IL TRATTAMENTO DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO NELL’ANZIANO

 

Gennaro Bellizzi

 

U.O.C. Cardiologia-UTIC Ariano Irpino – ASL Av/1

 

L’aumento della vita media nei paesi occidentali si è associata con l’incremento dell’incidenza della malattia coronarica.

Le statistiche in questo senso sono molto eloquenti:

-          uno studio statunitense (National Hospital Discharge Survey) del 1999, sottolineava che fra tutti i pazienti colpiti da infarto miocardio acuto (IMA), il 6,4 % risiedevano nella fascia oltre i 65 anni e ben il 36,8 % oltre i 75;

-          una statistica successiva (2005) dell’AHA riferiva come nell’ anno precedente su un milione e centomila eventi catalogati come “attacco di cuore”, il 75 % aveva colpito uomini e donne oltre i 65 anni e addirittura l’85 % dei m orti per malattia coronarica aveva superati i 65 anni;

-          in Italia il BLITZ I indica nel 27 % gli ultrsettantacinqueni ricoverati per IMA nelle Unità Coronariche (UTIC);

-          il BLITZ II , riferendosi ai ricoveri per sindrome coronarica acuta (SCA) senza elevazione del tratto ST (NSTEMI), segnala nel 28 % gli ultrasettantacinquenni ricoverati nelle UTIC con Emodinamica e nel 36 % quelli ammessi alle UTIC senza cath-lab.

 Purtroppo si segnala anche anche con chiarezza la peggior prognosi dei soggetti anziani colpiti da SCA:

-          uno studio pubblicato su Circulation nel 1996 mostra che, dopo i 70 anni, la mortalità a 30 gg e d un anno si impenna letteralmente, raggiungendo percentuali del 50 %, per l’età di 85 anni;

-          il BLITZ I evidenzia percentuali di mortalità intraospedaliera crescenti, con l’avanzare dell’età:

               0,8 %                  <  55 anni

               4,5 %                  55 – 75 anni

               17,6 %                >  75 anni.

Molte sono le motivazioni che determinano questi sfavorevoli dati di outcome, alcuni riconducibili certamente al principio che “ è la stessa vecchiaia il maggior predittore di morte di tali soggetti”:

-          l’aumentata rigidità vascolare;

-          l’alterata funzione endoteliale;

-          la perdita del vantaggio del precondizionamento ischemico;

-          la ridotta angiogenesi;

-          l’associazione con altre comorbidità;

-          la sintomatologia atipica e l’ECG non diagnostico;

-          il maggior numero di lesioni coronariche;

-          la frequente presenza di un precedente danno miocardio.

 

Purtroppo, a fronte di una più alta incidenza di rischi di complicanze anche mortali, spesso il trattamento delle SCA in questi soggetti risulta meno intensivo rispetto a quanto le linee guida suggeriscono.

Il BLITZ I segnala, per esempio che nella SCA con elevazione del tratto ST (STEMI), mentre i soggetti fino ai 55 anni trattati con angioplastica (PTCA) o trombolisi sono stati il 78 %, negli ultrasettantacinquenni tale percentuale quasi si dimezza (43 %), ciò a prescindere dalla stima del TIMI risk score.

E non va meglio neppure per l’utilizzo degli inibitori IIB – IIIA dopo PTCA primaria, che, secondo il registro IDEA, avviene solo nel 40 % degli ultrasettantenni, a fronte del 72 % dei soggetti di età inferiore.

Le motivazioni di un siffatto comportamento sono diverse e non sempre legate ad un atteggiamento scientificamente razionale:

-          timore degli effetti collaterali di farmaci e/o procedure;

-          aspettativa di vita non particolarmente lunga;

-          presenza di eventuali comorbidità che fanno temere sia un’aspettativa di vita breve, sia più facili complicanze iatrogene;

-          ragioni economiche.

Una recente (aprile 2007)analisi del registro CRUSADE offre una decisa risposta a tali perplessità: tale analisi ha riguardato 5000 pazienti ultranovantenni con SCA e ha valutato la mortalità ospedaliera di tali soggetti in confronto a un gruppo di età variabile fra i 75 e gli 89 anni, in rapporto al livello di aderenza delle terapie praticate rispetto a quelle suggerite dalle linee guida. Questi i dati principali:

 

ADERENZA A TERAPIA

 

MORTALITA’>90ANNI %

 

 

MORTALITA’ 75-89 ANNI %

       0-25 %

                    18,9

                      14,7

      26 – 50 %

                     11

                        8,3

      51-75 %

                      10,2

                        6,7

      76-100 %                                  

                     11,1 

                         6,2

 

                                                    CASI DI EMORRAGIE

 

 

Numero terapie praticate

 

>90 aa %

 

75-89 aa   %

 

                     0  

                 0

             9

                     1

                  3,5

              8,3

                     2

                10,9

             11,2

                     3

                11,3

             10,8

                     4

                13,6

              11,4

                    5

                17,3

               15,4

 

Un altro dato recente lo si può ricavare  indirettamente da uno studio(riportato il 9 luglio u.s.) di un gruppo dell’Università di Tel Aviv che ha trattato 65 ultranovantenni sia affetti da SCA che da angina stabile severa,  con PTCA + stent.

Questo studio ha dimostrato che i soggetti portatori di angina stabile avevano , dopo la procedura , una prognosi migliore rispetto a quelli con SCA, ma per tutti i soggetti la sopravvivenza era prolungata rispetto a quella comunemente attesa per i pazienti non trattati aggressivamente.

 

QUALI TRATTAMENTI?

 

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il trattamento riperfusivo risulta assolutamente da praticare:

TROMBOLISI FARMACOLOGICA:

L’analisi dei cinque maggiori studi sulla trombolisi nella SCA STEMI effettuati negli ultimi anni dimostra che la riduzione della mortalità nei soggetti con oltre 65 anni è inferiore a quella dei più giovani (16,9 % contro 25,7%) . La metanalisi FTT indica un ulteriore riduzione di questo vantaggio ( 16 %) nei soggetti particolarmente anziani (oltre 80 anni), che peraltro appare ancora ben evidente.

La trombolisi nella SCA STEMI dell’anziano merita uno spazio particolare:

-          quando non sia facilmente e in tempi brevi reperibile un cath-lab;

-          quando sia praticabile una trombolisi preospedaliera.

Il rischio emorragico nell’anziano appare particolarmente significativo e talora potrebbe ricondursi ad una sottovalutazione delle problematiche di insufficienza renale che alterano il metabolismo dei farmaci (non solo del trombolitico ma anche degli altri farmaci associati, come l’eparina o gli inibitori IIB-IIIA); tale rischio può essere prevenuto:

-          utilizzando il TNK che ha mostrato mino rischio di sanguinamento rispetto all’rtPA;

-          associando dosi ridotte di eparina ed evitando il bolo iniziale.

 

LA PTCA

Non c’è dubbio circa i vantaggi di tale procedura rispetto alla trombolisi farmacologia.

Lo studio di De Boer (2002 JACC) condotto su 65 pz >75 aa trattati con PTCA  o con somministrazione di trombolitico, è in tal senso il più inequivocabile:

MORTE A 30 gg          

     PTCA  9 %

      THR     29 %

MORTE A 1 anno

     PTCA 16 %

       THR    44 %

 

 

Già in precedenza, tuttavia ( Cooperative Cardiovascular Project – 1999 JAMA) si segnalavano numeri diversi ma tendenza analoga:

MORTE A 30 gg

     PTCA 10 %

    THR  12 %

MORTE a 1 anno

     PTCA  16 %

     THR  19 %

 

Tre trials del 1998 esaminati complessivamente ( J.Intervent. Cardiol) hanno valutato la mortalità intraospedaliera:

Fino a 70 anni

    PTCA   2  %

       THR   5 %

 Oltre 70 anni

    PTCA   4 %

        THR  16 %

 

Nessun dubbio dunque circa la preferenza da accordare alla PTCA per gli indubbi e notevoli vantaggi che si rilevano ancora di più nei soggetti anziani, rispetto alla trombolisi.

Resta il grande problema organizzativo legato alla possibilità di avere 24 h /24 la disponibilità rapida di un cath-lab.

 

LE ALTRE TERAPIE

Come già accennato in precedenza anche per quanto concerne le altre terapie ( inibitori IIB – IIIA, clopidogrel, aspirina, ace inibitori, statine, beta bloccanti), sono stati chiaramente evidenziati in vari studi i vantaggi provenienti dalla loro somministrazione nella SCA anche nei soggetti anziani, a fronte di effetti collaterali solo lievemente maggiori rispetto a quelli rilevabili nei più giovani. Tuttavia il loro uso (salvo che per l’aspirina e gli ace inibitori) è certamente minore di quello che servirebbe, come si rileva per esempio nel caso succitato del registro IDEA (II B – III A post PTCA).

 

DOVE STIAMO ANDANDO?

Anche se lentamente, si sta muovendo qualcosa in senso positivo. La Società Europea di Cardiologia (ESC) pubblicando i dati del registro ACS II (dati 2004)sottolinea una tendenza all’adesione alle linee guida nel trattamento della SCA nell’anziano. Rispetto all’ACS I (dati 2000) si segnala un incremento delle procedure di PTCA da 16 al 24 %, di stent da 12 a 21 %, di utilizzo delle tienopiridine da 17 a 49 % e di statine da 27 a 52 %.

E’ il segnale evidente che certe remore lentamente stanno per essere abbandonate.

 

CONCLUSIONI

La SCA nell’anziano è un evento sempre più frequente e sempre molto temibile in quanto gravato da elevata mortalità.

I trattamenti ancora oggi sono praticati in maniera soltanto parziale o talora non praticati affatto, soprattutto per quanto concerne la riperfusione miocardia ( trombolisi e PTCA e stentino), pur avendo dimostrato in numerosi studi, un ‘efficacia notevole in termine di sopravvivenza sia a breve che a lungo termine.

Attualmente la PTCA e lo stenting risultano i trattamenti di gran lunga più validi, anche se ancora restano, soprattutto in talune aree, dei problemi di natura organizzativa.

Anche per i farmaci di supporto, il loro utilizzo non è ancora pienamente aderente a quanto richiesto dalle linee –guida.

I loro temuti effetti collaterali possono essere fronteggiati attraverso una corretta valutazione delle eventuali comorbidità del paziente e un dosaggio adattato alla condizione del singolo soggetto.

 

BIBLIOGRAFIA

 

1)      Lorenzoni R e al: Le prospettive dell’angioplastica coronarica nell’anziano ultraottantenne  - GIC 2007 vol.8 – pag. 38 – 42

2)      Savonitto S. e al. : Il paziente anziano con sindrome coronarica acuta: maggiore il rischio, minore la cura. – GIC 2006 vol 7  (supp 1 -4)pag 21-29

3)      Teplitsky I e al: Results of percutaneous coronary intrventions in patients >/= 90 years of age -  Cath Cardiov. Interv. 2007 Jul 9 (in stampa)

4)      Skolnick AH: Characteristics, management and outcomes of 5557 patients > or = 90 years with acute coronary syndromes: results from the CRUSADE initiative – JACC 2007 May 1; 49 (17) pag 1790-7

5)      De Boer e al: Reperfusion therapy in elderly patients with acute myocardial infarction – JACC 2002 – Jun 5; 39 (11) 1723-28