LA TROMBOLISI: DALLE INDICAZIONI ALLA VALUTAZIONE
DELL’ AVVENUTA RIPERFUSIONE.
Gerolamo Sibilio, Luigi Cavuto
U.O.C. Cardiologia-Utic P.O. “S. Marie delle Grazie” - ASL Na 2
Pozzuoli
Introduzione
Fino all’inizio degli anni ‘80 era ancora controverso il ruolo
della trombosi coronarica nella patogenesi dell’infarto acuto
del miocardio (IMA). Uno studio di DeWood e coll. (1),
pubblicato su New England Journal of Medicine nel 1980, ha
dimostrato in maniera inequivocabile che un’occlusione
trombotica era identificabile nell’87% dei pazienti con IMA con
ST sopraslivellato (STEMI), studiati angiograficamente entro 4
ore dall’esordio dei sintomi (e nel 65% dei pazienti studiati
tra la 12a e la 24a ora).
Il riconoscimento del ruolo primario della trombosi coronarica
nella patogenesi dell’IMA ha determinato quindi un approccio
terapeutico preferito con farmaci trombolitici per ottenere una
rapida fibrinolisi, al fine di ricanalizzare il vaso coronarico
ostruito.
Più di 150.000 pazienti con STEMI sono stati randomizzati in
trials sull’utilizzo di farmaci trombolitici vs. controllo o
sulla valutazione comparativa di differenti regimi di
fibrinolitici. Per i pazienti trattati entro 12 ore dall’inizio
dei sintomi vi è un’evidenza complessiva del beneficio del
trattamento trombolitico, in termini di riduzioni della
mortalità, dell’insufficienza ventricolare sinistra, delle
aritmie maligne e delle gravi complicanze dell’ IMA, quali la
rottura del setto interventricolare e lo shock cardiogeno (2).
Indicazioni alla terapia trombolitica
Il rapido ripristino del flusso nell’arteria ostruita dopo
l’inizio dei sintomi nei pazienti con STEMI rappresenta
l’obiettivo prioritario, in quanto condiziona l’outcome in
termini di mortalità, indipendentemente se la riperfusione sia
farmacologica o meccanica (3, 4).
L’ angioplastica primaria (PCI primaria) è attualmente l’opzione
terapeutica preferita in presenza di uno STEMI, quando è
effettuata entro 60’ dopo un primo contatto medico, entro le
prime 3 ore dall’esordio infartuale, oppure entro 90’ dopo un
primo contatto medico, nel caso siano trascorse oltre 3 ore
dall’esordio dei sintomi (2).
La differenza più evidente tra trombolisi e PCI primaria è la
riduzione significativa dell’incidenza di stroke e di ischemia
ricorrente dopo PCI primaria, in confronto con la trombolisi, in
un follow-up a breve ed a lungo termine (2, 5). Tuttavia
problemi logistici ed organizzativi (laboratorio di emodinamica
occupato o non disponibile, mancanza di un “team interventistico”con
adeguata esperienza, tempi lunghi per il trasferimento presso
strutture con possibilità di PCI) rendono impossibile l’utilizzo
sistematico di una strategia invasiva (2).
Sebbene non sia possibile produrre un algoritmo semplice per il
trattamento dello STEMI, per l’eterogeneità del profilo clinico
dei pazienti e per la variabile disponibilità di risorse
clinico-strumentali in vari momenti della giornata, recentemente
nelle Linee-Guida dell’ACC/AHA per il trattamento dei pazienti
con STEMI è stata ribadita l’importanza della terapia
trombolitica in Centri che non dispongano in situ di una
Cardiologia interventistica (2).
La terapia fibrinolitica può essere infatti effettuata molto più
rapidamente di una PCI primaria (“tempo “door to needle”
inferiore a 30’). Il beneficio in termini di mortalità derivante
da una PCI primaria, rispetto alla fibrinolisi, si riduce
drasticamente, quanto maggiore è il ritardo della strategia
invasiva. Una strategia con PCI primaria può non ridurre la
mortalità, qualora vi sia un ritardo maggiore di 60’ rispetto ad
un immediata somministrazione di un agente litico (2).
La fibrinolisi preospedaliera, nella quale si può ottenere un
anticipo medio della somministrazione del farmaco rispetto alla
somministrazione ospedaliera, è gravata da una mortalità
inferiore rispetto al trattamento farmacologico effettuato in
ospedale (2).
Le evidenze della letteratura considerano, pertanto, ragionevole
l’istituzione di un protocollo di fibrinolisi pre-ospedaliera
nei pazienti con esordio della sintomatologia < 3 ore ed in
previsione di un tempo > 1 ora per l’ esecuzione della PCI
primaria (Classe IIa; Livello di Evidenza:B) (2).
La fibrinolisi, in accordo alle suddette Linee-Guida (2), è
generalmente preferita se:
1. vi è presentazione precoce (3 ore o meno dall’inizio dei
sintomi e ritardo alla strategia invasiva);
2. la strategia invasiva non è disponibile (laboratorio per PCI
primaria non disponibile e/o assenza di un team esperto);
3. vi è ritardo per effettuare una PCI primaria (tempi
prolungati per il trasporto del paziente; differenza tra tempo
“door- to-balloon” e tempo “door-to-needle” maggiore di 60’;
tempo “door-to-balloon” maggiore di 90’).
In assenza di controindicazioni, dovrebbe essere somministrata
la terapia fibrinolitica in caso di STEMI entro 12 ore
dall’esordio dei sintomi e con sopraslivellamento del segmento
ST maggiore di 0,1 mV in almeno 2 derivazioni contigue
precordiali o in almeno 2 derivazioni adiacenti degli arti o con
blocco di branca sinistra di nuova (o presumibilmente nuova)
insorgenza. (Classe I, livello di evidenza:A) (2).
In assenza di controindicazioni è ragionevole somministrare la
terapia trombolitica in pazienti con persistenti sintomi
riferibili ad ischemia miocardica e sopraslivellamento del
segmento ST maggiore di 0,1 mV in almeno 2 derivazioni contigue
precordiali o in almeno 2 derivazioni adiacenti degli arti, tra
le12 e le 24 ore dall’esordio della sintomatologia clinica.
(Classe IIa, livello di Evidenza:B) (2).
In assenza di controindicazioni, è ragionevole somministrare la
terapia trombolitica in pazienti con STEMI con sintomi iniziati
nelle prime 12 ore ed ECG con vero infarto posteriore (Classe
IIa; livello di evidenza: C) (2).
In quest’ultimo setting di pazienti, in cui è frequente
riscontrare un sottoslivellamento del segmento ST nelle
derivazioni precordiali V1-V4, è utile registrare le derivazioni
posteriori V7-V8, come consigliato dalle Linee-Guida Europee sul
trattamento dei pazienti con STEMI (2). Tuttavia in una fase
molto precoce di un IMA possono essere presenti onde T giganti
(“T iperacute”), senza un sopraslivellamento diagnostico del
segmento ST (2).
Anche in tali casi è stata proposta la somministrazione di un
farmaco trombolitico, previa una rigorosa valutazione
clinico-strumentale (angor > 20’ resistente ai nitroderivati +
modifiche ecgrafiche).
Fino al completamento degli studi randomizzati in corso allo
stato attuale non è chiaro il ruolo della trombolisi o della
combo-terapia (1/2 dose di trombolitico + inibitori delle
glicoproteine 2b/3a) nella facilitazione della PCI nello STEMI
(Classe IIb, Livello di Evidenza:B) (2, 5).
Un recente Documento di Consenso sulla “Rete interospedaliera
per l’emergenza coronarica”, elaborato dalla FIC e dal GISE (6)
ha proposto i seguenti criteri che identificano nello STEMI i
pazienti ad alto rischio, eleggibili a terapia invasiva:
1. presenza di segni di scompenso ( classe Killip > 1)
2. PA < 100mmHg
3. F.C. > 100b/min
4. età avanzata (> 75 anni)
5. estensione dell’ infarto all’ ecg (> 6 derivazioni
elettrocardiografiche con sopraslivellamento del segmento ST ).
Il Panel ha proposto altresì uno score clinico-strumentale di
semplice applicabilità – TIMI risk index - (età/10)2 x F.C./P.A.-
nella pratica clinica ai fini della valutazione globale del
rischio. La presenza di due delle prime 4 variabili oppure un
TIMI risk index > 33 sono stati proposti come criteri di alto
rischio in una strategia di rete.
I pazienti con tali caratteristiche dovrebbero ricevere una
terapia riperfusiva rapida.
Quelli che per motivi logistico-organizzativi non possono
effettuare nei tempi previsti dalle Linee-Guida, un trattamento
riperfusivo meccanico, inizialmente dovrebbero essere sempre
trattati con trombolisi presso un Centro Spoke (non dotato di
PCI primaria in situ) e quindi essere sistematicamente inviati
al Centro Hub di riferimento, ai fini di un eventuale PCI
immediata o dilazionata, a seconda dell’esito del trattamento
trombolitico e delle condizioni cliniche del paziente (6).
L’analisi del beneficio netto e del rapporto costo-efficacia
dell’Attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) rispetto alla
Streptochinasi deve tener conto del rischio di mortalità e di
quello di emorragia endocranica, quando è presente uno STEMI
eleggibile alla trombolisi.
Accanto all’utilizzo del t-PA “accelerato” come farmaco di
scelta, sono stati introdotti nella pratica clinica trombolitici
in bolo quali il Reteplase (r PA) ed il Tenecteplase (TNK-t-PA).
Il trattamento farmacologico con trombolisi in bolo ha il
vantaggio della facilità della somministrazione con una più
bassa percentuale di errori farmacologici (correlati ad una
maggiore mortalità ), offrendo la possibilità di un trattamento
riperfusivo preospedaliero.
Valutazione dell’efficacia della terapia fibrinolitica
Nei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento
persistente del tratto ST (STEMI) la mancata ricanalizzazione
dell’arteria responsabile dell’infarto (IRA) si associa ad
un’elevata incidenza di eventi avversi quali morte ed
insufficienza cardiaca (3, 4). In caso di mancata
ricanalizzazione dell’IRA dopo terapia fibrinolitica, i dati
attualmente disponibili in letteratura sono sostanzialmente a
favore delle procedure di angioplastica coronarica di
salvataggio, soprattutto se integrate dall’impiego degli
inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa e dall’impianto di stent
intracoronarici (7-14).
Da qui la necessità di poter disporre di strumenti efficaci,
oltre che di facile e rapido impiego, nella valutazione degli
effetti della terapia riperfusiva che consentano
l’identificazione dei pazienti candidati ad una procedura
interventistica di salvataggio.
La risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST all’ECG di
superficie è stato ampiamente studiato per tali scopi.
Numerosi studi indicano che la risoluzione del
sopraslivellamento del tratto ST rappresenta un accurato
predittore di pervietà dell’IRA (valore predittivo positivo ≥ 90
%) mentre non lo è per quel che riguarda l’occlusione (valore
predittivo negativo 50 %) (15-20).
In particolare, tra i pazienti con risoluzione completa del
sopraslivellamento del tratto ST (> 70%) a 90 minuti, la
probabilità di trovare allo studio angiografico un flusso di
grado TIMI 3 nell’IRA è del 70-80 % mentre quello di un flusso
di grado TIMI 2/3 è del 95 % circa. Pertanto, mentre la
risoluzione completa del sopraslivellamento del tratto ST
conferma che l’arteria responsabile dell’infarto è aperta,
l’accuratezza nel predire la presenza di un flusso di grado TIMI
3 non supera l’80 % (16, 21, 22).
I pazienti con mancata risoluzione (< 30 %) del tratto ST a 90
minuti, inoltre, presentano allo studio angiografico un flusso
di grado TIMI 0/1 nell’IRA solo nel 50 % dei casi (16, 21, 22).
Da quanto detto, quindi, appare chiaro come la risoluzione del
sopraslivellamento del tratto ST, da sola, non consenta di
predire in modo accurato il grado di ricanalizzazione dell’IRA
Per tale motivo sono stati studiati altri parametri non
invasivi, come la risoluzione del dolore toracico e le curve di
“wash-out” dei biomarkers cardiaci (15, 17, 20, 23, 24).
Sebbene un dolore toracico persistente dopo terapia
fibrinolitica identifichi una classe di pazienti con una
maggiore probabilità di avere un’arteria responsabile
dell’infarto occlusa o con un flusso di grado TIMI 2 (23,
25-28), questo sintomo non è sufficientemente accurato da poter
essere impiegato nel “clinical decision making” del paziente
trombolisato indipendentemente da alti criteri (15, 23, 25).
Per quanto riguarda il wash-out degli indicatori bio-umorali di
danno miocardico, l’analisi della curva di rilascio della
mioglobina è risultata più efficace di quelle relative
all’isoforma MB della Creatina Kinasi ed alle isoforme
cardio-specifiche delle troponine I e T, nella valutazione della
riperfusione dopo trombolisi (16, 29-33).
L’impiego della curva di rilascio della mioglobina nella
diagnosi di trombolisi inefficace, tuttavia, presenta le stesse
limitazioni viste per l’analisi del tratto ST (eccessiva
percentuale di falsi positivi nella diagnosi di mancata
riperfusione) (16, 29-33).
L’impiego combinato di più parametri non invasivi, tuttavia, si
è dimostrato capace di migliorare la il valore predittivo
positivo nei confronti della trombolisi inefficace, senza
ridurne il valore predittivo negativo (17, 34).
De Lemos et al. (25) hanno identificato tre criteri indicativi
di riperfusione inefficace:
1. risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST < 50 % a 90
minuti
2. dolore toracico persistente a 90 minuti
3. rapporto tra livelli sierici di mioglobina a 60 minuti e di
base < 4.
Se i tre criteri vengono utilizzati insieme, nei pazienti che
soddisfano 0; 1; 2 o 3 criteri, la probabilità di avere un
flusso TIMI < 3 è del 17 %; 24 %, 35% e 76 % rispettivamente,
mentre la probabilità di avere l’arteria correlata all’infarto
occlusa (flusso TIMI 0/1) è dello 0 %; 6%; 18% e 57%
rispettivamente.
Nella terapia delle sindromi coronariche acute con
sopraslivellamento persistente del tratto ST, in realtà, la
ricanalizzazione rapida, completa e stabile dell’arteria
responsabile dell’infarto rappresenta un obiettivo necessario ma
non sufficiente ad assicurare un outcome ottimale. Per ottenere
ciò è indispensabile, infatti, assicurare il ripristino di
un’adeguata perfusione miocardica. Questo richiede non solo la
pervietà delle arterie epicardiche ma anche la presenza, a
valle, di un microcircolo indenne (35).
Diverse tecniche consentono di studiare la perfusione miocardica
(risonanza magnetica, scintigrafia miocardica perfusionale,
ecocontrastografia cardiaca perfusionale, PET, Doppler flow wire,
tecniche agiografiche etc)(16, 36). Seppur efficaci, tali
tecniche sono difficilmente utilizzabili, nella pratica clinica,
nel management del paziente trombolisato. Questo per varie
ragioni, quali l’elevato costo, i tempi procedurali, la natura
invasiva di alcune di esse etc.
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di diversi lavori
scientifici che hanno valutato il flusso ematico nel circolo
coronarico, sia a livello epicardico che tessutale, dopo terapia
riperfusiva (16, 37, 38). Questi studi hanno dimostrato come nei
pazienti con flusso TIMI 3 a livello epicardico, la presenza di
un sopraslivellamento persistente del tratto ST all’ECG di
superficie si associa ad una ridotta o assente perfusione
tessutale (fenomeno del no-reflow) (16, 37, 38).
Diversi studi, inoltre, hanno dimostrato come il grado e la
velocità di risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST
rappresentino un importante indice prognostico in grado di
predire non solo la mortalità ma anche lo sviluppo di
disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco (39-57).
Tutti questi dati, presi nel loro insieme, sostengono l’ipotesi
che la risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST, più
della semplice pervietà dell’IRA, rappresenti un surrogato del
grado di riperfusione tissutale (16).
Tra i segni ecgrafici ritenuti utili nel monitoraggio della
terapia fibrinolitica meritano un breve cenno le aritmie da
riperfusione, quali il ritmo idioventricolare accelerato.
Nonostante le aritmie da riperfusione abbiano un’elevata
sensibilità nell’identificare un’efficace riperfusione,
dimostrano tuttavia una bassa specificità (sono presenti nei
pazienti senza riperfusione coronarica efficace).
I risultati di alcuni studi suggeriscono come tali aritmie siano
indicative non solo di riperfusione ma anche di danno miocardico.
Infatti i pazienti che dopo la ricanalizzazione dell’IRA
manifestano aritmie da riperfusione presentano, rispetto a
quelli in cui talidisturbi del ritmo non compaiono, un maggior
incremento dei biomarkers cardiaci ed un maggiore wall motion
score index (58-60).
E’ stato, inoltre, anche dimostrato che le aritmie da
riperfusione sono meno frequenti nei pazienti sottoposti a PCI
primaria (60, 61).
In ultimo, tra i segni clinici di mancata ricanalizzazione
dell’IRA vanno ricordati l’instabilità elettrica (escluse,
ovviamente, le aritmie da riperfusione) e la compromissione
delle condizioni emodinamiche.
In conclusione, seppur con i limiti indicati, il monitoraggio
del tratto ST viene ancora considerato lo strumento più efficace
nella valutazione, a letto del paziente, degli effetti della
terapia riperfusiva soprattutto se associato alla valutazione di
altri parametri non invasivi come la persistenza del dolore
toracico, la presenza di instabilità elettrica e/o emodinamica
(Classe IIa; Livello di Evidenza:B) (2)
Le attuali linee-guida internazionali suggeriscono di valutare
la risoluzione del sopraslivellamento del tratto ST dopo 60-90
minuti (ACC/AHA) (2) o 45-60 minuti (ESC) (5).
Conclusioni
Sono trascorsi 20 anni dalla pubblicazione del primo studio
GISSI (62), in cui si evidenziava, su oltre 11000 pazienti, che
la Streptochinasi endovena determinava una riduzione
significativa della mortalità in pazienti trattati entro 6 ore
da uno STEMI. Da allora è stato stabilito, nella pratica clinica
cardiologica, l’utilizzo routinario della terapia trombolitica
nello STEMI.
Tuttavia in un recente studio epidemiologico (63) sul ritardo
evitabile e sulla gestione del paziente con IMA, si evince che
in Italia nessuna terapia riperfusiva è effettuata ancora in
circa il 35% dei pazienti con STEMl.
E’ auspicabile che venga attivata a breve una rete
interospedaliera per l’emergenza coronarica, in cui vengano
adottati protocolli diagnostico-terapeutici mirati ad
incrementare l’utilizzo della fibrinolisi preospedaliera.
Ampi studi randomizzati in corso ci diranno se la combinazione
tra trombolisi ed inibitori IIb/IIIa, seguiti dalla PCI
(“facilitata“ o “programmata” nelle 24 ore), confermi i forti
presupposti fisiopatologici e riduca i problemi logistici ed
organizzativi, legati alla strategia di una PCI primaria in
rete.
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