre gruppi  con diverso grado di probabilità di malattia (basso, intermedio, alto). Il giudizio clinico dimostrava di avere un’accuratezza diagnostica alta ma che poteva essere migliorata in modo rapido e sicuro dal dosaggio del BNP. Infatti nel gruppo nel quale la diagnosi era incerta l’aggiunta del BNP era in grado di classificare correttamente il 74% dei pazienti e di fallire solo nel 7% dei casi. Ad una  probabilita’  dell’80%  riguardante la diagnosi di scompenso cardiaco il giudizio clinico aveva una sensibilità del 49% ed una specificità del 96%. D’altra parte  il livello soglia  di 100 pg/ml di BNP aveva una sensibilità del 90% ed una specificità del 73%. Aggiungere il BNP al giudizio clinico significava aumentare l’accuratezza diagnostica dal 74% all’81%. In particolare il dosaggio del BNP si dimostrava particolarmente utile nell’escludere la presenza di scompenso cardiaco : utilizzando un valore soglia di 50 pg/ ml il valore predittivo negativo era del 96%. Dall’analisi della stessa casistica  sono emersi altri dati interessanti: nei pazienti in cui era stato diagnosticato lo scompenso cardiaco acuto la mediana del  valore di BNP era di 587 pg/ ml contro i 34 pg / ml dei soggetti senza scompenso ; non vi era differenza significativa per quanto riguardava il potere diagnostico del BNP tra uomini e donne ma vi era una una differenza significativa tra i gruppi razziali. Infatti  un valore soglia di 100 pg / ml il BNP era piu’ sensibile ma meno specifico nella razza bianca rispetto alla nera. Gli Autori concludevano che e’ consigliabile l’utilizzo di  un valore soglia di BNP relativamente basso ( non superiore a 100 pg / ml ) nella valutazione del paziente con dispnea acuta a prescindere dal sesso, dalla razza e dal gruppo etnico . L’utilizzo di questo questo cut – off e’ un giusto compromesso in quanto  comporta un numero basso di falsi negativi a fronte di un  tasso di falsi positivi  accettabilmente  alto.

  Sono stati pubblicati i risultati  preliminari di uno studio multicentrico chiamato REDHOT  che si proponeva di verificare il legame esistente tra tasso plasmatico di BNP, nel range diagnostico, percezione clinica della gravita’ dello scompenso, processo decisionale del medico e  prognosi in pazienti ricoverati nel dipartimento d’emergenza per dispnea acuta. La casistica comprendeva  i primi 464 pazienti ricoverati in 10 diversi centri ; lo studio concludeva rilevando che vi era una scarsa correlazione tra la gravita’ dello scompenso percepita tramite l’esame clinico e la classificazione NYHA ed il tasso ematico di BNP. In particolare quest’ultimo era un miglior indicatore ,rispetto alla classe NYHA , sia della reale severita’ dello scompenso che della prognosi a 90 giorni.. Gli Autori affermavano che l’utilizzo del BNP nel dipartimento di emergenza potrebbe ridurre sia il numero di ospedalizzazioni non necessarie, che quello di dimissioni inappropriate determinando una migliore gestione del paziente con scompenso  cardiaco.

Altri Autori  si sono posti la domanda se il diabete mellito di per se’ potesse in qualche modo alterare il tasso plasmatico di BNP e, di conseguenza, influire negativamente sul suo potere diagnostico nel corso  della  valutazione del paziente con dispnea acuta ricoverato nel dipartimento di emergenza. L’analisi condotta sui 1.586 pazienti dello studio BNP ( 24 ) ha messo in luce che i pazienti diabetici con dispnea  hanno valori di BNP plasmatico paralleli a   quelli dei pazienti non diabetici. Il diabete mellito si e’ dimostrato un predittore indipendente di scompenso cardiaco ma non un fattore in grado di influire di per se’ sul tasso ematico di BNP.Il dosaggio del BNP conserva pertanto  il suo ruolo diagnostico nella valutazione del paziente diabetico con dispnea acuta. La casistica dello studio BNP  e’ stata inoltre analizzata  per verificare il potere diagnostico e l’impatto prognostico del dosaggio del BNP nel donne con dispnea  valutate nel dipartimento di emergenza   E’ infatti noto che nel sesso femminile e’ piu’ difficile la diagnosi differenziale della dispnea e che la percentuale di false diagnosi di scompenso cardiaco e’ maggiore. Dall’analisi di questo tipo di popolazione  emergevano dati interessanti : il valore soglia di BNP di 100 pg/ml era utile anche nelle donne per discriminare i soggetti affetti da scompenso cardiaco dai casi di dispnea secondaria a broncopneumopatia acuta; la precocita’ e l’accuratezza della diagnosi, ottenute utilizzando il dosaggio del BNP, si traduceva in una migliore gestione clinica ed in  una piu’ razionale  utilizzazione delle risorse. Venivano ridotte in modo significativo le percentuali dei ricoveri ed il ricorso alla terapia intensiva; la durata della degenza, i costi ed il tasso di mortalita’ intraospedaliera si abbassavano  in modo significativo nella popolazione femminile che era stata valutata, oltre che con l’esame clinico, anche tramite il dosaggio del BNP al momento del ricovero nel dipartimento di emergenza. 

Questi studi dimostrano che il dosaggio del BNP plasmatico è un test sensibile e specifico per l’inquadramento diagnostico dei pazienti con dispnea acuta e tale da poter  essere proponibile per sostituire la radiografia del torace (e forse anche l’ecocardiogramma) come strumento per la diagnosi differenziale della dispnea in pronto soccorso. In particolare il dosaggio del BNP con la metodica “point-of-care” è un ausilio diagnostico potente, rapido, di facile utilizzo ed economico a disposizione del clinico.

Bisogna comunque sottolineare che il BNP aumenta anche in caso di dispnea da embolia polmonare in seguito al sovraccarico acuto del ventricolo destro  : in questa condizione morbosa il rischio di morte è del 17% entro i primi tre mesi di follow-up, in coloro che al momento della diagnosi hanno un valore di BNP >21 pmol/L .

Appare quindi ragionevole l’ algoritmo  per la diagnosi differenziale delle dispnee acute proposto da  Logeart   nel quale si propone di affiancare l’ecocardiogramma doppler al dosaggio del BNP , per aumentarne il potere diagnostico, in quei casi di dispnea dove esso è compreso tra 80 e 300 pg/ml . Nei soggetti con BNP inferiore a 80 pg /ml, visto l’alto valore predittivo negativo, la dispnea e’ quasi sicuramente non di origine cardiaca, se si escludono i rari casi di edema polmonare “flash”; in presenza di un livello di BNP maggiore di 300 pg/ml la diagnosi differenziale sarà tra scompenso cardiaco ed embolia polmonare massiva con importante sovraccarico del ventricolo destro.

 Altri Autori hanno voluto confrontare l’accuratezza diagnostica del BNP con quella dell’ecodoppler tissutale nella diagnosi di scompenso cardiaco . La casistica era composta da 122 pazienti ricoverati in ospedale per sospetto scompenso cardiaco valutati contemporaneamente con ecodoppler tissutale e dosaggio del BNP. Il 57%  dei pazienti risultava essere  affetto da scompenso cardiaco.  Lo studio evidenziava che le due metodiche di valutazione avevano un’accuratezza diagnostica simile ma che, nei pazienti con ridotta frazione di eiezione, l’ecodoppler aveva una specificita’ maggiore rispetto al dosaggio del BNP  ( 80 % vs 60% ).

Recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio piccolo ma interessante teso a verificare la validita’ del dosaggio del BNP nella diagnosi differenziale della dispnea acuta in ambiente pre- ospedaliero .  Lo studio si e’ svolto nell’ambito del SAMU ( Paris Emergency Medical Service ) su 54 pazienti con dispera acuta di incerta eziologia, di eta’ uguale o superiore a 50 anni.. Venivano confrontate due strategie diagnostiche,  condotte in ambito pre – ospedaliero: quella clinica tradizionale e la strategia guidata dal dosaggio plasmatico del BNP. Quest’ultimo, in accordo con studi precedenti, si dimostrava un mezzo semplice, rapido e valido per la diagnosi differenziale delle dispnea in particolare negli anziani dove una marcata componente di broncospasmo, obiettivabile all’esame clinico, poteva erroneamente orientare verso una patologia puramente polmonare anche in caso di scompenso cardiaco. Nella popolazione anziana, infatti, non ostante  la dispnea sia  prevalentemente di origine cardiaca, la presenza di scompenso cardiaco viene spesso sottostimata dalla valutazione clinica tradizionale.

Per quanto riguarda la popolazione ambulatoriale occorre sottolineare che nel paziente non ospedalizzato l’insorgenza della malattia  puo’ essere insidiosa con sintomi lievi e non sempre di univoca interpretazione;  la diagnosi di scompenso cardiaco e’ quindi spesso difficoltosa soprattutto nei soggetti anziani ed affetti da comorbilita’. Solamente nel 25% - 30 %  dei pazienti giudicati dal medico di famiglia come  affetti da  scompenso cardiaco la diagnosi veniva confermata dopo un esame specialistico cardiologico clinico – strumentale   In questo contesto il dosaggio del BNP puo’ rappresentare un mezzo utile per selezionare i pazienti con sintomi di scompenso cardiaco che realmente  meritino di essere avviati rapidamente  all’effettuazione di un ecocardiogramma. Inoltre Cowie ha dimostrato come la misurazione della concentrazione ematica del BNP avesse un potere diagnostico maggiore rispetto al semplice giudizio clinico specialistico. Utilizzando un valore soglia di BNP di 22 pmol / L ( che come gia’ detto in precedenza corrisponde a 76.4 pg / ml ) si otteneva un valore predittivo negativo molto alto ( 98 % ) con un valore predittivo positivo accettabile ( 70 % ) , una sensibilita’ del 97 % e 84 % di specificita’ Anche per quanto riguarda il dosaggio di NT - pro BNP vi sono interessanti  dimostrazioni riguardanti  la  sua  utilita’ in questo contesto. Sono stati, infatti, recentemente pubblicati i dati relativi ad uno studio prospettico, randomizzato condotto su 305 pazienti  che si erano rivolti al medico di famiglia in seguito alla comparsa di  dispnea associata o meno ad  edema periferico. Nei pazienti in cui si utilizzava il dosaggio di  NT - pro BNP l’accuratezza diagnostica aumentava del 21% con un impatto determinante  nell’escludere  la presenza di scompenso cardiaco.

 

Peptidi natriuretici e prognosi dello scompenso cardiaco

 

I livelli plasmatici degli ormoni natriuretici riflettono in modo affidabile la pressione capillare polmonare, la pressione telediastolica ventricolare sinistra e la classe funzionale.

In particolare per il BNP sono sempre più frequenti in letteratura le dimostrazioni della sua stretta correlazione con la prognosi in pazienti con scompenso cardiaco.

Per quanto riguarda la valutazione nel dipartimento di emergenza, la concentrazione di BNP al momento del ricovero si è dimostrata predittiva di eventi in un follow-up di 6 mesi condotto da Harrison  in un gruppo di 325 pazienti. Infatti, il 51% di coloro che avevano un valore di BNP superiore 480 pg/ml al momento del ricovero per dispnea, andavano incontro ad un ulteriore instabilizzazione delle condizioni di compenso cardiocircolatorio nei successivi sei mesi. D’altra parte,  un livello di BNP iniziale inferiore a 230 pg/ml  era associato ad un’ incidenza bassa di eventi ( 2,5 %) durante lo stesso periodo di follow up. Tsutamoto  ha dimostrato che a confronto con norepinefrina, angiotensina II, endotelina, ANP , il BNP era il miglior predittore di prognosi sia in pazienti con scompenso cardiaco avanzato che in quelli asintomatici o paucisintomatici con disfunzione ventricolare sinistra . Infatti in 290 pazienti  con scompenso cardiaco in classe funzionale NYHA I e II e frazione di eiezione media del 37% seguiti per un periodo medio di 812 giorni, un valore di BNP, rilevato all’inizio dell’osservazione, maggiore di 56 pg/ ml era un predittore indipendente di progressione della cardiopatia e di morte . Il BNP si rivelava come l’ unico parametro bioumorale che, indipendentemente dai dati emodinamici, era in grado di fornire informazioni prognostiche relativamente alla mortalità e alla morbilità : i pazienti con bassi livelli plasmatici di BNP avevano una prognosi eccellente a lungo termine; d’altra parte alte concentrazioni di BNP erano correlate con una mortalità del 60% a 3 anni. In generale valori elevati di BNP identificano soggetti esposti ad un rischio aumentato  di morte e morbilità per scompenso cardiaco indipendentemente dalla presenza o meno di sottostante malattia coronarica.

 Maeda  ha dimostrato che livelli di BNP alti a  tre mesi dall’ottimizzazione della terapia costituiscono un fattore di rischio indipendente per mortalità anche in presenza di riduzione dei sintomi e di aumento della frazione di eiezione. Inoltre i pazienti con bassa concentrazione di BNP hanno una buona prognosi indipendentemente dal tipo di terapia somministrata. Il dosaggio del BNP, o della sua porzione N terminale  ( NT - proBNP) , può quindi aiutare ad ottimizzare la terapia.

In pazienti ricoverati con scompenso cardiaco, Cheng  ha dimostrato che  livelli di BNP persistentemente alti alla dimissione erano forti predittori di mortalità e di nuovo ricovero a 30 giorni e che la riduzione consistente del BNP durante il periodo di ricovero, intesa come misura dell’efficacia della terapia somministrata, era un predittore di stabilità clinica nel primo mese dopo il ricovero molto più affidabile di quanto non fossero piccole oscillazioni della classe funzionale. D’altra parte Kazanegra  ha potuto verificare l’andamento parallelo della pressione d’incuneamento capillare polmonare, durante monitoraggio invasivo, e del BNP dosato ogni due ore in pazienti ricoverati in terapia intensiva per scompenso cardiaco acuto  e trattati con terapia massimale. Nei 15 pazienti giudicati “responders” alla terapia in base alla riduzione della pressione d’incuneamento capillare vi era un decremento del 55% dei livelli di BNP. Gli Autori suggerivano dunque l’utilizzo del dosaggio seriato del BNP in sostituzione del monitoraggio invasivo come guida all’ottimizzazione della terapia. Per di più, nonostante i livelli di peptidi natriuretici aumentino naturalmente con l’età, Tamura   ha dimostrato che anche in pazienti con età  maggiore di  65 anni affetti da scompenso cardiaco, un BNP superiore a 132 pg/ml è un affidabile predittore prognostico e quindi utilizzabile anche in un contesto di  soggetti  geriatrici. Feola  ha confermato il ruolo di primo piano del BNP nella stratificazione prognostica del paziente anziano con scompenso cardiaco cronico. In un gruppo di 304 pazienti, valutati sia con ecocardiogramma doppler che tramite dosaggio del BNP plasmatico, prima di essere dimessi dopo un periodo di ricovero per scompenso cardiaco, emergeva che il miglior  predittore di eventi nei successivi 6 mesi era un tasso plasmatico di BNP > 200 pg / ml.

Molto recentemente Gardner , in un’analisi multivariata,  ha messo in evidenza come, in una popolazione di 142  pazienti particolarmente compromessi valutati per eventuale inserimento in lista d’attesa  per trapianto cardiaco,  solo il livello  ematico di  NT BNP  aveva valore predittivo indipendente di ridotta sopravvivenza rispetto ad altri parametri quali il consumo di ossigeno al picco dell’esercizio, la frazione di eiezione e l’ “heart failure survival score” ( HFSS).

Un altro aspetto interessante è il ruolo del BNP come parametro utile per la stratificazione del rischio aritmico. Recentemente Berger  ha dimostrato una correlazione significativa diretta tra i livelli di BNP e morte cardiaca improvvisa in una  ampia casistica . In un gruppo di 452 pazienti ambulatoriali affetti da scompenso cardiaco cronico di varia eziologia e frazione di eiezione <35% , osservati per circa 3 anni, l’evento morte improvvisa incideva quasi esclusivamente nel gruppo che all’inizio del periodo di follow-up aveva un valore di BNP >130 pg/ml (43 su 44 morti improvvise totali). Gli Autori suggerivano che questo criterio potesse essere utilizzato nel selezionare i pazienti ad alto rischio di aritmie in cui era giustificato l’impianto di defibrillatore  per migliorarne la sopravvivenza. D’altra parte, in una popolazione di 241 pazienti con cardiopatia molto più avanzata rispetto alla precedente in classe funzionale NYHA III e IV  e con  livelli di BNP > 400 pg /ml ,  Vrtovec   ha rilevato una mortalità, sia improvvisa che per scompenso refrattario, del 32% a 6 mesi in coloro che all’elettrocardiogramma  presentavano un intervallo QTc > 440 msec. Una mortalità così elevata era simile a quella dei pazienti dello studio REMATCH  non sottoposti ad impianto di sistema di assistenza ventricolare sinistra ( LVAD ). Pertanto gli Autori ipotizzavano che l’abbinamento di due indicatori di cardiopatia severa e di marcata attivazione neuroendocrina, quali  gli alti livelli di BNP in associazione al prolungamento dell’intervallo QTc, fossero  utili nel  selezionare soggetti ad altissimo rischio di eventi avversi che potevano beneficiare dell’assistenza ventricolare sinistra meccanica.

La dimostrazione più convincente del collegamento esistente tra livelli ematici di BNP e prognosi proviene dai risultati del sottostudio neurormonale  relativo alla casistica dello studio  Val- HeFT, che, con i suoi 4.300 pazienti, costituisce la più ampia banca dati in materia di neurormoni attualmente esistente . La popolazione ambulatoriale di questo studio e’ stata divisa in quartili a seconda dei livelli ematici di BNP rilevati prima della randomizzazione. Durante un periodo di follow up di 36 mesi si poteva osservare che a ciascun livello di BNP corrispondeva una curva di sopravvivenza diversa : la prognosi peggiore si aveva nei pazienti  in cui  era stata rilevata una concentrazione di BNP  uguale o superiore a 238 pg/ml che presentavano una mortalità del 32.4 % . Gli Autori concludevano che variazioni della concentrazione ematica del BNP e della norepinefrina corrispondono a variazioni della prognosi in termini di mortalità e morbilità sottolineando l’importanza d’inserire tali parametri di valutazione in tutti i grandi studi sullo scompenso cardiaco.

 Il ruolo del BNP, come elemento aggiuntivo per affiancare il VO2 di picco e migliorarne il potere prognostico , è stato sottolineato da Isnard  in una casistica composta da 250 pazienti con scompenso cardiaco cronico lieve-moderato e  frazione di eiezione inferiore al 45% osservati per un periodo medio di 584 giorni .

De Groote  ha dimostrato, in 424 pazienti con scompenso cardiaco cronico valutati in fase ambulatoriale,  che l’abbinamento di un tasso di BNP > 109 pg / ml e di un VO2 di picco espresso in percentuale rispetto al predetto < 50%, era in grado d’identificare una categoria di soggetti particolarmente esposti al rischio di morte ( 30% ad un anno e 45% a due anni ).

Anche dall’analisi della nostra casistica di 164 pazienti ambulatoriali  affetti da scompenso cardiaco sono emersi risultati interessanti:  i livelli circolanti di BNP, infatti, si correlavano con alcune variabili derivanti dal test cardiopolmonare, lo strumento più diffuso per la valutazione della capacita’ funzionale del paziente con scompenso cardiaco, comunemente utilizzate per la stratificazione prognostica  ( consumo di ossigeno al picco dell’esercizio, soglia anaerobica, rapporto tra ventilazione e produzione di anidride carbonica ).  Inoltre e’ emerso che in un gruppo di   pazienti con compromissione funzionale di grado intermedio e consumo di ossigeno  al  picco dell’esercizio compreso tra 10 e 18 ml/ Kg/min ( la cosiddetta “fascia  grigia” del test ergospirometrico  nella quale il semplice consumo di ossigeno  ha un potere limitato nel delineare con chiarezza la prognosi e nella quale e’ piu’ importante valutare il tipo di risposta ventilatoria all’esercizio )  la concentrazione di BNP  risultava essere  ben correlata ai parametri indicativi di risposta iperventilatoria allo sforzo che, come è noto, è in grado d’individuare i soggetti  a  maggior rischio di eventi .  Tali dati di correlazione tra BNP e risposta iperventilatoria all’esercizio sono stati confermati anche in gruppo piu’ etereogeneo di soggetti con scompenso cardiaco e diverso grado di compromissione funzionale . Sempre nell’ambito della nostra casistica di pazienti ambulatoriali con scompenso cardiaco,  abbiamo poi  dimostrato che il dosaggio del BNP plasmatico e’ un mezzo efficace per indiviaduare i pazienti con disfunzione diastolica di grado avanzato . A questo punto abbiamo provato a combinare parametri ventilatori, neurormonali (  BNP ) e parametri ecocardiografici  doppler di funzione diastolica per ottenere una stratificazione prognostica piu’ accurata . All’analisi multivariata emergeva che, in 134 pazienti ambulatoriali con scompenso cardiaco cronico da disfunzione sistolica del ventricolo sinistro ( frazione di eiezione ecocardiografica < 40% ), osservati per un periodo di 717 ± 244 giorni, i fattori indipendenti che condizionavano la prognosi erano  la presenza di un pattern di riempimento di tipo restrittivo ( RPF ) (HR 2.867, 95% CI 1.459 a 5.633, p = 0.002) e la presenza di risposta iperventilatoria all’esercizio ( EVR ) durante test cardiopolmonare (HR 2.80, 95% CI 1.414 a 5.546, p = 0.003). L’aggiunta di  RFP o di  EVR  nei pazienti con  tasso plasmatico di  BNP  ≥ 215 pg/ml triplicava il rischio di eventi (HR 2.987, 95% CI 1.376 a 6.483, p=0.006),  mentre la combinazione dei tre determinanti prognostici identificava un gruppo di pts che presentavano la prognosi peggiore (HR 9.631, 95% CI 4.375 a  21.69, p < 0.0001). La sopravvivenza libera da eventi era 75% nei pts nei quali non era presente nessuno dei tre parametri considerati  , 73% in quelli che ne avevano solamente uno , 49% in quelli con due , e 11% in quelli con tre. Il nostro studio sottolinea l’importanza della valutazione multiparametrica per una statificazione prognostica accurata.

Volendo utilizzare il valore puntuale del BNP, al momento della dimissione dopo un periodo di ricovero per scompenso cardiaco acuto, possiamo verificare come ci possa aiutare a stratificare la prognosi. Logeart  ha infatti dimostrato come i pazienti che venivano dimessi con un livello ematico di BNP persistentemente alto, > 700 pg / ml, avevano un rischio di morte e  di riospedalizzazione, nel successivo periodo di osservazione di circa 6 mesi, aumentato di 15 volte rispetto a coloro che venivano dimessi con un BNP > 350 pg / ml. Quindi il livello di BNP alla dimissione puo’ essere un mezzo utile per prevedere la prognosi  e per  guidare la gestione  del paziente nel  successivo periodo di follow up ambulatoriale.

Una  interessante, per quanto criticabile, ipotesi di lavoro  degli ultimi anni e’ stata quella di verificare se  il monitoraggio  della concentrazione ematica del BNP potesse essere di aiuto  nel guidare il clinico ad ottimizzare la terapia del paziente con scompenso cardiaco e quindi a migliorarne la prognosi. . Murdoch   ha dimostrato  che la terapia con ace-inibitori titolata sulla base  dell’andamento del BNP era in grado, rispetto al trattamento controllato in modo tradizionale , di provocare una inibizione più marcata e duratura del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Troughton  ha evidenziato come  la prognosi  di pazienti ambulatoriali fosse significativamente migliore in coloro nei quali la terapia veniva “tarata” fino ad ottenere una normalizzazione dei livelli di NT BNP rispetto a quelli che venivano seguiti con il semplice follow-up clinico.

 Doust  ha pubblicato il risultato di un’analisi combinata di 19 studi relativamente al ruolo prognostico del BNP nello scompenso cardiaco. Ne e’ emerso che ogni aumento di 100 pg / ml del suo tasso plamatico era associato ad un aumento del rischio relativo di morte del 35% ; i pazienti nei quali il BNP, dopo adeguato trattamento, non si riduceva erano particolarmente esposti al rischio di morte e di eventi cardiovascolari. Il valore del BNP rilevato dopo stabilizzazione era un predittore molto piu’ significativo di morte e di eventi  sfavorevoli rispetto a quello basale.

 

 

Peptidi natriuretici  e prognosi nella cardiopatia ischemica.

 

Numerosi lavori scientifici hanno dimostrato che il tasso ematico di  BNP, rilevato in fase acuta o subacuta, era correlato  alla mortalità sia a breve che a lungo termine  in pazienti con infarto del miocardio. Richards ha dimostrato il  legame  esistente tra i livelli di NT pro – BNP e di BNP , mortalità e  riammissione in ospedale si in pazienti con infarto del miocardio in fase sub- acuta che in fase acuta, con o senza sopraslivellamento del tratto ST.  La combinazione di frazione di  eiezione del ventricolo sinistro < 40% ed elevati livelli di NT pro -   BNP ( o di BNP ) identificava una popolazione di pazienti ad alto rischio di  mortalita’, pari al  37% a 3 anni..

    Livelli circolanti elevati  di  NT pro- BNP, in pazienti con angina instabile o infarto del miocardio senza sopraslivellamento del tratto ST ( NSTEMI ),  si sono  poi dimostrati predittori di morte entro 43 giorni dall’evento acuto, fornendo informazioni aggiuntive ai convenzionali parametri utilizzati per la stratificazione del rischio, compresa la Troponina I ( 85 ). La testimonianza più significativa nell’ambito della cardiopatia ischemica acuta  ci è giunta da uno studio condotto  su 2.525 pazienti con sindrome coronarica acuta di cui una larga fetta era costituita da pazienti con angina instabile e NSTEMI ( 86 ). Le conclusioni confermavano le precedenti osservazioni e dimostravano come il potere predittivo del BNP,  per quanto riguarda la sopravvivenza ed i ricoveri per scompenso cardiaco, fosse valido in tutto lo spettro delle sindromi coronariche acute. Inoltre vi era la dimostrazione che un valore soglia di BNP di 80 pg/ml era predittore di recidive ischemiche. Tale valore soglia  di BNP si dimostrava valido anche nella popolazione dello studio TACTIS – TIMI 18 ( 87 ) , composta da 1.676 pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST . Valori di BNP maggiori di 80 pg / ml,  rilevati in fase acuta,  identificavano pazienti  piu’ frequentemente portatori di malattia coronarica multivasale, ad alto rischio per morte e scompenso cardiaco nei successivi sei mesi,  indipendentemente dai livelli di Troponina  I  e dal tipo di strategia terapeutica adottata. Sempre in merito ai pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST sono stati pubblicati  i dati relativi a 6.809 pazienti dello studio GUSTO IV  ( 88 ) nei quali erano stati misurati, in aggiunta  agli altri  parametri comunemente utilizzati per stratificare  la prognosi,  anche i livelli plasmatici di NT pro -  BNP  . Quest’ultimo  risultava essere  il parametro piu’ strettamente correlato con la mortalita’ ad un anno. Al contrario , solamente il livello plasmatico di Troponina T, la clearance della creatinina e la presenza di sottoslivellamento del tratto ST erano predittori indipendenti di recidiva infartuale. Combinando la concentrazione plasmatica  NT pro - BNP con la  clearance della creatinina, si otteneva una stratificazione prognostica ancora piu’ accurata.

   Il ruolo del BNP come parametro utile per  stratificare  la prognosi in un ambito di cardiopatia ischemica  stabilizzata, quale l’angina da sforzo,  e’ stato poi  sottolineato da Bibbins- Domingo ( 89 ) in uno studio condotto su 355 pazienti con ischemia inducibile al test provocativo. Dall’analisi della casistica emergeva una correlazione significativa tra livelli di BNP e comparsa d’ ischemia  inducibile solo  nel gruppo di 206 pazienti con pregresso infarto del miocardio.Rimanendo in in  uno scenario di pazienti apparentemente a basso rischio, come i 3761 soggetti con cardiopatia ischemica stabile arruolati nello studio PEACE, e’ stato dimostrato che i livelli di BNP e di NT  pro- BNP erano correlati in modo significativo con la mortalita’ per cause cardiovascolari, la comparsa di scompenso cardiaco e lo stroke ma non con l’evento infarto del miocardio . In particolare , all’analisi multivariata, livelli elevati di BNP erano associati con la comparsa, durante il periodo di osservazione , di scompenso cardiaco , mentre  quelli di NT  pro – BNP erano dei buoni predittori non solo di scompenso cardiaco ma anche di morte da causa cardiovascolare e di stroke.

Quindi , anche il  NT BNP  si e’ inserito tra i marcatori biologici per i quali disponiamo ormai di una chiara evidenza del ruolo prognostico nelle sindromi coronariche acute, grazie a studi condotti su larga scala. ( 90 ). 

 

 

CONCLUSIONI

 

  

Accanto alle citate  dimostrazioni confortanti che sembrerebbero conferire al BNP formidabili poteri in grado di aiutarci nel formulare la diagnosi di scompenso cardiaco e nel prevedere la prognosi, restano ancora alcune perplessità che, al momento attuale, costituiscono motivo di  cautela in attesa di chiarimenti derivanti dai  numerosi studi in corso.

Ad alimentare i dubbi e’ giunto  un editoriale di Packer  che invita a considerare con estrema cautela i risultati ottenuti  tramite il dosaggio del BNP. In un ambito di diagnosi vi e’ disaccordo sul cut-off ottimale da utilizzare :  il valore di 100 pg/ ml puo’ dar luogo ad un numero troppo alto di diagnosi falsamente positive ( ad esempio una donna anziana con ipertensione arteriosa ed insufficienza renale  puo’ avere livelli ematici di BNP maggiori di 200 pg / ml in assenza di scompenso cardiaco); d’altra parte l’utilizzo di un livello soglia di 400 pg/ ml implica una diagnosi certa di scompenso cardiaco ma anche un’ inaccettabilmente alta incidenza di falsi negativi. Ne consegue  che il concetto di valore soglia assoluto da utilizzare per la diagnosi di scompenso cardiaco ha perso la sua validita’ dal momento che la maggioranza dei pazienti ha valori di BNP  non diagnostici ( compresi tra 40 e 400 pg/ ml). Oltretutto, in alcuni casi di scompenso cardiaco terminale, sono stati rilevati livelli ematici di BNP ridotti,  verosimilmente dovuti ad esaurita capacita’ di  sintesi da parte dei miociti ventricolari.

 Per quanto riguarda il follow up del paziente con scompenso cardiaco cronico, tramite monitoraggio del BNP plasmatico, la cautela e’ dovuta essenzialmente alla mancanza  di dati certi in merito a quale sia la percentuale di variazione intrapaziente da considerare  e quale sia  la concentrazione ematica ottimale da raggiungere con il trattamento.

 In conclusione possiamo riassumere nei punti che seguono gli ambiti d’incertezza : 1)  resta il dilemma se il BNP debba essere controllato in tutti i pazienti con scompenso cardiaco cronico o se solo negli instabili e con che cadenza temporale. 2 )  Non è completamente   chiaro l’effetto dei vari farmaci comunemente utilizzati per il trattamento dello scompenso cardiaco sulle concentrazioni ematiche di BNP. 3) Non sono ancora definite le variazioni circadiane del BNP . 4 )  Nei pazienti con cardiopatia ischemica resta il dubbio su quale sia il meccanismo responsabile dell’aumento della concentrazione di  BNP: l’ischemia miocardia di per sé , la disfunzione emodinamica o  ambedue . 5 ) Non e’ definito  se dobbiamo affidarci al dosaggio di NT  pro -BNP, con una più lunga emivita, oppure a quello del BNP, la forma attiva con una emivita  più breve.

Nonostante queste perplessita’,  possiamo comunque oggi  affermare con certezza  che il BNP è un marker polisemantico di scompenso cardiaco in grado di  riflettere  affidabilmente sia il grado di attivazione neurormonale  che il  sovraccarico di pressione ventricolare; per questo motivo  sta assumendo un ruolo di primo piano all’interno della valutazione poliparametrica del paziente con scompenso cardiaco cronico in quanto  buon  predittore di eventi che vanno dall’instabilizzazione delle condizioni di compenso alla morte improvvisa ed utile strumento per condurre all’ ottimizzazione della terapia . Analogamente, il suo dosaggio e l’osservazione del suo andamento nel tempo possono essere un valido aiuto nella stratificazione prognostica  dei pazienti con sindrome coronarica acuta accanto agli altri tradizionali parametri biologici.

 

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