ColesterolO e Rischio Cardiovascolare
Vincenzo Capuano, Fabio Franculli, Giuseppe Di Maso, Matteo
Sonderegger, Giuseppe La Sala, Giuseppe Di Mauro, Liberata
Ricciardi, Sergio Torre, Teodora D’Arminio, Vincenzo D’Antonio,
Giuseppe Vecchio.
Unità
Operativa Complessa di Cardiologia ed UTIC –
Ospedale Amico “G.Fucito di Mercato San Severino – ASL SA 2
Scopo di questo lavoro non è di ricordare e discutere la ben
nota correlazione tra ipercolesterolemia e rischio
cardiovascolare, ma piuttosto di favorire una riflessione sugli
aspetti particolari di tale rapporto e sulla difficoltà di
tradurre questa ben nota acquisizione in termini terapeutici
ottimali.
La ben nota
correlazione tra rischio cardiovascolare ed ipercolesterolemia
In passato importanti studi epidemiologici hanno dimostrato la
correlazione tra valori di colesterolo ed eventi cardiovascolari
in modo molto chiaro, individuando, da subito, nell’ipercolesterolemia
uno dei maggiori fattori di rischio della malattia
aterosclerotica (1-2). I dati della letteratura hanno in
particolar modo evidenziato una correlazione diretta degli
eventi cardiovascolare con i valori di LDL-Colesterolo ed
indiretta con i valori di HDL-Colesterolo. Per grossi linee una
riduzione di un mg di colesterolo riduce il rischio di eventi
coronarici dell’ 1 % così come un incremento di un mg di
colesterolo HDL decresce lo stesso rischio del 3 % (3).
Recentemente lo sudio INTERHEART ha confermato che le
alterazioni lipidiche sono tra i fattori di rischio per infarto
del miocardio quelli con indice relativo più alto in assoluto
(4).
Negli ultimi quindici anni numerosi trial che hanno testato
l’effetto delle statine hanno dimostrato che il rischio
cardiovascolare si riduce parallelamente ai valori di
colesterolemia media della popolazione trattata questo sia in
studi di prevenzione primaria che in studi di prevenzione
secondaria (5).
La quasi totalità di questi trial di intervento ha dimostrato
come la terapia ipolipidemizzante sia in grado di ridurre gli
eventi cardiovascolari in modo concreto ed essendo la riduzione
degli eventi lineare con la riduzione dei valori di
colesterolo-LDL si è sviluppato il concetto “ lover is better”.
I costi delle statine e le linee guida
È ovviamente impensabile che questa considerazione, nella realtà
clinica, possa tradursi con il trattare tutta o quasi tutta la
popolazione per cui si sono sviluppate delle linee guida che
ottimizzano gli interventi farmacologici in termini di costo/benifici.
Sono stati individuati dei target da raggiungere nelle varie
popolazioni di pazienti. Attualmente le line guida più
comunemente condivise sono quelle dell’ATP III (6) che prevedono
in prevenzione secondaria, nei pazienti diabetici, e nei
pazienti in prevenzione primaria, ma ad alto rischio un trget di
colesterolo LDL < 100 mg/dl. In prevenzione primaria nei
pazienti non ad alto rischio il target si modifica con il
modificarsi dei fattori di rischio associati.
Le principali
problematiche
Le evidenze scientifiche da un lato e la possibilità di
effettuare una terapia efficace e con scarsi effetti collaterali
(5) dall’altra porterebbero a pensare che tutto ciò si traduca,
nella pratica clinica, in programmi terapeutici che coinvolgono
larghi strati di popolazione. Invece numerosi lavori,
analizzando i livelli di colesterolemia della popolazione, hanno
dimostrato che vi è una larga fascia di persone non trattata del
tutto o non trattata in modo opportuno (7-9).
È necessario pertanto che la comunità medica prenda atto di
questi dati e che si ponga in modo più appropriato rispetto a
questo importante fattore di rischio dell’aterosclerosi.
Dislipidemie
familiari
Altro problema di particolare importanza è rivestito dalle
dislipidemie. I pazienti con dislipidemia familiare vanno
riconosciuti e trattati a prescindere dai loro valori ematici
dei lipidi e dal punteggio ricavato dagli score dedicati alla
popolazione generale.
Le dislipidemie sono comunemente considerate, più che entità
nosologiche specifiche, dei disturbi metabolici dovuti a
disordini alimentari e/o comportamentali in grado di causare un
aumento del rischio cardiovascolare. Tutto ciò è, in parte,
vero, ma occorre essere consapevoli che molte forme di
dislipidemia riconoscono, seppure in modo variabile, cause
genetiche
(10,11) e la loro corretta identificazione è fondamentale per
individuare un gruppo di soggetti ad alto rischio di eventi
cardiovascolari.
Le iperlipidemie familiari sono la conseguenza di alterazioni
congenite del metabolismo in cui la dislipidemia non rappresenta
un semplice fattore di rischio, ma, in molti casi, un vero e
proprio momento causale della malattia aterosclerotica. Questi
pazienti, se stratificati con le carte del rischio coronarico,
mostrano un punteggio per futuri eventi cardiovascolari
fortemente sottostimato. Le dislipidemie familiari sono spesso
causa o concausa di eventi cardiovascolari giovanili. L’iperlipidemia
familiare combinata è la prima causa metabolica di eventi
cardiovascolari in giovane età. D’altra parte in soggetti con
iperlipidemia familiare è possibile individuare alterazioni
specifiche della funzione dell’apparato cardiovascolare (12,13).
Tali problematiche sono ampiamente note, ma, raramente, sono
tenute in considerazione nella pratica clinica perché i medici,
sono abituati a ragionare più sui valori di colesterolemia, che
sulle cause che determinano questi valori.
Un problema presente quando si vuol descrivere la genetica delle
dislipidemie è rappresentato dalla eterogeneità delle basi
molecolari di queste alterazioni metaboliche. Accanto a forme
che riconoscono la loro causa in difetti localizzati in unico
gene, ne sono state descritte altre che mostrano difetti
genetici complessi, la cui trasmissione è influenzata da un
elevata variabilità del livello di penetranza ed altre ancora
causate dall’interazione tra difetti poligenici e fattori
ambientali. Esiste dunque un gruppo numeroso di alterazioni che
spesso si presentano fenotipicamente simili ma che sono la
conseguenza di processi profondamente diversi.
Nella pratica clinica quotidiana, un altro motivo di
confusione è che comunemente si ritiene che le dislipidemie
familiari siano sempre conseguenza di una causa genetica ben
nota e per questo la loro diagnosi debba avvenire solo
attraverso specifiche indagini sul DNA. Viceversa in nessuna
altra condizione come nelle alterazioni del metabolismo lipidico
la corretta raccolta dell’anamnesi familiare rappresenta una
tappa fondamentale per la diagnosi.
Anche il sospetto diagnostico di dislipidemie familiari
con base genetica ben conosciuta (per es. l’ipercolesterolemia
familiare) non può essere confortata dall’uso di routine di
metodiche genetiche (costo elevato); tali test andranno
riservati solo a casi particolari. La diagnosi dunque va
effettuata mediante un’accurata anamnesi, un attento esame
clinico e avendo a disposizione gli esami ematochimiai classici:
colesterolemia totale, colesterolemia-LDL, colesterolemia-HDL e
trigliceridi, del probando e dei suoi familiari.
HDL Colesterolo
Come accennato all’inizio dell’articolo un altro metodo efficace
per ridurre il rischio cardiovascolare sembrerebbe quello di
incrementare l’HDL colesterolo.
Questo è un target che il medico deve tenere presente anche se è
un obiettivo oggi scarsamente perseguibile. Recenti studi hanno
segnato il fallimento di possibili terapia tese a raggiungere
questo risultato. In particolare ricordiamo gli studi condotti
con Torcetrapib che hanno deluso le attese, mentre attendiamo
con attenzione nuovi studi che confermino gli iniziali dati
promettenti di altre due molecole: CSL-111 e ETC-216.
In tempi decisamente più brevi sarà particolarmente interessante
monitorare i vantaggi del Rimonabant. Il rimonabant ha infatti
dimostrato di incrementare in modo concreto i valori di HDL in
più studi effettuati in pazienti obesi.
Sicuramente attente osservazioni sul Rimonabant e lo studio di
ulteriori farmaci ci diranno se sarà possibile incidere in modo
concreto sul rischio cardiovascolare agendo in modo specifico
sulle HDL-Colesterolo.
Ipercolesterolemia nell’infanzia
Particolare difficoltà si incontra quando si deve valutare
l’opportunità di una terapia nei bambini con valori elevati di
lipidi. Ci piace pertanto ricordare in questo lavoro quali sono
i target in questa popolazione.
Precedentemente sottostimata, l’incidenza di dislipidemia in età
pediatrica è oggi monitorata con maggiore attenzione sia dai
Pediatri che dai Lipidologi. Il
NCEP propone un schema per il trattamento dell’ipercolesterolemia
nei bambini e negli adolescenti di età compresa tra 2 e 19 anni
(13):
•
LDL-Colesterolo < 110 mg/dl: Dieta sana e consigli per la
riduzione degli altri fattori di rischio.
•
LDL-Colesterolo 110 - 129 mg/dl: Dieta e riduzione degli altri
fattori di rischio. Rivalutazione dopo un anno.
•
LDL-Colesterolo > 130 mg/dl: Dieta e riduzione degli altri
fattori di rischio, con una ricerca più attenta delle cause.
Rivalutazione dopo un anno.
Il primo
approccio terapeutico, in prevenzione primaria, inizia sempre
con i cambiamenti dello stile di vita (TLC) e con un’attenta
valutazione tesa ad individuare le forme secondarie di
dislipidemia (dosando il TSH e praticando i test di funzionalità
epatica e renale). La terapia farmacologia deve essere
considerata, solo dopo 6-12 mesi di dieta, se l’LDL-C
> 190 mg/dl in
assenza di altri fattori di rischio per CHD; o
> 160 mg/dl in presenza di due o più fattori di rischio
aggiuntivo con un target di LDL-C almeno
< 130 mg/dl ed ottimale < 110 mg/dl e < 100 mg/dl in pazienti
diabetici.
Le resine e le statine sono i farmaci generalmente usati. La terapia farmacologia è consigliata solo dopo i 10 anni di
età nei ragazzi e dopo il menarca nelle ragazze, anche
considerando che spesso la pubertà coincide con un miglioramento
dell’assetto lipidico, che andrà controllato ogni 6 mesi fino al
target, poi ogni anno.
Non solo
l’ assunzione cronica di colestiramina, ma anche la dieta
ipolipidica si associano potenzialmente a deficit di apporto di
vitamine liposolubili ed oligoelementi, per cui è necessario uno
stretto monitoraggio di crescita e sviluppo, in stretta
collaborazione con lo Specialista Pediatra.
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