Il ruolo dell’infermiere  nella educazione sanitaria del paziente

 

E. Gnarra , A. Tancredi, A. Citera, A. Cirillo, A. Musto, A.Puglia,

F. Curcio, S. Marotta, G. Olivaro, E. D’Alessandro, A. Elia, G.Gallo,

N. Maiese R. Roberto G. Gregorio

 

ASL SA 3 Vallo della Lucania Dipartimento Cardiovascolare

U.O. UTIC-Cardiologia-  Ospedale  S. Luca Vallo Della Lucania (SA)

 

 

L’infermiere come educatore del paziente.

 

“L’infermiere Professionale è una persona che ha completato un programma di base di educazione infermieristica ed è qualificato ed autorizzato nel suo Paese a dare un servizio professionale responsabile e competente per la promozione della salute, la prevenzione della malattia, la cura del malato e la riabilitazione”.

Questo è quanto affermava già nel 1973 l’International Council of Nurses.

Tale affermazione mette chiaramente in luce lo stretto legame esistente tra la figura professionale dell’infermiere e l’educazione/formazione.

Oggi, possiamo tranquillamente affermare che la funzione educativa dell’infermiere è complementare alla funzione di cura e di assistenza. L’infermiere deve, sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria, promuovere un corretto stile di vita tale da ridurre il rischio di contrarre malattie cardiovascolari. L’educazione del paziente aumenta l’adesione alle prescrizioni terapeutiche, aiuta a ottenere modifiche dei comportamenti a rischio e a mantenerli nel tempo.

Il termine “educazione”, inizialmente, inteso come una modalità di trasmissione di valori e contenuti culturali cognitivi, etici e comportamentali a valenza positiva e di accrescimento globale di tutto l’individuo finalizzato al mantenimento o al miglioramento dello stato di salute, con il passar del tempo e con il sempre più veloce evolvere delle condizioni socio-culturali della nostra società, tale concetto non è stato più limitato nel tempo (infanzia e giovinezza) ma ha assunto una valenza continuativa in tutto l’arco della vita dell’individuo, anche a causa dell’espandersi delle conoscenze e delle necessità di aggiornare le proprie capacità relazionali e comportamentali lungo tutto l’arco della propria esistenza; tale processo è denominato anche educazione continua o permanente.

La sanità è un sistema altamente complesso; le moderne tecniche di management e la Verifica e Revisione della Qualità (VRQ) hanno permesso di porre oggettivamente in evidenza numerosi problemi e criticità. Dalla loro tipologia e dall’analisi delle loro cause scaturiscono i metodi più efficaci per superarli. Quando tali criticità dipendono da una mancanza di informazioni specifiche, da carenze conoscitive, da gap tecnico-professionali ecc. possono essere superabili con specifici interventi educazionali e/o formativi; ciò riguarda sia gli operatori sanitari sia i pazienti.

In ambito sanitario – e cardiologico in particolare – tali interventi possono riguardare aspetti presenti in una vasta gamma di interventi sanitari e in particolare nella prevenzione, nella cura e nella riabilitazione di alcuni stati morbosi.

Il paziente che si reca dal medico porta con sé tutta una serie di esperienze personali del suo vissuto sociale, lavorativo e familiare, con aspettative , paure e ansie per come percepisce la sua malattia.

L’operatore sanitario deve fare sì che il paziente si senta accettato in modo da potersi esprimere liberamente. Molti studi hanno evidenziato che la qualità della comunicazione e della relazione tra personale sanitario e paziente ha un impatto soprattutto sulla soddisfazione del paziente e sull’aderenza alle prescrizioni terapeutiche.

Per un corretto ed efficace approccio al problema educazionale del paziente è necessario però conoscere  - ed eventualmente interagire -  anche con il contesto in cui è inserito. Dato che l’attività educazionale è focalizzata principalmente a correggere o impostare i comportamenti del paziente al di fuori dell’ospedale o dall’evento acuto che ha determinato il ricovero o l’accesso in ambulatorio, cioè in pratica nel suo ambiente di vita quotidiana, nella propria casa o nel luogo di lavoro, è sovente necessario, per non inficiare l’intervento o meglio ancora per potenziarlo, agire selettivamente soprattutto sui familiari quali elemento determinante del contesto.

Gli interventi educazionali, oltre che nella prevenzione, possono trovare un campo di efficacia anche durante la fase di malattia. Elemento da tenere sempre presente è l’aiuto da fornire al paziente per l’accettazione della malattia stessa e il capirne i meccanismi e gli interventi diagnostici-terapeutici al fine di migliorare gli effetti della loro applicazione.

In questo ambito temporale il rapporto infermiere- paziente è più stretto e quindi il rapporto fiduciario è più forte; conseguentemente, è maggiore la recettività ad acquisire nuovi concetti e dunque più alta la probabilità di adesione a programmi educazionali.

Spesso i medici sono focalizzati solo su alcuni aspetti tecnico-professionali dell’assistenza, quindi per vari motivi il tempo dedicato al paziente per svolgere, più o meno consapevolmente, una funzione educazionale è ridotto e ci si limita solo a dei consigli più o meno generici; spessissimo non è pianificato un vero e proprio intervento educativo/formativo.

Una corretta informazione associata a un intervento educazionale tarato sulle reali capacità di apprendimento e sullo stato emotivo del paziente possono quindi svolgere una vera e propria funzione terapeutica di importanza spesso non secondaria.

Quella della cura è probabilmente l’area in cui l’infermiere è maggiormente abituato ad educare.

Solitamente inserita in un contesto ospedaliero, l’educazione a scopo curativo è soprattutto orientata ad aspetti terapeutici. Classici esempi sono gli interventi dedicati a pazienti affetti da patologie croniche (diabete, infarto del miocardio …), che devono essere “istruiti” per una corretta gestione delle proprie attività di vita quotidiana, della terapia e di alcuni aspetti della malattia. Se nel passato gli interventi educativi erano spesso lasciati all’iniziativa personale dei singoli operatori, con l’introduzione della pianificazione delle cure infermieristiche, l’educazione del paziente è diventata parte integrante e imprescindibile del processo assistenziale inteso come intervento globale e multidisciplinare su tutti gli aspetti che incidono sulla malattia.

Perché risulti efficace, l’intervento educativo dovrebbe:

- essere programmato;

- essere metodologicamente ben impostato (identificazione del problema; definizione di                 obiettivi; scelta di metodi, sussidi e contenuti; definizione dei tempi; modalità di valutazione);

- far riferimento al piano di cure infermieristiche;

- utilizzare un linguaggio comprensibile per il paziente e adeguato al suo livello culturale e all’età;

- prevedere, ove possibile, la valutazione di efficacia;

- prevedere una parte pratica se riferito ad aspetti tecnici (ad esempio autosomministrazione dell’insulina nel diabetico);

- essere supportato da materiale ad hoc (ad esempio opuscoli informativi ecc.);

- coinvolgere, se necessario, altre persone oltre al paziente (in caso di pazienti psichiatrici, anziani, bambini);

- svolgersi in un ambiente adeguato (senza fattori di disturbo e che garantisca la privacy del paziente);

- coinvolgere più professionisti (ad esempio: dietologo per l’educazione alimentare del diabetico, medico di base, assistenza domiciliare ecc.) ed essere preparato in stretta collaborazione con il medico di reparto che ha in carico il paziente;

- essere il frutto di un’organizzazione mirata da parte del caposala di reparto (mettere a disposizione una stanza idonea e il materiale necessario, contattare altri professionisti se richiesti).

La categoria infermieristica si sta adoperando per essere all’altezza di rispondere in modo appropriato atali esigenze, anche sulla base delle implicazioni legali e deontologiche connesse (consenso informato, diritti del malato, segreto professionale ecc.).

L’infermiere svolge un ruolo educazionale importante anche nella fase di riabilitazione. La riabilitazione, al pari della prevenzione, deve essere considerata non più nei fatti  come una cenerentola della cardiologia, che giustamente privilegia il superamento della fase acuta della malattia, ma una tappa fondamentale del percorso terapeutico del paziente finalizzata alla sua reintroduzione nella vita quotidiana e possibilmente anche nell’attività lavorativa. E’ bene che il personale sanitario che lavora nei reparti di riabilitazione sia preparato a rispondere alle più frequenti domande dei pazienti.

Perché devo fare gli esercizi di ginnastica?

Nella popolazione con attività fisica regolare si registrano la riduzione dell’incidenza delle malattie cardiovascolari, il ritardo dello sviluppo di limitazioni funzionali e un aumento dell’aspettativa di vita. L’attività fisica, oltre a dare un senso di benessere e a migliorare la qualità della vita, consente di ridurre il peso, aumentare l’HDL colesterolo, abbassare i trigliceridi, ridurre la tendenza alla trombosi, ridurre l’insorgenza di ipertensione, ridurre inoltre il rischio di sviluppare diabete.

Devo fare esercizio tutti i giorni?

Un esercizio aerobico, come camminare, andare in bicicletta, nuotare 20-30 minuti al giorno per 3-4 volte alla settimana può essere sufficiente per mantenere un buon allenamento e ottenere gli effetti desiderati.

Perché devo rinunciare alle cose che mi piacciono di più?

Un’alimentazione sana ed equilibrata, che preveda un basso apporto di grassi animali e privilegi verdura, pesce, frutta fresca, cereali, svolge un ruolo chiave nella prevenzione delle malattie cardiovascolari perché, grazie a un unico strumento, possono essere arrestate o rallentate l’insorgenza e la progressione dei più importanti fattori di rischio “ambientali”, oltre che a ridurre molte altre patologie che interessano tutte le età.

Perché non posso mangiare con la mia famiglia e mi preparano pasti diversi?

Il ruolo della famiglia è determinante nella riuscita di un corretto progetto alimentare, insistendo sull’idea che non esiste una dieta per cardiopatico ma un’alimentazione sana che fa bene a tutta la famiglia. Pertanto le persone responsabili dell’acquisto e della preparazione dei cibi devono essere coinvolte in queste scelte.

Sto seguendo i consigli che mi hanno dato in dimissione , ma non dimagrisco. E’ tutto inutile!

Dimagrire può essere un processo lungo e spesso una revisione di quello che si assume quotidianamente con l’alimentazione insieme a personale esperto è di notevole aiuto nel raggiungere l’obiettivo proposto. Il personale programma un appuntamento con il dietista che verifica la dieta ed apporta le modifiche necessarie.

Ho smesso di fumare e sto aumentando di peso. Ho sempre fame!

Smettere di fumare è un processo complesso e difficile perché quest’abitudine porta a una forte assuefazione sia farmacologia sia psicologica. Il bisogno di nicotina si traduce in una ricerca continua di cibo. Anche in questo caso, la dietista aiuta il paziente consigliando cosa può mangiare senza aggiungere molte calorie. Gli alri membri della famiglia possono aiutare il paziente a modificare tale abitudine astenendosi anch’essi dal fumare compiendo, tra l’altro, un’efficace opera di prevenzione su se stessi.

Ma queste medicine, le devo prendere sempre? Faranno male al fegato?

I farmaci da assumere per le malattie cardiovascolari sono in genere prescritti per lunghi periodi o, in alcuni casi, per tutta la vita; la loro efficacia dipende dal grado di adesione del paziente. Alcune riospedalizzazioni hanno come fattore scatenante la mancata aderenza del paziente alle prescrizioni farmacologiche.

Per favorire l’adesione dei pazienti al trattamento prescritto è utile:

-         assicurarsi che il paziente abbia compreso le modalità di assunzione;

-          spiegare quali possono essere gli effetti collaterali e come affrontarli.

A conclusione del ciclo riabilitativo, i pazienti hanno acquisito notevoli conoscenze sulla malattia, sull’esercizio fisico, sulla necessità all’autocontrollo del peso e della pressione arteriosa, sulla gestione della terapia e sulla necessità di sottoporsi periodicamente a esami clinici e strumentali.

In conclusione, si può affermare che l’educazione sanitaria richiede:

-         tempi lunghi: il paziente, per cambiare le proprie abitudini, ha bisogno di tempo: deve prima mettere in discussione i propri comportamenti, rivedere le proprie conoscenze e maturare nuove decisioni;

-         - la collaborazione tra le varie professionalità sanitarie che devono capire e riconoscere gli ostacoli che incontra il paziente per mettere in atto le indicazioni terapeutiche e giungere così al risultato con un equilibrato ricorso al compromesso;

-         solide basi scientifiche aggiornate: i pazienti chiedono al personale sanitario continui riscontri della terapia e delle informazioni ricevute; desiderano essere informati anche sui vari esami strumentali a cui vengono sottoposti;

-         la conoscenza di tecniche di comunicazione che permettono all’infermiere di unire conoscenza, esperienza, la sua capacità di intuizione e le sue doti di empatia nel tentativo di trovare per ogni paziente le parole capaci di favorire la convinzione ad assumere stili di vita meno a rischio e seguire le indicazioni terapeutiche.

L’informazione deve essere un colloquio continuo che verifica e ribadisce nel tempo i risultati.

Possiamo quindi affermare che la funzione educazionale dell’infermiere ha assunto una valenza complementare della funzione assistenziale e di cura; questi aspetti sono sempre più interdipendenti e sinergici, a testimonianza sia di una sempre maggiore complessità del sistema, sia dell’evolvere delle conoscenze scientifiche, cui seguono nuovi modelli assistenziali più centrati sui reali bisogni del paziente, sul mantenimento dello stato di salute, sulla prevenzione delle malattie, sulla restituzione rapida alle proprie attività e sul miglioramento della qualità della vita.

 

Bibliografia

 

-   A European Society of Cardiology survey of secondary prevention of coronary heart              disease: principal results. EUROASPIRE Study Group. European Action on Secondary Prevention through Intervention to Reduce Events. Eur Heart j 1997;

 

-         Miceli D., Cirrincione V., Scherillo M., Management & Qualità in Cardiologia: il ruolo dell’infermiere ANMCO. Firenze 2001.

 

-         Domenichelli B. Il paradosso della salute e il cardiologo. Cardiologia Extraospedaliera 1998

 

-         Eweles l, Simnett I. Promozione della Salute. Milano: Edizioni Sorbona 1995.

 

-         Miceli D, Tozzi Q, Di Giulio P, Sabbadin L. Manuale Cardionursing. Uno strumento per l’assistenza infermieristica. Centro Scientifico Editore.

 

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