LA Nefropatia da mezzo di contrasto: come RICONOSCERLA. COME
prevenirla , come trattarla
Cesare Baldi
Struttura
Complessa di Cardiologia Dipartimento Medico-Chirurgico di
Cardiologia A.O.” S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” -
SALERNO
La nefropatia da mezzo di contrasto (NMC) consiste nella
compromissione acuta della funzione renale successiva
all’impiego per via sistemica di mezzi di contrasto (mdc)
iodati; questa patologia ha fatto registrare negli ultimi anni
un progressivo incremento che l’ha portato a diventare la terza
causa di insufficienza renale acuta in pazienti ospedalizzati e
a coprire da sola il 10% della totalità dei casi. Generalmente,
la NMC mostra un decorso assolutamente benigno ed evolve
raramente in una condizione permanente di compromissione della
funzione renale con un ancora più sporadico ricorso al
trattamento dialitico; purtuttavia, in alcuni sottogruppi
selezionati di pazienti, in particolari pazienti con
preesistente insufficienza renale o affetti da diabete mellito,
la sua incidenza cresce in maniera rilevante associandosi alla
progressione verso la insufficienza renale terminale, alla
necessità della dialisi e, infine ad un tanto significativo
quanto preoccupante aumento della mortalità. L’incremento
dell’uso di
mdc
in procedure diagnostiche ed interventistiche e la esecuzione
sempre più frequente di queste procedure in pazienti anziani, ad
alto profilo di rischio, in condizioni di emergenza, spiegano
perché all’interno della comunità cardiologica si sia sviluppato
un interesse crescente verso questa patologia ed una maggiore
consapevolezza nei confronti delle sue sfavorevoli implicazioni
cliniche.
ü
Epidemiologia
e stratificazione del rischio
La NMC è definita come un deterioramento acuto della funzione renale
caratterizzato da un incremento della creatininemia (Cr)
maggiore del 25% o superiore a 0,5mg/dL rispetto ai valori di
base. Tale incremento si sviluppa entro 3 giorni dalla
somministrazione del mdc, è di solito reversibile nella
maggioranza dei casi ed evolve entro due settimane verso il
ritorno ai valori pre-procedurali; tuttavia alcuni pazienti
possono sviluppare un quadro di insufficienza renale acuta
oligurica associata a valori di Cr > 5 mg/dl con necessità di
trattamento dialitico. Purtroppo le diverse definizioni adottate
per il riconoscimento della NMC, le dimensioni limitate degli
studi clinici, promossi spesso da singoli centri e su poche
centinaie di pazienti, e la composizione delle popolazioni
oggetto di studio sostanzialmente eterogenea per profilo di
rischio, per procedura angiografica e per tipo di trattamento
spiegano la estrema variabilità con cui la sua incidenza è stata
registrata in diversi studi con valori che oscillano dal 2% in
pazienti senza fattori di rischio al 30% in pazienti con fattori
di rischio. Inoltre, rispetto ai pazienti sottoposti al solo
esame angiografico, quelli che vanno incontro a procedura di
interventistica coronarica (PCI) mostrano un rischio più elevato
di sviluppare NMC, a causa non solo della tossicità del mdc
ma anche per la instabilità emodinamica e la conseguente
ipotensione dei pazienti, connesse alla più frequente
disfunzione ventricolare sinistra, alla estensione della
patologia ed al contesto della emergenza clinica.
La conoscenza dei diversi
fattori di rischio connessi alla insorgenza della NMC è di
importanza cruciale per la adeguata selezione dei pazienti
candidati a PCI, in particolare ai fini di una appropriata
valutazione del rapporto costo/beneficio relativo.
Per stratificare il rischio di
NMC post-PCI, Roxana Mehran ha sviluppato un punteggio, in cui
sono incluse le seguente variabili ed a ognuna delle quali viene
assegnato un peso differente, in termini di punti, in relazione
al loro specifico impatto: ipotensione (5 punti,
se la pressione sistolica rimane al di sotto degli 80 mmHg per
almeno 60 m’ con necessità di supporto isotropo), impiego
di contropulsatore aortico (5 punti), scompenso
cardiaco (5 punti se III o IV classe NYHA), età
(4 punti se >75 aa), anemia (3 punti, se
ematocrito < 39% negli uomini o < 36% nelle donne), diabete
mellito (3 punti), volume totale del mdc utilizzato
(1 punto per 100 ml), velocità stimata di filtrazione
glomerulare (GFR in ml/min per 1.73 m2: 2
punti se GFR tra 60 e 40; 4 punti se GFR tra 40 e 20; 6 punti se
GFR <20). Un punteggio finale, derivante dalla somma dei singoli
punti di ognuna delle variabili riscontrate, al di sotto di 6,
compreso tra 6 e 10, tra 11 e 16, o al di sopra di 16 si
associa ad un rischio di sviluppare NMC, rispettivamente, del
7.5%, del 14%, del 26% e del 57%.
Le indicazioni provenienti dallo
studio della Mehran vengono relativamente ridimensionate e, in
qualche modo semplificate, dallo studio CKMB and PCI elaborato
all’interno della comunità del GISE, che ha invece individuato
solo due forti predittori indipendenti di insufficienza renale
acuta (IRA) post PCI: la insufficenza renale cronica e la
disfunzione ventricolare sinistra. La apparente discordanza tra
le analisi multivariate effettuate in questi due studi potrebbe
trovare alcune possibili spiegazioni: l’età non rientra
tra i predittori indipendenti nello studio CKMB and PCI perché
il suo valore informativo è già incorporato, insieme a sesso, e
livelli di Cr, nella formula che consente di determinare la GFR
stimata del paziente; anche il diabete non figura tra i
predittori indipendenti perchè nei pazienti diabetici il rischio
di sviluppare NMC post-PCI è rappresentato principalmente da una
condizione preesistente di insufficienza renale cronica; infine
la ipotensione arteriosa e la necessità di impiegare il
contropulsatore aortico sono manifestazioni collineari
dal punta di vista statistico della insufficienza cardiaca
severa. Pertanto, la insufficienza renale cronica
e la disfunzione ventricolare sinistra sono,
secondo le indicazioni dello studio CKMB and PCI, due parametri
sufficienti per individuare in modo semplice i pazienti a
rischio di sviluppare IRA post-PCI, in maniera da impostare una
corretta profilassi e valutare al meglio il rapporto
rischio-beneficio della procedura.
L’insorgenza di NMC
rappresenta una complicanza seria in quanto risulta associata
all’incremento della morbilità e mortalità del paziente. Il
paziente che sviluppa la NMC ha un rischio aumentato sia di
mortalità intraospedaliera che a lungo termine. Nello studio
retrospettivo di Rihal la mortalità intraospedaliera dei
pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica era del 22% nel
caso di sviluppo di NMC e dell’1,4% nei pazienti senza NMC. La
mortalità a 1 e 5 anni era rispettivamente del 12,1% e del 44,6%
nei pazienti con NMC rispetto al 3,7% e 14,5% in pazienti senza
NMC. In realtà ancora adesso appare controverso se la IRA
post-PCI debba essere considerata un predittore indipendente di
mortalità o se debba, piuttosto, essere interpretata come un
marcatore di insufficienza multisistemica o, ancora, se il suo
impatto clinico incorpori entrambi gli aspetti. Certamente, i
limiti metodologici connessi alle analisi retrospettive
effettuate nell’ambito delle indagini che hanno nel tempo
affrontato questo argomento non consentono di stabilire una
sicura relazione causale tra IRA post-PCI e incremento di
mortalità. Va segnalato che nella recente analisi prospettica
elaborata sui dati dello studio
CKMB and PCI, i due principali
predittori di IRA post-PCI (insufficienza renale preesistente e
disfunzione ventricolare sinistra) sono risultati anche i
principali predittori di mortalità e che nella gerarchia della
regressione logistica multipla l’IRA post-PCI ha conservato nei
confronti della mortalità un valore informativo addizionale
scarso a dimostrazione che i suoi determinanti ne incorporano e
quindi ne oscurano il diretto impatto prognostico indipendente.
ü
Meccanismi
fisiopatologici del danno renale da mezzo di contrasto
L’elevata quantità di sangue
(circa 1200 ml/min) che perfonde il parenchima renale ogni
minuto per essere filtrato rende quest’organo particolarmente
vulnerabile alla azione tossica di una serie ampia di sostanze.
La perfusione renale non è omogenea all’interno dei diversi
distretti del parenchima renale: è di 5 ml/min/g nella
corticale, 1 ml/min/g nella midollare e 0,25 ml/min/g nella
papilla. Questa diversa distribuzione del flusso ematico renale
realizza un gradiente di tensione
parziale di ossigeno (PaO2) tale
che in condizioni basali la PaO2 nella midollare è di 10-30
mmHg, mentre nella corticale sono registrati valori medi di
PaO2 di 50 mmHg con picchi fino a 70 mmHg. Questa osservazione
spiega come ogni riduzione dell’apporto di ossigeno e ogni
incremento del consumo di ossigeno possa tradursi in un insulto
ipossico soprattutto a carico della midollare renale con
conseguente alterazione della sua funzione e il mdc è in
grado di realizzare esattamente queste due condizioni in
simultanea.
Cosa succede dopo la
somministrazione per via sistemica di mdc? Innanzitutto
si determina un fenomeno rapido e precoce di vasodilatazione nel
letto vascolare intrarenale seguito da una prolungata
vasocostrizione da incremento delle resistenze vascolari locali;
al contrario, nel letto vascolare extrarenale si realizza una
transitoria vasocostrizione che precede una stabile riduzione
delle resistenze vascolari periferiche con una successiva
condizione di ischemia renale per riduzione dell’apporto di
ossigeno. Inoltre il mdc si comporta come un potente
induttore di diuresi osmotica determinando un carico
eccessivo di soluti che perviene alla branca ascendente
dell’ansa di Henle e aumentando quindi il consumo di ossigeno
della midollare. Sembra probabile che la adenosina, le cui
concentrazioni urinarie aumentano dopo somministrazione di
mdc o di altre sostanze ad elevata osmolalità, sia il
mediatore principalmente responsabile della risposta bifasica
della emodinamica renale: infatti queste osservazioni sembrano
confermate dal meccanismo di feedback tubuloglomerulare che
viene attivato da un incremento della natriuresi e della
diuresi secondario alla somministrazione di composti ad elevata
osmolalità e che si traduce in una vasocostrizione delle
arteriole afferenti con successivo incremento delle resistenze
vascolari intrarenali e riduzione della GFR. Numerose evidenze
sperimentali hanno documentato che la condizione di ischemia
renale successiva alla somministrazione di mdc non è
imputabile solo a queste profonde alterazioni della emodinamica
intrarenale ma riconosce le sue molteplici cause anche in altri
meccanismi connessi alla ridotta disponibilità di ossido
nitrico, alla sintesi di sostanze vasoattive ad elevata capacità
vasocostrittrice (endotelina) ed in particolare all’incremento
della sintesi di specie reattive dell’O2. I radicali liberi
dell’ossigeno, e tra questi soprattutto l’anone superossido,
tendono a reagire con l’ossido nitrico per produrre il
perossinitrito, una molecola ad elevata capacità ossidativi in
grado di ridurre ulteriormente la disponibilità di ossido
nitrico e di incrementare il danno tissutale. Queste specie
reattive vengono generate all’interno dell’ambiente
sostanzialmente acido della midollare renale ed esercitano i
loro effetti reattivi sui gruppi sulfidrilici e sugli anelli
aromatici delle proteine e sui lipidi delle membrane cellulari
fornendo un contributo ulteriore alla azione vasocostrittice del
mdc. Tutti questi meccanismi che, dopo la
somministrazione di mdc, inducono danno renale attraverso
lo stress ossidativo possono essere potenzialmente neutralizzati
o mediante l’impiego di sostanze che modificano verso valori > 7
i livelli di pH della midollare renale o mediante l’uso di
sostanze che hanno una attività di scavenger dei radicali
liberi.
ü
La scelta del
mezzo di contrasto
La nefrotossicità di un mdc
dipende dall’effetto saluretico ed ipertonico sul parenchima
renale, parametri direttamente correlati alle caratteristiche
chimiche del mdc ed in particolare: la carica ionica,
l’osmolarità e la viscosità della soluzione che lo contiene. Il
minor rischio di NMC associato
all’utilizzo di mdc a
bassa osmolarità non ionici (LOCM) (ioexolo, iomeprolo,
iopromide) rispetto ai mdc ad alta osmolarità ionici
(HOCM) (diatrizoato) è stato documentato in maniera
significativa in pazienti ad alto rischio. Il dibattito clinico
è invece ancora aperto per quanto riguarda la riduzione del
rischio di NMC associata all’utilizzo di mdc isoosmolari
(IOCM) (iodixanolo) nei confronti dei LOCM. I mdc
isoosmolari sono dimeri ciascuno dei quali consiste di 2
molecole legate da una catena laterale comune. Per tale motivo
le dimensioni della molecola finale sono maggiori con un
incremento della viscosità della soluzione che la contiene, ma
il numero di moli per litro di soluzione (osmolarità) è ridotto
rispetto alle corrispondenti soluzioni di monomeri. La riduzione
dell’osmolarità produce sicuramente un effetto saluretico
inferiore rispetto a soluzioni di mdc ad osmolarità più
elevata. Tuttavia, l’incremento della viscosità potrebbe
tradursi in un incremento delle resistenze intrinseche del
sangue con effetto potenzialmente ischemizzante sul parenchima
renale.
Lo studio NEPHRIC, randomizzato a
doppio cieco, ha valutato l’incidenza di NMC in 129 pazienti con
diabete mellito ed insufficienza renale . I risultati indicano
una riduzione significativa di sviluppo di NMC con iodixanolo
rispetto allo ioexolo (3% vs 26%; p=0,001). Tuttavia deve
essere considerato che nel gruppo dello ioexolo i livelli di Cr
basali erano lievemente superiori (1,60±0,52 contro 1,49±0,53) e
l’età di insorgenza del diabete mellito maggiore (18 anni contro
12 anni). Quest’ultima osservazione potrebbe far presupporre una
maggiore disfunzione endoteliale e quindi un maggior rischio di
sviluppo di NMC nei pazienti del gruppo ioexolo. Risultati
positivi sono emersi anche dallo studio COURT che ha valutato in
pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica l’impatto
clinico di un mdc isoosmolare (iodixanolo) vs un mdc
ipoosmolare (ioxaglato) sulla base dell’incidenza di eventi
cardiaci avversi maggiori (MACE) durante il ricovero
ospedaliero. I risultati hanno mostrato una riduzione dei MACE
con iodixanolo rispetto allo ioxaglato. E’ tuttavia da
sottolineare il fatto che i risultati ottenuti nello studio
NEPHRIC con iodixanolo sono largamente differenti da quelli
ottenuti con lo iodixanolo in altri trials randomizzati.
Inoltre, i risultati associati all’utilizzo dello ioexolo
appaiono inferiori rispetto a quelli ottenuti con altri LOCM.
Infatti, studi recenti in pazienti ad alto rischio riportano
un’incidenza di NMC con iopamidolo dell’ 8-12% e con iomeprolo
del 10-16%. Ne consegue che la superiorità dello iodixanolo
rispetto allo ioexolo osservata nello studio NEPHRIC non può
essere direttamente trasferita ad altri LOCM e che trials
randomizzati di confronto tra questi ultimi e lo iodixanolo sono
quindi necessari per fornire risultati di confronto definitivi.
ü
Come
prevenire la nefropatia da mezzo di contrasto (e come trattare i
pazienti a rischio)
La prevenzione della NMC è
fondata innanzitutto su una corretta e completa stratificazione
del rischio (per la quale si rimanda alle argomentazioni
contenute nel 2^ paragrafo ed alle indicazioni della tab 1)
Tra le strategie terapeutiche più
comunemente utilizzate per ridurre la incidenza della NMC, la
idratazione periprocedurale viene considerata e raccomandata
come il metodo più semplice ed efficace; in realtà, nessun ampio
trial randomizzato e prospettico ha mai documentato la maggiore
efficacia nella prevenzione della NMC della procedura di
idratazione nei confronti della astensione da qualsiasi
intervento. E’ pertanto legittimo formulare alcuni quesiti in
ordine almeno ad alcune modalità di idratazione.
Innanzitutto, come somministrare
il carico di liquidi, per via ev od orale? Trivedi e coll. hanno
comparato gli effetti della somministrazione di una soluzione
salina normale alla velocità di 1 ml/Kg/h per 24 ore, a
cominciare dalle 12 ore prima dell’impiego del mdc, nei
confronti degli effetti della idratazione con liquidi per os
senza restrizioni, ed hanno documentato che uno dei 27 pazienti
(3.7%) trattati con soluzione salina ha sviluppato una NMC
laddove in 9 dei 26 pazienti idratati per via orale (34.6%) si è
verificata una NMC (RR: 0.11%; p:0.005).
Se l’incremento della diuresi
indotto dalla idratazione preserva il paziente dalla NMC, una
diuresi forzata in maniera farmacologica ed associata al
mantenimento di un adeguato volume intravascolare è in grado di
ridurre la incidenza della NMC? Solomon e coll. hanno dimostrato
che, in pazienti con preesistente insufficienza renale candidati
a PCI, la NMC si verificava in 3 di 28 pazienti (10.7%) che
ricevevano una soluzione salina per via ev laddove la NMC si
sviluppava in 7 di 25 pazienti (28%) che ricevevano una
soluzione salina per via ev associata a 25 gr. di mannitolo (p:
0.16 vs salina da sola) ed in 10 su 25 pazienti (40.0%) che
ricevevano una soluzione salina più 80 mg di furosemide (p:0.02
vs salina).
Tab 1
Stratificazione
del rischio
da Liistro G Ital Card Inv 2005;2 :4-8 |
alto |
Cr > 1.7 mg/dl o CrCl< 25
ml/min |
oppure 1.3 <Cr<1.7mg/dl o
50 ml/min<CrCl<25 ml/min
in associazione a
diabete, età > 70 aa, alta dose di mdc necessaria,
insufficienza cardiaca, disidratazione, recente
somministrazione di mdc |
moderato |
1.3 <Cr<1.7 mg/dl o 50
ml/min<CrCl<25ml/min |
oppure 50 ml/min<CrCl<75
ml/min
in associazione a
diabete, età > 70 aa, alta dose di mdc necessaria,
insufficienza cardiaca, disidratazione, recente
somministrazione di mdc |
basso |
CrCl >75 ml/min |
oppure 50 ml/min<CrCl<75
ml/min |
Anche altri studi hanno in
maniera concorde concluso che la diuresi forzata non produce
risultati superiori alla idratazione con la sola salina nella
prevenzione della NMC; pertanto né la furosemide, né il
mannitolo, né la dopamina (proposta per la sua capacità di
incrementare il flusso renale mediante la stimolazione dei
recettori DA-1), né il fenoldopam (analogo dopaminergico con
azione DA-1 selettiva) hanno offerto benefici addizionali al di
là del protocollo convenzionale di idratazione.
Infine, quale di tipo di
soluzione utilizzare per la idratazione periprocedurale? L’
impiego della soluzione salina isotonica allo 0.9% si associa,
in un ampio trial randomizzato e prospettico, ad una incidenza
di NMC significativamente inferiore a quella che è stata
registrata con l’uso di una soluzione ipotonica allo 0.45%
(rispettivamente 0.7% vs 2.0%; p:0.042). Merten e coll. hanno
documentato, in pazienti con preesistente insufficienza renale
cronica candidati a procedure interventistiche effettuate con
mdc a bassa osmolarità, che la NMC si sviluppava in 1 su 60
pazienti (1.7%) trattati con una soluzione contenente 154 mmol/L
di bicarbonato di sodio e in 8 su 59 (13.6%) pazienti trattati
con soluzione contenente 154 mmol/L di cloruro di sodio (RR:
0.12; p: 0.02).
La acetilcisteina, per la
quale si ipotizza la capacità di neutralizzare i radicali liberi
dell’ossigeno altamente reattivi generati dal danno ischemico
della midollare, occupa. dopo la idratazione, il posto di
maggiore rilevanza clinica tra le strategie terapeutiche
indirizzate a ridurre la incidenza della NMC per il suo
favorevole profilo di sicurezza, per il basso costo e per i
risultati positivi a cui sono pervenuti alcuni trial. Tuttavia,
le conclusioni degli studi clinici controllati effettuati negli
ultimi anni non appaiono perfettamente concordi nella
documentazione di una sicura efficacia della acetilcisteina,
probabilmente in relazione alle differenze tra i tipi ed i
volumi dei mdc utilizzati, tra i tempi, i dosaggi e le
vie (endovenosa o orale) di somministrazione del farmaco. Le
numerose metanalisi condotte sui trial che hanno impiegato la
acetilcisteina, pur confermando una significativa riduzione del
rischio di NMC, registrano una sostanziale eterogeneità dei
risultati tra i trial e condividono una limitazione di fondo:
l’end point primario di tutte queste indagini rimane un end
point surrogato, cioè l’incremento della Cr che definisce di per
sé la NMC, e nessun trial è stato disegnato per verificare
l’impatto del farmaco su endpoint clinici “hard” come la
morbilità, il ricorso alla dialisi e la mortalità. In altre
parole, non sappiamo ancora se il significativo beneficio
indotto dalla acetilcisteina nella prevenzione della NMC si
traduca in un altrettanto significativo beneficio sul terreno
della pratica clinica.
Marenzi e coll hanno dimostrato
una significativa riduzione dello sviluppo di NMC in pazienti
con insufficienza renale (Cr 2
mg/dL) sottoposti a coronarografia e trattati con emofiltrazione
(1000 ml/dL/h per 4-8 ore prima della procedura e 18-24 ore
post-procedura) rispetto ai pazienti trattati con la sola
idratazione (1 ml/dL/h) (incidenza di NMC: 5% nel gruppo
emofiltrazione verso 50% nel gruppo idratazione, p<0,001). In
aggiunta, la mortalità è stata del 2% nel gruppo
dell’emofiltrazione contro il 14% nel gruppo della sola
idratazione (p=0,02). Il meccanismo con cui
l’emofiltrazione riduce
l’incidenza di NC è duplice: la somministrazione di fluidi in
circolo in quantità 10-15 volte superiore alla sola idratazione
senza rischio di espansione del volume intra- ed extra-vascolare
e la rimozione del mdc dal circolo. Questi due meccanismi
determinano una diluizione del mdc che arriva al nefrone
ed una riduzione del suo effetto nefrotossico. Tuttavia, questa
onerosa tecnica di depurazione renale periprocedurale presenta
sostanziali limiti di applicabilità connessi ai suoi costi ed al
suo carattere invasivo che ne riducono drasticamente l’impiego
sistematico anche in una popolazione ad alto rischio.
In conclusione, appare
ragionevole adottare, nella vasta maggioranza dei pazienti a
rischio non alto, una strategia con un favorevole rapporto
costo/beneficio basata sulla semplice idratazione o ancora
meglio sulla somministrazione di bicarbonato per via endovenosa
in fase preprocedurale, ponendo articolare attenzione alla
sospensione dei farmaci che possano interferire sulla funzione
renale (come gli ACE-inibitori e i FANS) o possano peggiorare la
NMC mediante la acidosi lattica che inducono (metformina). In
fase procedurale è estremamente importante controllare il volume
totale di mdc, senza superare i livelli massimi
utilizzabili calcolati secondo la formula di Cigarroa che tiene
conto del peso corporeo del paziente e del livello basale di Cr.
Nei pazienti a rischio alto, con clearance renale < 40 mil/min,
bisogna organizzarsi per adottare la tecnica della
emofiltrazione in particolare nei pazienti con disfunzione
ventricolare sinistra, non solo sistolica ma anche diastolica,
nei quali risulta problematico ottenere una adeguata idratazione
senza incrementare pericolosamente le pressioni di riempimento.
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