IL DOSAGGIO DELLA TROPONINA: UTILITA’ E LIMITI
G. D’Angelo A. Catalano M.L. Giovine S. Saponara S.Iorio
E.Vicinanza M.Niglio A.Carbone A Lioi (*)
U.O. Cardiologia P.O. Eboli- * U.O. Laboratorio Patologia
Clinica P.O. Ospedale Civile Eboli - ASL SA 2
La Troponina (Tr) è un complesso
proteico, che regola la contrazione muscolare.
E’ composta da 3 subunità:
-
C : lega gli ioni Calcio
-
I: inibisce l’attività ATPasica dell’actomiosina e quindi
la contrazione
-
T: lega la tropomiosina

Le Troponine I e T nel 3-7% sono
presenti nel citoplasma, il rimanente è all’interno della
componente strutturale. Pertanto la porzione citoplasmatica
viene rilasciata subito mentre la parte strutturale viene
dismessa lentamente.
Esprimono danno cellulare
miocardico con elevata sensibilità e specificità in quanto, per
essere rilasciate dal sarcomero, richiedono la presenza di
necrosi cellulare; pertanto gli incrementi dosabili sono
patologici.
Crescono rapidamente dopo i
sintomi ( 4-12 ore) con picco generalmente tra 24 e 48 ore e con
release anche sino a 10-14 giorni.
E’ attualmente il test di scelta
per individuare o escludere danno miocardico; quando la
troponina aumenta in una condizione clinica probativa per
Sindrome Coronarica Acuta (SCA), allora essa suggerisce la
presenza di danno ischemico; ma l’incremento può determinarsi
anche per un danno miocardico non ischemico: infettivo,
tossico, degenerativo, metabolico, iatrogeno.
Certamente non è il marcatore
cardiaco “ IDEALE “
MARCATORE CARDIACO “IDEALE”:
• Specificità: non essere
rilevabile in altri tessuti
• Sensibilità: essere presente in
alta concentrazione nel miocardio
• Rilascio rapido: immediatamente
dopo l’inizio del danno miocardico
• Correlare in maniera precisa
con l’estensione del danno stesso
• Persistere nel sangue per un
tempo sufficiente a fornire un’adeguata finestra diagnostica
• Essere di quantificazione
facile, economica e rapida.
NB: Al momento nessun indicatore
soddisfa queste caratteristiche anche se la troponina si
avvicina alle caratteristiche descritte; infatti ricordiamoci
che la troponina:
-
Non aumenta se
l’evento è puramente ischemico
-
Può aumentare a
seguito di danno miocardico di natura ischemica e di natura non
ischemica
-
La dismissione e
il rilevamento non sono rapidi
Il primo ricercatore ad
utilizzare un kit per il dosaggio della troponina I è stato
Cummins, che in un lavoro del 1987 (3) dimostrò l’elevata
specificità per il muscolo cardiaco di questa proteina:
solamente il 2% di reattività crociata con troponina di origine
muscolare scheletrica. Nel 1992 Bodor e coll. (4) pubblicarono i
risultati preliminari della applicazione clinica del primo
anticorpo anti-cTnI per il dosaggio della troponine I in
pazienti con sospetto infarto miocardico acuto.
Attualmente in USA vi sono in
commercio numerosi kit per il dosaggio delle troponine; i più
numerosi sono quelli per la troponina I ( 85% circa) con limiti
inferiori differenti compresi tra 0.006 a 0.06.
Questo complesso proteico
rappresenta il marker bioumorale più specifico di danno della
cellula miocardica ( specificità superiore al 90% ) e risulta
pertanto di grande utilità clinica diagnostica e prognostica.
Bisogna però sempre tenere presente che il riscontro di valori
di troponina superiore ai valori soglia non comporta
necessariamente una diagnosi di cardiopatia ischemica.
Infatti esistono numerose altre
condizioni di danno miocardico, che possono generare incremento
della troponina:
• Miocardite
• Pericardite
• Danni subendocardici:
– Ipertensione arteriosa,
ipertrofia ventricolare sinistra,
– tachicardia,
– shock cardiogeno,
– embolia polmonare,
– scompenso cardiaco (acuto e
cronico)
• Ipotensione (specie in corso di
aritmie)
• Trauma da contusione
– trauma
– ablazione
– cardioversione
– AICD
– pacing
– chirurgia cardiaca
– angioplastica
•Ictus, Emorragia subaracmoidea
• Malattie infiammatorie: Mal.
Kawasaki
• Patologie infiltrative:
Amiloidosi, Emacromatosi, Sarcoidosi, Scleroderma
• Rigetto
• Tossicità da
– chemioterapici (adriamicina,
5-fluorouracile), Antracicline: predittore della
fase subclinica dell’effetto
cardiotossico,
– sostanze endogene: Sepsi e
shock settico
• Esercizio fisico estremo
• Insufficienza renale cronica
• Distrofia muscolare (Tipo
Duchene)
• Polimiosite e dematomiosite
• Pre-eclampsia, ipotiroidismo,
sanguinamento gastro-intestinale, cirrosi epatica,
malattia di Pompe, anemia
Vi sono altresì condizioni di
falsa positività e falsa negatività della troponina:
FALSI POSITIVI
- Presenza di anticorpi eterofili
(Fitzmaurice TF et al Clin Chem 1998)
- Fattore
reumatoide (Dasgupta A et al Am J Clin Pathol 1999)
- Incompleta separazione del
siero (Nosanchuk JS et al Clin Chem 1999)
- Emolisi
FALSI NEGATIVI
Reattività crociata verso
- Bilirubina elevata
– Anticorpi circolanti
anti-troponina I
Uno dei principali problemi che
si incontra nell’utilizzo pratico delle troponine è la corretta
definizione del limite decisionale. Esiste attualmente una
notevole confusione, dal momento che i limiti di riferimento
adottati vengono perlopiù derivati dai foglietti illustrativi
dei kit, i quali riportano ancora il 97,5° percentile o non
forniscono informazioni adeguate.
Sulla base di quanto definito nel
documento ESC/ACC, i produttori di kit diagnostici devono ora
fornire nel foglio illustrativo il valore di concentrazione di
troponina corrispondente al 99° percentile dello specifico
sistema di analisi. E’ inoltre indispensabile che per ogni
metodo sia riportato il livello di imprecisione analitica
(espresso come coefficiente di variazione: CV) del valore
di concentrazione corrispondente al limite di riferimento, che
secondo quanto riportato dal documento non dovrebbe superare il
10%. E’ purtroppo evidente che molti dei metodi attualmente
disponibili non soddisfano invece questo requisito (CV
£10%
ad una concentrazione di troponina pari al 99° percentile) (5).
Bisogna infatti considerare che non tutti i sistemi di analisi
hanno le stesse prestazioni nella routine clinica e
molti di quelli commercialmente disponibili non possono ancora
garantire standard così elevati (6).
Da un punto di vista pratico,
quando si fa riferimento all’impiego del dosaggio di troponina
per la diagnosi di Infarto Miocardico, i sistemi di
determinazione della troponina, che attualmente non sono in
grado di fornire un CV del 10% alla concentrazione pari
al 99° percentile, dovranno utilizzare come livello
decisionale per questa diagnosi concentrazioni più elevate,
corrispondenti alla concentrazione minima per la quale il CV
è =10% (Tab. 1). Ovviamente ciò potrebbe diminuire la
sensibilità clinica complessiva dei sistemi di analisi per la
diagnosi di Infarto Miocardico (IM) ma dovrebbe tuttavia in gran
parte salvaguardare i clinici dal riscontro occasionale di
elevazioni della troponina in assenza di un contesto clinico
suggestivo di danno miocardico (7,8), spingendoli verso
valutazioni più attente e poliparametriche.
Tabella 1.
Esempi della possibile influenza
dell’imprecisione analitica in alcuni metodi di determinazione
della troponina sulla diagnosi di IM.
Metodo |
99° percentile= |
Concentrazione associata
ad un CV=10%== |
Abbott AxSYM |
0.50
mg/L |
2.90
mg/L
(5.8 x 99° percentile) (16) |
Bayer ACS:180 |
0.07
mg/L |
0.30
mg/L
(4.3 x 99° percentile) (17) |
Bayer ACS:Centaur |
0.15
mg/L |
1.40
mg/L
(9.3 x 99° percentile) (18) |
Beckman Access 2^ gen. |
0.04
mg/L |
0.09
mg/L
(2.3 x 99° percentile) (19) |
Dade Dimension RxL 2^
gen. |
0.07
mg/L |
0.15
mg/L
(2.1 x 99° percentile) (20) |
DPC Immulite |
0.40
mg/L |
1.20
mg/L
(3 x 99° percentile) (21) |
Ortho Vitros |
0.10
mg/L |
0.35
mg/L
(3.5 x 99° percentile) (22) |
Roche Elecsys 3^ gen. |
0.01
mg/L |
0.03
mg/L
(3 x 99° percentile) (23)
|
CV = coefficiente di variazione
analitica totale.
=Livello
decisionale per la diagnosi di IM, come suggerito dal Comitato
Congiunto dell’European Society of Cardiology/American College
of Cardiology (1,2).
==Livello decisionale per
la diagnosi di IM, come suggerito dal Comitato per la
Standardizzazione dei Marcatori di Lesione Miocardica
dell’International Federation of Clinical Chemistry and
Laboratory Medicine (24).
In maniera più pratica, per
valore elevato della troponina nel plasma, deve intendersi una
elevazione del marcatore al di sopra del limite di
concentrazione pari al 99° percentile ottenuto nel gruppo di
riferimento. I valori di riferimento devono essere determinati
in ogni laboratorio mediante studi che impieghino metodi
pubblicati nelle riviste “peer-reviewed”, soggetti ad un
appropriato controllo di qualità. Il livello di imprecisione
(coefficiente di variazione) ritenuto accettabile a
concentrazioni pari al 99° percentile dovrebbe essere, come
precedentemente detto,
£10%.
Ciascun laboratorio dovrebbe però
confermare lo specifico intervallo di riferimento per il metodo
di determinazione della troponina adottato, valore diverso per i
differenti Kit in uso; buona regola è la periodica revisione di
questi parametri di riferimento.
L’avvento di marcatori biochimici
di danno miocardico così sensibili e specifici, ha rivoluzionato
la diagnosi di Infarto Miocardico Acuto dal momento che,
come stabilito nella Consensus Conference della Società Europea
di Cardiologia, ogni grado di necrosi miocardica causata da un
evento ischemico deve essere etichettata come infarto, anche se
di dimensioni estremamente piccole, ma non tanto da sfuggire a
queste tecniche di diagnostica bioumorale.
Pertanto un soggetto al quale in
precedenza veniva diagnosticata una severa angina pectoris,
stabile o instabile, potrà attualmente ricevere la diagnosi di
IM di piccole dimensioni con conseguente aumento del numero dei
casi e cambiamento dell’iter procedurale diagnostico,
terapeutico e prognostico.
Come frequentemente accade quando
un metodo diagnostico è più sensibile del rispettivo “gold
standard”, la determinazione delle troponine cardiache ha
generato un grande numero di “ nuovi “ pazienti, in cui
l’Infarto Miocardico, che era da escludersi secondo i criteri
diagnostici tradizionali dell’OMS, trova la sua ragione
diagnostica nella presenza di elevate concentrazioni di
troponina; la percentuale di tali pazienti si aggira, a seconda
degli studi, tra il 30 ed il 40% di tutti i pazienti affetti da
ischemia acuta in cui sarebbe stato escluso l’infarto secondo i
canoni tradizionali (9,10).
Tuttavia, come è chiaramente
emerso, questi pazienti presentano una prognosi del tutto simile
a quella dei pazienti in cui l’IM è diagnosticato in modo
“tradizionale”. Tale concetto emerge dall’analisi retrospettiva
di tre tra i principali studi nel campo, ovvero gli studi FRISC,
TRIM e TIMI-IIIB, che arruolavano pazienti con sindrome
coronarica acuta senza sopraslivellamento persistente del tratto
ST-T, ovvero un “mix” di pazienti con IM ed angina instabile
(11,12). Come emerge dall’analisi dei risultati, la distinzione
della popolazione in base alla diagnosi finale (basata sui
criteri convenzionali dell’OMS), conferisce una prognosi
significativamente diversa ai pazienti con IM rispetto ai
pazienti con angina instabile; tuttavia, quando questi ultimi
vengono riclassificati in base alla positività o meno al test
della troponina, appare chiaro che i pazienti troponina-positivi
presentano una prognosi a breve termine (30-45 giorni)
sostanzialmente sovrapponibile a quella dei pazienti che hanno
ricevuto la diagnosi di IM. E ciò appare vero tanto per l’end-point
della sola morte (TIMI-IIIB), quanto per il composito di morte
ed IM (FRISC e TRIM).
Esiste inoltre una correlazione
diretta tra la concentrazione plasmatica di troponina cardiaca
nei pazienti con sindrome coronarica acuta ed il rischio di
morte sia a breve che a lungo termine, come rispettivamente
indicato dagli studi TIMI-IIIB e FRISC (11,13). Tale diretta
correlazione trova il suo presupposto esplicativo nel fatto che
concentrazioni plasmatiche crescenti di troponina stanno
verosimilmente a significare, con crescente precisione, una
funzione ventricolare vieppiù depressa, tale da condizionare in
modo negativo la prognosi del paziente, come indicato da alcuni
studi preliminari (14,15).
Ancor più complessa la
problematica relativamente alla diagnosi di Infarto
Miocardico Acuto nell’ambito di due condizioni ad elevato
rischio di positività troponinica in relazioni a manipolazioni
dirette ed indirette del miocardio, quali le procedure di
rivascolarizzazione miocardica in corso di emodinamica e di
chirurgia cardiaca.
Procedure coronariche percutanee.
Una elevazione dei marcatori biochimici dopo una angiografia
coronarica od uno stenting intracoronarico, o dopo entrambe le
procedure associate, è indicativo di morte cellulare. Poiché
questa necrosi consegue ad una ischemia miocardica, dovrebbe
essere definita come IM in accordo con i nuovi criteri.
All’analisi multivariata, i
predittori più importante di mortalità, sia a breve che a lungo
termine, sono risultati la presenza di nuove onde Q all’ECG e
l’elevazione della CK-MB >8 volte il limite superiore di
riferimento (in assenza di onde Q all’ECG), mentre elevazioni
inferiori della CK-MB (5-8 volte, 3-5 volte, <3 volte il limite
superiore di riferimento) non sono risultate predittive (16).
Per le troponine, le informazioni
appaiono ancora limitate.
Bertichant e coll. (17) hanno
dimostrato che l’elevazione della troponina I (cTnI) e della
troponina T (cTnT) dopo procedura di rivascolarizzazione
percutanea non si correla ad una prognosi peggiore a lungo
termine (follow-up medio di 19 mesi).
Più vasta l’esperienza riportata
da Fuchs e coll. (18,19); in un suo lavoro ha arruolato
prospetticamente e in maniera consecutiva 1129 pazienti,
valutando la cTnI ogni 8 ore per le prime 24 ore dopo la
procedura: solo i 175 pazienti (15.5%) che mostravano un picco
di cTnI >15 volte il limite superiore di riferimento del
metodo utilizzato nello studio, hanno evidenziato una avversa
prognosi intraospedaliera, con una incidenza di morte pari a
1.6% versus 0.6% e 0.1% che identificavano rispettivamente il
gruppo con aumenti di cTnI compresi tra 5 e 15 volte il limite
di riferimento e il gruppo con cTnI <5 volte tale limite. Questo
aumentato rischio si perdeva al follow-up a medio termine (8
mesi).
Chirurgia cardiaca.
Il danno miocardico che si realizza nel contesto
cardiochirurgico può essere causato da diversi meccanismi che
comprendono il trauma diretto causato dal processo di sutura, il
trauma focale causato dalla manipolazione chirurgica del cuore,
l’ischemia globale dovuta ad una inadeguata perfusione o ad una
inadeguata protezione cellulare o ad uno stato di anossia, l’embolizzazione
a partenza dal ‘graft’ arterioso o venoso e altre complicanze
della procedura.
Parte di questo danno può essere
inevitabile. Nessun marcatore biochimico è in grado di
differenziare il danno causato da un IM da quello che
comunemente accompagna l’intervento chirurgico stesso.
Nondimeno, più alto è il valore del marcatore cardiaco
riscontrabile dopo la procedura cardiochirurgica, più esteso
risulta essere il danno, indipendentemente dal meccanismo
fisiopatologico che lo ha causato.
Infine, sempre relativamente al
rapporto tra troponina e diagnosi di Infarto Miocardico,
va sottolineato con forza che questa “ etichetta “ non è
priva di conseguenze per il paziente: influisce sulla sua
condizione psicologica, può condizionare il suo iter
professionale, può creare difficoltà nella sua carriera
professionale, nel rilascio di patenti di guida o di volo, nella
concessione di assicurazioni sulla vita. Non di minore
importanza sono le implicazioni di carattere sociale, che
riguardano i DRGs, il sistema di rimborsi ospedalieri, le
statistiche sanitarie, la eventuale concessione di invalidità o
di esonero dal pagamento di tickets sanitari.
Il dosaggio della troponina è di
impiego corrente nei protocolli di valutazione rapida dei
soggetti con dolore toracico e dovrebbe essere
preferibilmente applicato a pazienti in cui il sospetto di
ischemia miocardica acuta è almeno moderato, con il fine di
identificare il rischio di eventi ischemici acuti a breve
termine. Al contrario, l’applicazione indiscriminata della
determinazione dei marcatori cardiaci nella popolazione dei
pazienti con “ dolore toracico “ può comportare un aumento di
casi “falsi positivi” o comunque di problematiche organizzative
e gestionali.
Due diverse strategie biochimiche
si confrontano in quest’area. La prima si basa sull’uso
combinato di due marcatori, uno di rapido aumento nel sangue ed
uno con cinetica di rilascio più lenta ma cardiospecifico, come
la troponina (20,21). Come recentemente dimostrato in una
rassegna sistematica della letteratura (22), la mioglobina
è attualmente il marcatore che riveste con più evidenza il ruolo
di marcatore precoce, essendo rilevabile nel sangue entro 2-3 h
dall’inizio della sintomatologia. Essa ha una potenziale utilità
nei pazienti che si presentano nel Dipartimento di Emergenza con
dolore toracico, poiché il suo valore predittivo negativo per
escludere un IM in fase precoce 4 ore dopo il ricovero è
virtualmente del 100% (23).
La strategia dei ‘due marcatori’
è consigliata se il contesto in cui si agisce permette di
modificare il percorso del paziente operando una più precoce
dimissione dal Dipartimento di Emergenza o facilitando
l’identificazione dei pazienti possibili candidati ad una
strategia terapeutica più aggressiva. Il ‘timing’ di
prelievo consigliato, dopo quello basale, è a 4, 8 e 12 ore dopo
l’ammissione(20).
L’impiego unicamente della
troponina, è da attuarsi in situazioni con minore urgenza
decisionale o in condizioni in cui la prevalenza della malattia
coronarica acuta sia significativamente più elevata che nel
Dipartimento di Emergenza (es. UTIC) e quindi la diagnosi di
esclusione di IM sia meno importante. In questi casi può essere
sufficiente il solo dosaggio della troponina con prelievi
effettuati all’ammissione, a 6 e 12 h (24).
Si ricordi che comunque è
opportuno ricoverare i pazienti con dolore toracico e ricerca
positiva della troponina, perché l’incidenza di Morte + IMA
non-fatale in questi casi è del 12% durante la degenza e 19% a
30 giorni dall’episodio.
Qualsiasi entità di danno miocardico, evidenziata mediante la
determinazione delle troponine cardiache, comporta un
peggioramento della prognosi del paziente a lungo termine.
La troponina è in grado di
identificare un sottogruppo di pazienti
con presenza di un elevato grado di compromissione
aterosclerotica dell’albero coronarico associato a caratteri
di “instabilità”, ( Fig. 1) cui si associa una prognosi a
lungo termine peggiore rispetto ai pazienti con troponina
negativa.
Una recente esperienza ha
valutato 414 pazienti con dolore toracico ed ECG negativo per
modificazioni ischemiche acute, ammessi per osservazione clinica
in “Chest Pain Unit” (CPU) (25). I pazienti sono stati seguiti
per un anno dopo l’evento indice; una elevazione della troponina
(T in questo specifico caso) è stata identificata nell’8.9% dei
casi. La presenza di malattia aterosclerotica coronarica è stata
documentata nel 90% dei casi con marcatore positivo vs il 23%
dei pazienti troponina-negativi (25). Inoltre, i pazienti
troponina-positivi hanno mostrato un più frequente riscontro di
stenosi coronariche severe e di lesioni calcifiche o con
caratteri di “ulcerazione” o occlusioni complete rispetto ai
pazienti troponina-negativi. La frequenza cumulativa di eventi
nei pazienti troponina-positivi è risultata significativamente
più elevata che nei pazienti troponina-negativi (8% vs 1% per la
combinazione di morte/IM nonfatale). La positività al test della
troponina è risultato essere un predittore di rischio più
potente della positività al test CK-MB. Quando entrambi i
marcatori erano inseriti in modello statistico multivariato, la
CK-MB non aggiungeva informazioni utili rispetto alla positività
al test della troponina. Tali dati sono stati confermati da
un’analoga coorte studiata da Newby e coll. (26).
D’altra parte i dati presenti in
letteratura dimostrano che l’esclusione del danno miocardico non
è da sola sufficiente a decidere la dimissione del paziente, dal
momento che anche in assenza di danno miocardico si possono
comunque verificare complicanze in grado di determinare
necessità di rivascolarizzazione.
Negli ultimi anni il dosaggio
della troponina è stato utilizzato anche in patologie differenti
da quella relativa alla cardiopatia ischemica acuta ( Sindrome
Coronarica Acuta ), che possono comunque indurre danno
miocardico con release di troponina nel sangue.
Qui di seguito vengono analizzate
alcune di queste condizioni patologiche con possibile aumento
nel plasma delle troponine, la cui determinazione ha per lo più
assunto valore prognostico.

immagine da: Sindrome Coronarica
Acuta: i marcatori di rischio coronario: fare ricerca, fare
diagnosi, fare clinica : Dr. Marcello Galvani – Monografia
- SCOMPENSO CARDIACO
Lo scompenso cardiaco è un
processo dinamico con spontanea progressione verso la severità .
La degenerazione delle cellule
miocardiche sino alla morte rappresenta il substrato anatomico
per la riduzione nel tempo della funzione di pompa,
indipendentemente dai possibili meccanismi fisiopatologici alla
base di questo processo. Nei pazienti affetti da scompenso
cardiaco, soprattutto negli stadi più avanzati, III e IV classe
NYHA, è comune ritrovare la presenza nel sangue di troponina, la
cui entità ha assunto valore prognostico.
Come a tutti noto la “ Sindrome
dello Scompenso Cardiaco “ ha nel processo di rimodellamento
ventricolare la sua progressione. Tra i fattori collegati a
questo processo ve ne sono alcuni che certamente possono essere
alla base del processo di rilascio della troponina in circolo:
alterazione dei miociti, necrosi dei miociti, miocitolisi,
apoptosi, sostituzione fibrotica del tessuto muscolare,
rimodellamento ventricolare, stretcing miocardico ecc.
Sulla base di quanto sopra detto
, Missov nel 1997 (27) scrisse “ la evidenza di rilascio della
Troponina I nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio
riflette una severa compromissione della funzione sistolica del
ventricolo sinistro. Questa ipotesi è coerente con il fenomeno
biologico alla base del progressivo deterioramento della
funzione di pompa, la miofibrinolisi, e ben si correla alla
fisiopatologia della malattia “.
La conseguenza di questo
ragionamento è che i pazienti con scompenso cardiaco e presenza
di troponina, presentano prognosi peggiore rispetto a quelli con
la stessa patologia, nei quali la troponina è negativa (28).
Nei pazienti affetti da scompenso
cardiaco è frequente il dosaggio della BNP sia al fine di
chiarire il quadro clinico ( BNP elevato nei pazienti con
scompenso) sia per valutare la risposta terapeutica e la
prognosi.
In questi pazienti ritrovare
incremento del BNP associato ad aumento della troponina,
significa aver isolato un gruppo con rischio 12 volte più
elevato di mortalità (29).
Pertanto le troponine sono da
considerarsi markers di progressione dello scompenso con
indicazione di prognosi peggiore; possono aiutare il clinico a
migliorare l’intervento terapeutico e ad assumere decisioni in
merito alla urgenza del trapianto cardiaco.
- EMBOLIA POLMONARE
In circa il 30-50% dei pazienti
affetti da embolia polmonare è possibile rilevare incremento
delle troponine (30).
Yalamanchili et al (31)
hanno dimostrato non solamente il valore diagnostico
dell’incremento della troponina I in pazienti con sospetta
embolia polmonare ma anche la capacità prognostica di questo
marker bioumorale: più elevata mortalità intraospedalera nei
pazienti con incremento della troponina.
Questi dati clinici trovano la
loro spiegazione nel meccanismo fisiopatologico alla base del
release delle troponine: in corso di embolia polmonare il
fenomeno sarebbe imputabile al danno cellulare relativo allo
stress di parete causato da un sovraccarico acuto del ventricolo
destro(33); l’incremento permetterebbe di individuare pazienti
con maggior compromissione del ventricolo destro e sarebbe
direttamente correlato a complicanze, recidive e mortalità
intraospedaliera e a breve termine.
- SEPSI – SHOCK SETTICO
Numerose sono le segnalazioni di
incremento dei valori di troponine in pazienti in corso di sepsi
o di shock settico. Generalmente i pazienti con positività della
troponina sono quelli con quadro di scompenso cardiaco e sono
più anziani (33).
Fisiopatologicamente un ruolo
determinante nell’incremento delle troponine in questi quadri
settici è svolto dal pabulum microbiologico capace di
determinare necrosi parcellare miocardica.
- MIOCARDITI
L’associazione tra elevazione
della troponina e miocarditi è prevedibile ed è stato oggetto di
numerosi lavori scientifici (34,35) con risultati discordanti:
….. trovò valori elevati di troponina T (cutoff > 0.1ng/ml )
in solamente 28 degli 80 pazienti con sospetta miocardite con
valori di sensibilità, specificità, VPP e VPN rispettivamente
di: 53%, 94%, 93%, 56%. Pertanto il monitoraggio di questo
parametro può aiutare nel processo diagnostico di fronte a casi
sospetti, in particolare nel primo mese dall’inizio dei sintomi
cardiaci, ma la negatività del dosaggio di troponina non esclude
comunque la presenza della malattia.
- STROKE
Negli ultimi tempi la ricerca
clinica si è soffermata sul ruolo prognostico delle troponine
nel paziente affetto da ictus cerebrale. Sul British Medical
Journal del 2000, James e collaboratori (36) hanno pubblicato
dati sul rapporto tra livelli di troponina e rischio di morte in
pazienti ricoverato per ictus: la mortalità in quelli con
concentrazione di cTnT > 0.1 ng/l era del 40% versus 13% nei
malati con concentrazione inferiore.
Le possibilità interpretative
sulle cause di incremento della troponina in questi pazienti
sono ben espresse dal commento dell’autore del lavoro “
Previous studies have suggested that cardiac damage after a
stroke is neurally mediated through abnormal autonomic
discharges.
Noradrenaline
concentrations are raised after a stroke, and higher
concentrations have been associated with myocardial changes.
“. Il rapporto tra danno
miocardico da iperincrezione di catecolamine, secondaria a
rapido incremento della pressione intracranica e rilascio di
enzimi cardiaci trova solide basi fisiopatologiche in
documentazioni, che partono dal 1979 (37) e che coinvolgono
negli anni successivi anche la troponina ( 36).
D’altra parte è noto che in
alcuni pazienti compaiono alterazioni elettrocardiografiche in
corso di stroke, tipiche per cardiopatia ischemica acuta e che
non è infrequente la coesistenza delle due patologie, dal
momento che possono avere come comun denominatore la patologia
ateroscletica.
La interpretazione “
neuroendocrina “ del danno miocardico e del valore prognostico
delle troponine nello stroke, è stato anche recentemente
ribadito dal gruppo neurologico italiano dell’Università di Roma
2 La Sapienza “ ; nel lavoro pubblicato nel 2005 da Di
Angeloantonio ( 38) il 50% dei pazienti ricoverati per ictus con
valori di troponina I > 0.4ng/ml sono morti durante la degenza.
Risultati opposti sono riportati
nel recente lavoro di Thorleif (39): l’analisi multivariata tra
fattori di rischio e prognosi in pazienti con stroke ha
dimostrato l’esistenza di correlazione con grandezza della
lesione, coinvolgimento insulare, severità dello stroke, sesso,
età; assente invece la correlazione tra prognosi e incremento di
NT-proBN presente in quasi 2/3 dei malati ed aumento delle
troponine documentato in pochi casi.
L’autore peraltro così commenta
il lavoro di James “ Io non posso cnfermare quanto recentemente
riportato relativamente alla elevate frequenza del 17% di
positività di cTnT in patienti con stroke ischemico acuto, nei
quali il valore medio di troponina è di 3.29 µg/L e la mortalità
incrementa di 3 volte “.
- PAZIENTI CRITICI
La coorte di pazienti presi in
esame è rappresentata da malati ricoverati in terapia intensiva
affetti da patologie diverse quali: cardiache ( Sindromi
Coronariche Acute ) , traumatiche, settiche, post-chirurgiche,
respiratorie ecc.
La disparità di condizioni
patologiche alla base della condizione critica del paziente, si
riflette sulle variabili fisiopatologiche che possono essere
implicate nel determinismo del danno miocardico e quindi con il
rilievo di aumento delle troponine.
Tre i possibili principali
meccanismi fisiopatologici:
-
Ischemia da discrepanza
-
Insulto miocardico diretto
-
Myocardial strain
La presenza di valori elevati di
troponine in pazienti critici è abbastanza comune e risulta un
marker indipendente di mortalità a breve termine (40).
Prognosticamente altrettanto importante è la negatività di
questo parametro bioumorale.
- INSUFFICIENZA RENALE
In letteratura i dati più
consistenti sono relativi a pazienti con insufficienza renale in
stadio avanzato, condizione non infrequente a rilevarsi anche
nel follow-up di cardiopatici, in primis quelli affetti da
scompenso cardiaco.
La causa di morte più frequente
in pazienti con insufficienza renale in stadio avanzato è la
morte cardiaca ( 45% dei casi ) e, nei dializzati, il 20% delle
morti cardiache sono da attribuirsi ad infarto miocardico acuto.
Numerosi lavori recenti dimostrano nella insufficienza renale la
esistenza di correlazione tra mortalità cardiovascolare ed
incremento nel plasma delle troponine (41). D’altra
parte anche nei pazienti con insufficienza renale non sottoposti
a dialisi, il rilievo di valori patologici di troponina T (
cutoff 99° percentile), si associa ad un rischio di morte doppio
o quadruplo entro 2-3 anni.
I meccanismi alla base
dell’incremento di troponine in questi pazienti è veramente
difficile da spiegare e non certamente univoco.
Si ipotizza una regressione di
isoforme cardiache a livello dei muscoli scheletrici, la
frequente presenza di ipertrofia miocardica con conseguente
alterazione del rapporto flusso coronarico/massa miocardica, il
danno diretto delle cellule miocardiche da parte della uremia,
la possibile amplificazione dei valori da ridotta escrezione
ecc.
Importante, ai fini
epidemiologici, il lavoro di Khan e al., il quale attraverso la
revisione di 28 lavori pubblicati tra 1999 e il Dicembre 2004,
esamina 3931 pazienti sottoposti a dialisi di durata media 4
anni: valori > 0.1ng/ml di troponina I identificano una
condizione ad elevato rischio di morte cardiaca, anche se i
pazienti risultavano asintomatici; ciò in accordo con De Filippi
(43) , il quale aveva dimostrato la esistenza di coronaropatia
multivasale nei pazienti neuropatici con valori più elevati di
troponina T.
In termini pratici la evidenza di
incremento delle troponine in questa malattia, dovrebbe spingere
il clinico ad una ricerca più attenta di patologia cardiaca di
natura ischemica, magari di un danno miocardico subclinico, così
da implementare un trattamento terapeutico più aggressivo e
mirato.
- ARTERIOPATIA
Studi autoptici hanno dimostrato
che più del 90% dei pazienti con vasculopatia sono portatori di
aterosclerosi coronarica ( 44)
Pazienti con patologia ischemica
cronica critica agli arti inferiori vanno incontro a frequenti
complicanze post-operatorie con mortalità e mobilità cardiaca
elevata.
Studi recenti hanno prospettato
l’impiego del dosaggio della troponina I in fase pre-operatoria
per la stima del rischio. In uno studio prospettico Sarveswaran
e coll. (45) hanno evidenziato in pazienti con ischemia cronica
critica agli arti inferiori una correlazione altamente
significativa tra valori di troponina I dosati all’atto del
ricovero e la prognosi successiva: I pazienti con valori di
troponina I > 0.1 ng/ml hanno mostrato nel follow-up una
mortalità globale del 73% versus il 24% per pazienti con
troponina < 0.1 ng/ml.
Le ragioni del rilascio di
troponina potrebbero essere legate a micronecrosi silenti del
miocardio o a stati tachicardici non infrequenti in questi
pazienti, legati a stati settici o infiammatori, con incremento
della domanda di ossigeno e periodi prolungati di ischemia da
discrepanza; d’altra parte sono anche possibili effetti
citotossici da parte di mediatori chimici infiammatori quale
interleuchina 6, tumor necrosis factor ecc., presenti in alta
dose in questa patologia.
Non possiamo dimenticare altresì
che in questi pazienti i fattori di rischio sono comuni e
numerosi, precostituendo una condizione di alta vulnerabilità
cardiaca; la positività del test per la troponina dovrebbe
indurre ad una strategia terapeutica preventiva più intensa ed
efficace.
Da tutto quanto sopra esposto
possiamo concludere che:
-
Le troponine cardiache sono markers sensibilissimi di
danno miocardico, rilevabili in tutte le condizioni, nelle quali
si determinano alterazioni, anche minime, del tessuto miocardico
-
Vi sono patologie nelle quali è chiaro il rapporto tra
incremento delle proponine, diagnosi e prognosi della malattia;
nei casi di incremento modesto delle troponine e quadro clinico
non chiaro, bisogna agire con prudenza e con grande
discernimento
-
Il dosaggio delle troponine nella valutazione diagnostica
e prognostica delle SCA è sufficientemente condiviso nel suo
risvolto pratico-decisionale; meno condiviso è il significato di
tale misura nelle numerose condizioni patologiche prese in
esame, nelle quali il danno miocardico è, inizialmente,
secondario rispetto alla patologia nell’ambito della quale si
determina
-
Rimane inequivocabile dai dati presenti in letteratura
che, in ogni caso, scaramanticamente è “ meglio non avere
che avere un valore patologico di troponina “
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