Dopo l’infarto: quali indagini strumentali, a chi, quando, perché.

 

Alessandro Boccanelli

UOC Cardiologia. Dipartimento di Malattie dell’Apparato Cardiocircolatorio Ospedale San Giovanni-Addolorata, Roma.

 

1. Introduzione

I pazienti con infarto miocardico acuto sottoposti a terapia riperfusiva che non abbiano avuto, nel corso del ricovero, significative aritmie ventricolari, ischemia ricorrente o scompenso cardiaco vengono abitualmente dimessi entro la 5a – 6a giornata. La maggior parte delle complicazioni che impedirebbero una dimissione precoce si verificano entro le prime 48 ore del ricovero: pertanto, i pazienti idonei alla dimissione vengono identificati precocemente durante il ricovero.

Per i pazienti che hanno avuto complicazioni, la dimissione viene programmata dopo aver ottenuto una stabilizzazione delle condizioni cliniche , dopo che sia stata  dimostrata una risposta appropriata ai farmaci  o che siano state effettuate le indagini per rilevare la presenza di ischemia residua.

 

1. Stratificazione del rischio dopo infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST

La stratificazione del rischio avviene in tre diverse fasi: alla presentazione iniziale, nel corso del ricovero e al momento della dimissione.

Gli strumenti utilizzati per una valutazione integrata sono: informazione demografica basale, ecg seriati e marcatori di necrosi, dati di monitoraggio emodinamico, una serie di test non invasivi e, qualora eseguito, i dati rilevati al cateterismo cardiaco-coronarografia.

 

1.1   Presentazione iniziale

Dati indicativi di maggior rischio: sesso femminile, età superiore a 70 anni, storia di diabete mellito, precedente angina pectoris, precedente infarto miocardico.

L’ecg fornisce importanti informazioni prognostiche. La mortalità è maggiore nei pazienti con IMA anteriore, del ventricolo destro, con elevata sommatoria dell’area sottesa dal sopraslivellamento del tratto ST. I pazienti con disturbi di conduzione (blocco AV avanzato o blocco bi o trifascicolare di nuova insorgenza  ) hanno una prognosi peggiore. Altri reperti ecg con significato negativo sono un persistente appiattimento o sottoslivellamento del tratto ST, onde Q in derivazioni multiple, sottoslivellamento anteriore di ST nei pazienti con IMA inferiore o aritmie atriali ( fibrillazione atriale).

 

1.2   Decorso clinico

La funzione ventricolare sinistra è un importante indicatore precoce di prognosi. La mortalità ospedaliera è direttamente correlata con la disfunzione ventricolare sinistra. La stratificazione clinica, la stima ecocardiografica delle dimensioni dell’IMA e, in pazienti selezionati, il monitoraggio invasivo in UTIC ,danno una misura della probabilità di complicazioni durante il ricovero e possono identificare anche importanti anomalie ( come la presenza di insufficienza mitralica emodinamicamente significativa ).

L’ischemia ricorrente, omo o eterosede rispetto all’infarto, comporta prognosi sfavorevole, poiché e’ indicativa di miocardio a rischio. Oggi la rivascolarizzazione in caso di angina postinfartuale provoca un deciso miglioramento  della prognosi.

 

1.3   Valutazione alla dimissione

La sopravvivenza a breve e a lungo termine dopo infarto miocardico dipende da tre fattori: funzione ventricolare sinistra a riposo, miocardio residuo potenzialmente ischemico, suscettibilità ad aritmie potenzialmente maligne. La sopravvivenza dipende pertanto dalla quantità di miocardio necrotico e di quella di miocardio a rischio di diventarlo. La probabilità di sviluppare aritmie si riflette nell’attività ectopica ventricolare e negli altri indicatori di instabilità elettrica , come una ridotta variabilità della frequenza cardiaca ed una anomalia  del “ signal averaging “ dell’ecg. Inoltre, i pazienti con l’arteria responsabile dell’IMA chiusa hanno un  maggiore tasso di mortalità a distanza.

 

1.3.1Funzione ventricolare sinistra

La FE può essere la più facile misurazione della funzione ventricolare sinistra ed è estremamente utile per la stratificazione del rischio. Per valutare l’estensione del miocardio vitale si possono eseguire ecocardiografia da stress (esercizio o farmacologico), scintigrafia basale e sotto sforzo o sotto stimolo farmacologico, PET. La scelta di queste indagini può essere dettata da disponibilità o esperienza locale, non essendo dimostrata la superiorità dell’una rispetto all’altra.

Nei pazienti con bassa FE, la misurazione della capacità di esercizio è utile per un’ ulteriore identificazione di quei soggetti a rischio particolarmente elevato ( soggetti con significativa riduzione della capacita’ funzionale ).

 

1.3.2        Valutazione dell’ischemia

Data la crescente disponibilità di mezzi farmacologici, interventistici o chirurgici per ridurre la probabilità di sviluppare ischemia, la maggior parte dei clinici giudica importante identificare  la presenza di ischemia inducibile prima della dimissione. La valutazione predimissione consente di selezionare quei pazienti che possono beneficiare di rivascolarizzazione e di ottimizzare la terapia medica per quelli indirizzati ad un trattamento più conservativo.

Le evidenze attuali, comunque, orientano verso un più largo ricorso a coronarografia e PCI dopo fibrinolisi.

 

1.3.3        Valutazione del rischio aritmico

Nonostante l’aumentato rischio aritmico successivo ad un infarto miocardico, nei pazienti con test positivi per instabilità elettrica (dispersione del QT, Holter, test elettrofisiologici invasivi, signal averaging, heart rate variability), occorre ricordare il basso potere predittivo negativo di ciascuno di questi test (< 30 %). Pertanto, non è nota attualmente la ricaduta pratica di queste indagini. La riduzione di mortalità ottenibile con l’uso generalizzato di b-bloccanti, ACE-I, aspirina e procedure di rivascolarizzazione e i timori e di dubbi sull’efficacia e sicurezza dei farmaci antiaritmici, nonché il costo dei defibrillatori, lasciano una importante area di incertezza sulle implicazioni terapeutiche di un test anormale in un paziente asintomatico.