Chiusura percutanea deL difettO interventricolarE postinfartualE

 

G.Santoro  E. Pedemonte  F.Meucci  G.Squillantini

 

Dipartimento del Cuore e dei Vasi-AOU Careggi- Firenze

 

La rottura del setto interventricolare  rappresenta una delle complicazioni più temibili dell’infarto miocardio acuto.  La maggior parte delle rotture si verifica nella prima settimana e fino al 20-30% nelle prime 24 ore. La sua incidenza si è notevolmente ridotta grazie all’introduzione della trombolisi prima e dell’angioplastica primaria poi. In era pre-trombolitica la rottura del setto interventricolare si verificava nell’1-3% dei casi di infarto miocardico acuto; attualmente la sua incidenza è stimata essere intorno allo 0,2% (1). La mortalità secondaria alla rottura del setto è purtroppo ancora molto elevata: circa il 50% dei pazienti, se non operato, muore entro al prima settimana, l’80% entro il primo mese e solo il 7% sopravvive ad un anno (2).  La rottura del setto interventricolare si associa quasi sempre alla presenza di un infarto miocardico transmurale e spesso si verifica in pazienti che non hanno storia di angor o infarto precedenti. Dal punto di vista morfologico si distinguono due tipi di rottura: le forme “semplici” e quelle “complesse”. Le prime, tipiche degli infarti anteriori, si localizzano a livello del setto apicale e sono caratterizzate da una netta comunicazione a tutto spessore tra i due ventricoli. Le seconde, più frequenti negli infarti inferiori, si realizzano a livello del setto medio-basale e si contraddistinguono per la presenza di un tramite serpiginoso tra i due ventricoli, circondato da zone di infarcimento emorragico (3). 

Clinicamente la rottura del setto interventricolare si manifesta con il rapido deterioramento delle condizioni emodinamiche del paziente: improvvisa ipotensione fino al quadro di shock cardiogeno e segni di congestione polmonare. Talvolta prevalgono i segni di congestione venosa sistemica secondaria all’improvviso sovraccarico destro. Obiettivamente la rottura del setto si associa alla comparsa di un nuovo soffio olosistolico aspro, apprezzabile a livello del bordo sternale sinistro, spesso accompagnato da un fremito. La diagnosi si basa essenzialmente sulla clinica e sui reperti ecocardiografici, che dimostrano la sede e le dimensioni del difetto nonché l’entità dello shunt. Per anni l’unica opzione terapeutica disponibile nel trattamento della rottura postinfatuale del setto interventricolare è stata la riparazione chirurgica. Peraltro la prognosi rimane estremamente infausta con una mortalità che va, a seconda delle casistiche, dal 19 al 46% (4). I due fattori prognostici negativi più importanti sono la presenza di shock cardiogeno e la sede dell’infarto: l’infarto miocardio inferiore infatti si associa più frequentemente a disfunzione del ventricolo destro e, come già ricordato, a rotture di setto morfologicamente complesse, quindi più difficili da trattare.

Nel 1988 J.E. Lock (5) ha descritto la prima chiusura percutanea di difetto del setto interventricolare postinfartuale utilizzando il device di Rashkind a duplice ombrellino. La letteratura successiva riporta solo poche ed esigue casistiche in cui la rottura del setto è stata trattata utilizzando il CardioSeal Septal Occluder (6) o mediante l’impiego dell’Amplatzer Septal Occluder.  (7,8,9,10). L’Amplatzer Septal Occluder rispetto agli altri device disponibili, si “autocentra” e stenta il difetto.  I conseguenti processi di trombosi in situ e riendotelizzazione assicurano la chiusura del difetto. La possibilità di scegliere device leggermente sovrastimati rispetto alle dimensioni del difetto (solitamente da 1 a 7 mm) compensa l’eventuale successivo incremento delle sue dimensioni dovuto alla necrosi tissutale. Inoltre l’Amplatzer Septal Occluder, prima di essere definitivamente rilasciato, può essere riposizionato nel caso di un impianto non soddisfacente (11). La principale difficoltà  che si incontra nella chiusura percutanea della rottura postinfartuale del setto  è rappresentata dalla presenza di bordi necrotici e pertanto friabili; peraltro questa stessa condizione è il fattore limitante anche dell’approccio chirurgico. Dunque in entrambi i casi si raccomanda che l’intervento sia  procrastinato di almeno sei settimane, tempo necessario alla cicatrizzazione del tessuto miocardico.

Nella casistica di Szkutnik viene descritta la chiusura di difetti del setto interventricolare postinfartuale in sette pazienti (10). In cinque casi è stato utilizzato il device  dedicato alla chiusura dei difetti interatriali (Amplatzer Atrial Septal Occluder, ASO), in due il device appositamente creato per i difetti interventricolari (Amplatzer Ventricular Septal Occluder, VSO). Sei pazienti sono stati trattati dopo almeno sei settimane dall’infarto; in un caso la chiusura è stata effettuata a due settimane dall’infarto per le gravi condizioni cliniche del paziente; un paziente era già stato sottoposto due volte a chiusura chirurgica del difetto con fallimento della procedura. La chiusura percutanea del difetto si è dimostrata essere almeno altrettanto efficace quanto l’intervento chirurgico quando effettuata a sei settimane dall’infarto. L’unico paziente trattato in acuto  ha dovuto comunque sottoporsi ad intervento chirurgico per il fallimento della procedura percutanea. L’outcome dei pazienti sottoposti a chiusura del difetto in fase acuta è estremamente sfavorevole, come riportato anche nella casistica di Holzer (4) in cui viene riferita una mortalità pari al 41% a 57 giorni. Per quanto concerne la correzione degli shunt residui dopo intervento chirurgico la chiusura percutanea dà risultati favorevoli (1,10). Il fallimento  dell’intervento chirurgico si verifica soprattutto nei casi in cui l’anatomia del difetto è complessa: nei difetti a livello del setto medio-bsale residua uno shunt nel 10-20% dei casi. Ancora uno shunt residuo può essere dovuto a una   sottostima del difetto, alla presenza di difetti multpli non visualizzati durante l’intervento o alla deiscenza del patch. La correzione per via percutanea degli shunt post-chirurgici spesso è tecnicamente difficile (1) ma è sicuramente da prendere in considerazione visti i risultati positivi e la possibilità di evitare un reintervento.  L’impiego dell’Amplatzer Septal Occluder può associarsi ad alcune complicanze. E’ possibile che il device si sposizioni e migri, come risultato soprattutto di un non corretto posizionamento o della scelta di un device di dimensioni non adeguate. Ancora è possibile che le dimensioni del difetto si accrescano a distanza di tempo dell’impianto del device nel caso in cui questo sia stato impiantato su bordi necrotici troppo sottili e friabili. Per evitare questa evenienza intenzionalmente vengono scelti device di dimensioni superiori al difetto (11). Inoltre teoricamente è possibile che il device interferisca con l’apparato sottovalvolare mitralico. 

 

La chiusura percutanea dei difetti del setto interventricolare postinfartuali è una metodica per la quale è ancora necessario fare esperienza; i risultati riportati in letteratura, anche se su casistiche non numerose, dimostrano la sua efficacia e la non inferiorità rispetto all’approccio chirurgico quando effettuata a distanza di almeno sei settimane dall’infarto miocardico. In acuto la possibilità di ricorrere alla chiusura percutanea è giustificata solo in caso di precarie condizioni cliniche del paziente, in cui verosimilmente non è possibile procrastinare l’intervento. I risultati non sono comunque favorevoli. La chiusura percutanea del difetto interventricolare può diventare la metodica di prima scelta per la correzione degli shunt postchirurgici.

 

BIBLIOGRAFIA

 

1 N.J.Cutfield, P.N. Ruygrok et al, Transcatheter closure of a complex postmyocardial infarction ventricular septal defect after surgical patch dehiscence; Internal Medicine Journal 2005; 35:128-130

2 V.S. Costache, O. Chavanon et al, Early Amplatzer occluder closure of a postinfarction ventricular septal defect atrio sinistro a bridge to surgical procedure; Interact Casrdiovasc Thorac Surg 2007;6:503-504

3 (W.D. Edwards, J.E. Edwards, Ventricular septal rupture complicatine acute myocardial infarction: identification of simplex and complex types in 53 autopsied hearts; Am J Cardiol 1984;54:1201-1205).

4 (R. Holzer, D. Balzer et al, Trancatheter closure of postinfarction ventricular septal defect using the new Amplatzer Muscular VSD; Catheter Cardiovasc Interv 2004;61:196-201).

5 (J.E. Lock, P.C.Block et al; Transcatheter closure of ventricular septal defects; Circulation 1988;78:361-368)

6 (P. Pienvichit, T.C. Piemonte, Percutaneous closure of postmyocardial infarction ventricular septal defect with the Cardioseal septal occluder implant; Catheter Cardiovasc Interv 2001;54:490-494)

7 (E.M Lee, D.H. Roberts et al, Transcatheter closure of a residual postmyocardial infarction ventricular septal defect with the Amplatzer septal occluder; Heart 1998;80:522-524.          

8 M. Szkutnik, J. Bialkowski et al, Transcatheter closure of a residual postmyocardial infarction ventricular septal defect using Amplatzer atrial septal occluder; Folia Cardiol 2001;8:685-689.         

9 W. Ruzyllo, M. Demokow et al, Transcatheter closure of  postinfarction ventricular septal defects; Kardiol Pol 2001;54:270-273  

10 M. Szkutnik, J. Bialkowski et al, Postinfarction ventricular septal defect closure with Amplatzer occluders; European Journal of Cardiothoracic surgery 2003;23:323-327). 

11 (M. Szkutnik, J. Bialkowski et al, Postinfarction ventricular septal defect closure with Amplatzer occluders; European Journal of Cardiothoracic surgery 2003;23:323-327).