La terapia medica
dello scompenso cardiaco nell’anziano
Domenico Miceli
UOS Valutazione dello Scompenso Cardiaco e Riabilitazione
Cardiologica
Dipartimento di Cardiologia AO Monaldi Napoli
Lo scompenso cardiaco è ormai
considerato una sindrome “epidemica”, in ragione della sua
diffusione, della persistente severità della prognosi e degli
elevati costi di cura ad esso associati.
La maggior parte dei pazienti
affetti da scompenso cardiaco è attualmente rappresentata da
anziani, ovvero da soggetti oltre i 65 anni di età, e da vecchi,
ovvero da soggetti oltre i 75, fenomeno, questo, in buona parte
attribuibile al progressivo evidente incremento dell’età media
della popolazione, ma anche ad un intrinseco maggior grado di
morbilità cardiovascolare dei soggetti in età avanzata.
Diversi fattori distinguono lo
scompenso cardiaco nell’anziano da quello che si manifesta in
soggetti di più bassa fascia di età (1,2) (fig.1), ma, in modo
particolare, in tema di trattamenti terapeutici, è significativa
la poca rappresentazione di questi pazienti negli studi clinici
che hanno testato le categorie di farmaci raccomandati nei vari
stadi della malattia, e, conseguentemente, il criterio spesso
empirico con il quale questi farmaci vengono impiegati nella
cura dei soggetti delle fasce di età più avanzate.

Fig.1 : fattori che
distinguono lo scompenso cardiaco negli anziani rispetto ai
pazienti di età media
(modificata da Rich MW, Am J Med 2005)
E così, le linee guida dello
scompenso cardiaco cronico, sia quelle americane che quelle
europee (3,4), proprio in ragione dell’inesistenza di dati certi
derivati da trial in questo tipo di popolazione, devono
necessariamente limitarsi a poche, preliminari e generiche,
considerazioni, raccomandando soprattutto cautela ed attenzione
alla farmacocinetica e alla farmacodinamica dei principi attivi
da impiegare in terapia.
E’ più che evidente come l’età
avanzata rappresenti di per sé un fattore di rischio per
scompenso cardiaco già in condizioni di assenza di cardiopatia
conclamata, al pari di tutte quelle altre condizioni, quali
ipertensione arteriosa e ipertrofia ventricolare sinistra, fumo,
diabete, dislipidemie, obesità ed insufficienza renale, in grado
di determinare la comparsa della disfunzione ventricolare
sinistra asintomatica, che rappresenta la parte sommersa del
“fenomeno dell’iceberg” descritto da Hoes (5) (fig.2).

Fig.2: scompenso
cardiaco, il fenomeno dell’ “iceberg”
E diversi studi hanno messo in
evidenza la potenzialità del corretto trattamento di tutti i
fattori di rischio citati nel prevenire la comparsa della
disfunzione ventricolare sinistra e dunque dello scompenso
cardiaco.
Il CONSENSUS (6) è stato il primo
studio che ha arruolato una sufficientemente consistente
percentuale di pazienti anziani, essendo i soggetti di oltre i
70 anni di età circa il 50% dei pazienti studiati, che
presentavano un’età media di 71 anni. Questo studio ha
dimostrato l’efficacia dell’enalapril nel ridurre la mortalità
per scompenso cardiaco specie se impiegato il più precocemente
possibile, anche nelle classi funzionali avanzate, e, nei lavori
che hanno effettuato il follow-up a dieci anni, l’efficacia è
stata confermata con un incremento di vita medio di 260 giorni.
Dallo studio CONSENSUS, effettuato nel 1989, ad oggi, i
risultati di tutti i trial condotti sugli ACE-inibitori (7) e i
dati disponibili sui pazienti anziani nelle analisi condotte per
sottogruppi di età, hanno indotto a ritenere gli ACE-inibitori
uno dei cardini nel trattamento farmacologico dello scompenso
cardiaco cronico anche nei pazienti anziani, per la loro
documentata capacità di rallentare il rimodellamento strutturale
e il deterioramento funzionale del ventricolo sinistro, di
migliorare il quadro clinico-emodinamico e, soprattutto, di
ridurre il rischio di ospedalizzazione e di morte. Alcune
ricerche, inoltre, sembrano attribuire agli ACE-inibitori anche
una certa attività di miglioramento della capacità cognitiva dei
pazienti anziani con scompenso cardiaco (8).
Negli anziani è necessario che la
titolazione degli ACE-inibitori sia fatta con maggiore
attenzione, partendo da dosaggi bassi, che vanno raddoppiati ad
intervalli di due settimane, e, nei casi in cui non sia
possibile raggiungere le dosi “target”, fino al dosaggio massimo
tollerato.
Numerosi studi, effettuati negli
ultimi anni, hanno messo in evidenza anche l’efficacia degli
antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, e il loro ruolo
nel trattamento dello scompenso cardiaco è ormai accertato non
solo come scelta alternativa nei casi di intolleranza ( tosse,
rush cutaneo, alterazioni del gusto ), ma anche come
trattamento “additivo”. In particolare il candesartan, valutato
nei diversi bracci dello studio CHARM (9), ha dato risultati
efficaci su mortalità totale e cardiovascolare sia in
alternativa che in aggiunta alla terapia con ACE-inibitori, e il
valsartan, in base ai risultati dello studio Val-He-FT (10), ha
di recente ottenuto dall’Agenzia Italiana del Farmaco
l’approvazione della indicazione terapeutica nello scompenso
cardiaco cronico.
Accanto ai farmaci inibitori
dell’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, i
betabloccanti rappresentano l’ altra strategia farmacologica che
si è dimostrata in grado di contrastare efficacemente la
progressione della malattia cardiaca e di migliorare l’outcome
clinico in uno spettro di pazienti con scompenso cardiaco
cronico, fino alla IV classe funzionale.
Una metaanalisi alquanto recente
dei principali studi condotti su questi farmaci (BEST, US
CARVEDILOL, CIBIS II, MERIT-HF e COPERNICUS) (11) ha confermato
che l’entità del beneficio e il grado di tollerabilità di questa
categoria di farmaci nell’impiego terapeutico per lo scompenso
cardiaco cronico, sono sostanzialmente indipendenti dall’età,
purchè, al pari di quanto è necessario fare con gli
ACE-inibitori, la selezione dei pazienti sia appropriata e la
terapia venga effettuata nel rispetto di un rigoroso schema di
titolazione. E, anche negli anziani così come in tutte le altre
fasce di età, la presenza di malattie bronchiali non associate a
severa ostruzione delle vie aeree non rappresenta una
controindicazione al trattamento con betabloccanti, così come,
nonostante la presenza di potenziali effetti avversi metabolici,
questi farmaci hanno mostrato di fornire un beneficio clinico
anche nei pazienti diabetici.
Riguardo all’uso dei diuretici,
indubbiamente non esiste una classe di farmaci per lo scompenso
cardiaco cronico in grado di contrastare così efficacemente il
sovraccarico di volume e i sintomi di congestione polmonare e
periferica con un rapporto costo/beneficio così favorevole.
Negli anziani in trattamento
cronico i diuretici dell’ansa, furosemide e torasemide, vanno
adoperati alle dosi più basse efficaci, in modo da ridurne al
massimo gli effetti collaterali, ma, nei casi di marcata
ritenzione idrica, specie se in concomitanza con insufficienza
renale, può essere necessario adoperare anche alte dosi,
eventualmente, e per brevi periodi, in associazione con
metolazone, che agisce a differente livello tubulare.
Sicuramente molto utile, e anche validata dai risultati dello
studio RALES , che ne ha dimostrato l’efficacia nelle classi
funzionali avanzate, è l’utilizzo dello spironolattone in
associazione (12).
I principali problemi legati
all’uso dei diuretici negli anziani sono, come è noto, i
disturbi elettrolitici e l’ipotensione, per cui saranno
necessari frequenti controlli dei parametri di laboratorio e
clinici, al fine di modulare la terapia in base alla risposta e
alla tolleranza.
Naturalmente l’utilizzo ottimale
dei diuretici deve essere accompagnato dalla restrizione dei
liquidi e del sale con il controllo quotidiano del peso
corporeo, che, nel paziente anziano, per raggiungere un compenso
accettabile, dovrebbe mantenere un’oscillazione di 1 kg in più o
in meno rispetto al peso ideale.
Infine, ma non certamente in
ordine di importanza, merita un cenno la digitale, che, anche
impiegata nel paziente ultraottantenne, ha efficacia documentata
nel miglioramento dei sintomi e nella riduzione delle
ospedalizzazioni, come dai risultati del noto studio DIG (13), e
i cui effetti collaterali sono ben controllabili se la
digossinemia viene mantenuta al di sotto di 1 ng/ml. Il farmaco
è sicuramente indicato nei casi di fibrillazione atriale
permanente per un migliore controllo della risposta
ventricolare, ma anche nei pazienti in ritmo sinusale se
sintomatici nonostante terapia “massimale”.
Un aspetto peculiare, in tema di
terapia medica dello scompenso cardiaco nell’anziano, è
rappresentato dallo scompenso cardiaco diastolico, ovvero a
funzione sistolica conservata, che ha una prevalenza rilevante
proprio nella popolazione oltre i 65 anni. Non vi sono linee
guida sui trattamenti raccomandati per lo scompenso diastolico,
neppure per i pazienti non appartenenti alle fasce più alte di
età, ma la terapia è differente, rispetto a quello sistolico,
riguardo all’ utilizzo di alcune classi di farmaci, dal momento
che lo scopo è, in questo caso, non il rimodellamento del
ventricolo sinistro o l’incremento dell’inotropismo, bensì
soprattutto la riduzione della frequenza cardiaca.
In particolare, vanno
sottolineati i seguenti punti:
-
il dosaggio dei
diuretici, che vanno usati in proporzioni ridotte
-
la titolazione dei
betabloccanti, che appare meno necessaria
-
la differente
indicazione della digitale (poco utile nello scompenso
diastolico) e dei calcioantagonisti (indicati nello scompenso
diastolico ma non in quello sistolico)
Conclusioni
Esiste di fatto, pur essendo
riconosciuta la validità di tutti i trattamenti terapeutici di
cui sopra, un diffuso sottoutilizzo dei trattamenti
farmacologici raccomandati per lo scompenso cardiaco cronico,
specie negli anziani e specie per quanto riguarda i
betabloccanti, che, anche se prescritti, lo sono spesso in
maniera sottodosata: i dati dello studio osservazionale
TEMISTOCLE (14) dimostrano infatti come nelle Divisioni di
Medicina, tra le cause di mancata prescrizione dei
betabloccanti, nel 43,8% dei casi vi fosse l’età superiore a 75
anni.
Riguardo ai pazienti anziani con
scompenso cardiaco, poi, e specificamente a causa della
frequente concomitante presenza di patologie a carico anche di
altri organi, poiché un limite delle linee guida è quello di
affrontare i problemi delle singole patologie, l’aderenza a
queste raccomandazioni espone a possibili indesiderati effetti.
E’ pertanto necessario che
vengano effettuati trial specificamente dedicati ai pazienti
anziani, pur riconoscendone la intrinseca difficoltà, sia per
l’arruolamento che per la gestione.
Ma come favorire la
partecipazione della popolazione geriatrica agli studi
sperimentali? Probabilmente sollecitando la creazione di
collegamenti tra strutture di ricerca clinica ed accademica e
istituti di cura ed assistenza per anziani, realizzando grandi
trial che possano includere una popolazione più eterogenea con
comorbidità multiple e differenze nella progressione delle
patologie, e che permetta poi delle valutazioni di sottogruppi.
Ciò si realizza anche coinvolgendo le famiglie o i volontari
nella spiegazione del consenso informato, possibilmente stampato
in caratteri grandi e reso più intelligibile, e facilitando i
trasporti o effettuando, quando possibile, visite cliniche a
domicilio.
Ma occorre anche prestare
attenzione agli aspetti regolatori, allo scopo di incentivare lo
studio dei farmaci nell’età avanzata: la FDA americana ha
incluso una sezione “ uso geriatrico ” nelle specialità
medicinali, obbligando ad inserire informazioni riguardanti
l’impiego specifico nell’anziano, anche se, sotto il profilo
dello sviluppo dei trial, non si sono rilevati grandi benefici,
poiché si è limitata a indicare come fornire informazioni sui
farmaci ad uso geriatrico non obbligando a svolgere
necessariamente studi supplementari nell’anziano.
Una possibile proposta potrebbe
essere quella di incoraggiare l’applicazione, anche in
geriatria, dell’equivalente della “Pediatric Rule”, applicata in
USA per i farmaci di uso pediatrico dal 1997, ipotizzando
pertanto analogamente una estensione dell’esclusiva di mercato
(che è di sei mesi per la pediatria) per i farmaci ad utilizzo
geriatrico che abbiano evidenziato uno specifico sviluppo in
questa popolazione.
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