LA CONTINUITA’ ASSISTENZIALE OSPEDALE -TERRITORIO
per i pazienti con
scompenso cardiaco
Sabino Scardi, Franco Humar, Andrea Di Lenarda
Dipartimento Interaziendale di Cardiologia, Trieste
Si afferma che le epoche esaltanti della vita siano piene di
sfide, quella in cui viviamo é un’epoca esaltante per la cura a
lungo termine del cardiopatico, è necessario però…eliminare
alcune barriere che ostacolano il raggiungimento di questo
obiettivo.
In
questi ultimi anni la domanda di salute dei cittadini si è
evoluta, infatti, sono emerse dall’epidemiologia nuove esigenze
di cura e di assistenza legate alla cronicità e lo scompenso
cardiaco rappresenta forse l’esempio più eclatante.
Nel mondo occidentale, compresa l’Italia, la popolazione sta
invecchiando, ciò condizionerà un’epidemia di malattie
cardiovascolari degenerative (in particolare dello scompenso
cardiaco) che richiederà modelli organizzativi ed assistenziali
nuovi. La sanità pubblica perciò deve adeguare il sistema di
cura ai nuovi bisogni legati alla cronicità. Pertanto anche gli
interessi della cardiologia devono rinnovarsi perché il
cardiopatico cronico è un problema reale.
Gli attuali punti di criticità
Gli attuali trattamenti “efficaci” migliorano la prognosi
soprattutto nei pazienti a più alto rischio, pertanto il rischio
diventa più elevato in quelli che sopravvivono che poi vanno
spesso incontro alla progressione della malattia che, a sua
volta, incrementa ulteriormente il rischio. Questi malati
richiedono perciò nuovi ed ulteriori interventi
diagnostico-terapeutici che attivano una “spirale” che si
conclude solo con il decesso del paziente (Fig 1).
Nonostante che numerosi trial abbiano dimostrato l’utilità di
alcune terapie, il loro utilizzo rimane particolarmente basso
nei cardiopatici non seguiti da uno specialista cardiologo ,
mentre i pazienti che sono seguiti dai cardiologi ricevono molto
più frequentemente le cure suggerite dalle linee guida cliniche.
Le nuove strategie di gestione rendono non più necessarie
degenze prolungate negli ospedali per acuti,e se il cronico non
deve essere curato negli ospedali per acuti, la sanità pubblica
deve adeguare i sistemi di cura ai nuovi bisogni assicurando
modelli assistenziali efficaci ma meno costosi e a minor rischio
di iatrogenesi.
Tutto ciò implica la necessità urgente di migliorare la qualità
della cura cardiologica nel territorio. Se un malato dal
territorio viene ad esempio ricoverato in terapia intensiva per
uno scompenso cardiaco acuto e dall’unità coronarica passa alla
degenza subintensiva e a quella ordinaria ed infine alla
riabilitazione cardiologica, una volta tornato nel territorio
deve trovare una continuità assistenziale ( Fig 2 ). Lo studio
TEMISTOCLE dell’ANMCO ha analizzato i percorsi extraospedalieri
dei pazienti con scompenso cardiaco. Dall’indagine é
emerso che nel nostro Paese non esiste un follow-up sistematico
per questi pazienti, non vi sono programmi che assicurano la
loro continuità assistenziale

Figura 1: La spirale del cardiopatico cronico

Figura 2: La continuità ospedale territorio
Tabella I Le tante problematiche dello scompenso cardiaco
-Valutazione poliparametrica della prognosi
-Gestione della insufficienza mitralica e tricuspidale e
della fibrillazione atriale
-Strategie terapeutiche e gestionali delle
riacutizzazioni
-Ottimizzazione della terapia ricorrendo all’aggiunta di
sartani e di antialderosteronici
-Gestione della disfunzione renale e dell’anemia
-Strategie di prevenzione della morte improvvisa
-Indicazioni e timing della risincronizzazione e
dell’ICD
|
Tabella II Le problematiche sociali
-Solitudine
-Mancanza di parenti
-Assistenza infermieristica
-Pasto quotidiano
-Gestione dell’abitazione
-Acquisto di farmaci e di devices
-Spesa giornaliera
|
nonostante che il 40% dei fattori precipitanti la recidiva è
rimovibile ( terapie inappropriate, scarsa compliance, stili di
vita inadeguati ecc ) , né sono disponibili percorsi
diagnostico-terapeutici integrati fra Ospedale e Territorio. Non
sorprende perciò che a 6 mesi dalla dimissione la mortalità (
16% ) e la morbidità ( 45 % ) siano molto elevate.
I
pazienti con scompenso cardiaco sono complessi da gestire sia
trasversalmente sia longitudinalmente ( Tabella I ) perché non
sono stabili ma tendono ad evolvere e richiedono la
rivalutazione periodica e multidimensionale da parte di
personale esperto in cardiologia. A ciò si aggiungono tutte le
altre problematiche della vita sociale giornaliera ( TabellaII
).
Quale l’impatto e i costi del servizi cardiologici ?
La
spesa ospedaliera consuma la maggior parte delle risorse
economiche della sanità, mentre molto scarse sono quelle
riservate alla gestione dei malati nel territorio indispensabili
per assicurare la continuità assistenziale. Perciò i risultati
brillanti della cura nella fase acuta di molte patologie
cardiovascolari,compreso lo scompenso cardiaco, possono
diventare “poco efficaci” per l’insufficiente gestione
territoriale della cronicità.
Inoltre le cure delle malattie cardiovascolari croniche nel
territorio sono attualmente relativamente costose ma poco utili
per raggiungere obiettivi di salute in quanto gravate da un
circolo di “ crisis menagement “che comprende le visite dei
Medici di medicina generale (MMG), le consulenze degli
specialisti, i frequenti accessi al pronto soccorso e le
riospedalizzazioni spesso superflue per patologie che possono
essere risolte nel territorio se adeguatamente trattate da
personale esperto.
Pertanto nonostante il costante aumento dei costi, la qualità
delle cure e gli esiti delle malattie cardiovascolari non sono
migliorati sensibilmente. La continua lievitazione dei costi
richiede modificazioni sostanziali dell’organizzazione sanitaria
specialistica territoriale, attualmente caratterizzata dalla
frammentazione degli interventi che deve essere superata dalla “
continuità assistenziale “.
Ma cos’è la continuità assistenziale ?
A livello internazionale c’è una gran confusione nella sua
definizione. Infatti, sono spesso usati come sinonimi:
continuità della cura, coordinazione della cura, piano di
dimissione, case management, integrazione dei servizi,
patient/client care, cure condivise, integrated care, seamless,
streamlined ecc. E’ necessario finirla con i facili slogan privi
di contenuti.
Nella realtà attuale uno scompensato dimesso dall’ospedale ha a
sua disposizione quattro possibilità: il MMG, lo specialista
SUMAI, l’ambulatorio ospedaliero (dove spesso turnano i medici
più giovani o gli specializzandi), il cardiologo personale.
Ognuna di queste soluzioni assicura non una “cura” ma una
semplice consulenza spesso incompleta e non somministrata al
momento del bisogno reale ma dopo un’attesa di giorni, di
settimane o persino di mesi.
Gli ambulatori ospedalieri non possono gestire tutti i
cardiopatici cronici, mentre gli ambulatori specialistici
territoriali, salvo rare eccezioni, offrono prestazioni più che
assistenza.
Quale futuro per la continuità assistenziale:prendersi cura o
presa in carico ?
La
continuità assistenziale è un progetto unitario di “care” cioè
di prendersi cura e di presa in carico delle persone che deve
essere personalizzato, multidisciplinare, con coinvolgimento non
solo del personale medico (MMG e specialisti) ma anche di
quello non medico e a volte anche dei servizi sociali. Essa deve
attivare un progetto di salute, preordinato, articolato e
condiviso e di presa in carico del paziente da parte dei servizi
( sanitari e sociali ) per assicurare la continuità di un
percorso coerente. Se i bisogni degli utenti devono essere al
centro del sistema assistenziale, le Aziende devono organizzare
un’offerta sanitaria per consentire la presa in carico globale
dello scompensato cronico assicurando:
- un programma centrato sulla persona, ma con integrazione fra
specialisti diversi
- la standardizzazione del processo di cura con interventi di
provata efficacia
- la classica organizzazione patient/client oriented.
In altre parole un paziente con scompenso cardiaco non può avere
la stessa gestione se giovane o anziano, se vive solo o in
famiglia, in città o in montagna, in una casa a piano terra o al
quinto piano senza ascensore.
Come garantire la continuità assistenziale tra ospedale e
territorio?
Il problema della continutà assistenziale è molto complesso e
richiede da parte delle associazioni culturali e del legislatore
un ripensamento ed uno sforzo diretti ad assicurare una più
razionale organizzazione dell’assistenza ambulatoriale e
domiciliare nel territorio.
Come hanno affermato le autorità inglesi è necessario
proiettarsi in avanti (moving forward). Infatti, il working
group della società inglese di cardiologia già nel 1997
raccomandava al governo che la priorità nazionale doveva essere
rappresentata dall’aumento del numero degli specialisti
cardiologi con una loro più larga presenza negli ospedali
distrettuali che , a loro volta, dovevano essere collegati in
rete con quelli ad alta specializzazione per ridurre la
mortalità e la morbilità legate alle malattie cardiovascolari.
L’attuale rapporto ospedale territorio
Nel nostro Paese l’attuale rapporto ospedale territorio è
caratterizzato da insufficiente comunicazione
ospedale-MMG-specialista ambulatoriale per mancanza di
linguaggio comune che provoca difficoltà di discussione e di
partecipazione reciproca anche per assenza di condivisione di
protocolli diagnostici e terapeutici e per difficoltà di
contatti tra gli operatori.
Tutto ciò causa un inadeguato monitoraggio della cardiopatia e
dei trattamenti pos-dimissione, con follow-up ritardati e
diluiti e con ricorso spesso superfluo al pronto soccorso o
alla riospedalizzazione.
In Italia, grazie all’azione dell’ANMCO, è stata realizzata la “
rete “ regionale per il trattamento di alcune patologie
cardiovascolari acute.
Ma accanto alla riorganizzazione della rete ospedaliera, emerge
la necessità urgente di riorganizzare anche la cura
cardiologica delle malattie croniche degenerative nel
territorio, perché, in opposizione alle tradizionali strutture
che prevedono “l’intervento crisi”, le malattie cardiovascolari
hanno necessità di una organica cura continuativa che prevede un
“ approccio olistico “, adattato al singolo paziente.
Per non rendere vani gli sforzi profusi nella cura acuta, il
cardiologo ospedaliero deve occuparsi anche della gestione di
quella cronica, ipotizzando una rete ospedale territorio.
La rete integrata ospedale territorio: chi fa, cosa fa, quando
fa, dove fa
.
Il
Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 ha ipotizzato diverse
soluzioni assistenziali per le cure continuative di alcune
patologie croniche quali: la degenza postacuzia, l’ospedale di
comunità, l’ospedalità domiciliare, l’assistenza domiciliare, la
residenza sanitaria (assistenziale, protetta, hospice). Per il
futuro della continuità della cura cardiologica (e non solo) è
necessario ridisegnare il confronto alla pari fra MMG e
specialista con funzioni diverse ma necessariamente integrate
per costruire insieme la continuità assistenziale.
Il
MMG, ordinatore di prestazioni e titolare del budget (gatekeeper
and case manager) è l’elemento fondamentale del processo della
continuità assistenziale. Ma come questo medico può partecipare
alla gestione del suo malato ?
Anzitutto leggendo attentamente la lettera di dimissione che, se
ben fatta, gli permette di avere un quadro clinico preciso del
decorso intraospedaliero e della futura prognosi del paziente.
Una volta valutata la gravità dell’episodio in termini
prognostici deve:
-
stabilire il follow-up mirato in rapporto alla gravità della
malattia
-
osservare gli effetti indesiderati dei farmaci prescritti “
acutamente “ in ospedale
-valutare la situazione delle comorbilità
-coordinare le consulenze specialistiche e gli operatori
infermieristici e sociali dell’assistenza domiciliare.
Tuttavia una “ vera” continuità assistenziale per lo scompenso
cardiaco si potrà realizzare solo se, al MMG si affiancherà
personale medico ed infermieristico realmente esperto in
cardiologia.
Infatti, la presa in carico di pazienti complessi (ad esempio
con scompenso cardiaco cronico con defibrillatore e/o
stimolazione biventricolare), la cronicizzazione, le comorbilità,
la sofisticata diagnostica, alcune terapie “ difficili “
richiedono competenze ad elevato tenore culturale specialistico
e professionalità multidisciplinare per patologie che un MMG
non può affrontare da solo.
Pertanto per stabilire un’efficace continuità assistenziale è
necessario individuare un “ nuovo” rapporto tra le strutture
ospedalierie, quelle specialistiche del territorio e il MMG che
devono svolgere un’attività integrata.
Il
territorio però ha in campo cardiologico un vuoto
specialistico, è impreparato culturalmente e strumentalmente ed
infine é ancora “ scollegato” dall’ospedale.
La situazione attuale richiede perciò un rivoluzionario
cambiamento dell’organizzazione sanitaria specialistica
territoriale, modificando il sistema di cura con la creazione
del “ multidisciplinary teamwork “, ridisegnando i servizi
specialistici in rapporto a criteri epidemiologici e ripensando
alcuni ruoli dei cardiologi ospedalieri.
In primis, in base alle realtà locali, è necessario definire il
bacino di utenza che può essere limitato all’area dell’Azienda
o, come si auspica da più parti, allargato all’Area Vasta.
L’organizzazione specialistica territoriale deve prevedere la
creazione di strutture munite di opportune apparecchiature e di
un team adeguato, possibilità di rotazione periodica del
personale dall’ospedale al territorio e viceversa per mantenere
un adeguato livello di aggiornamento cultuale con l’istituzione
di dipartimenti interaziendali e l’incremento dei cardiologi
ospedalieri che a turno devono occuparsi anche dell’attività
specialistica nel territorio. Solo in questo modo si potrà
realizzare la sussidiarietà fra le strutture e garantire
qualità ed appropriatezza delle procedure operative.
In
altre parole accanto alla “rete ospedaliera” è necessario
programmare una “rete ospedale territorio “ che assicuri un
programma di assistenza territoriale che, se efficace, riduce i
ricoveri ospedalieri identificando precocemente eventi minori
“prodromici” di quelli maggiori, migliora la prognosi prevenendo
aggravamenti con interventi diagnostico-terapeutici tempestivi e
in definitiva migliora non solo la quantità ma anche la qualità
della vita di molti cardiopatici cronici.
Una sinergia vincente deve favorire :
-l’aggregazione fra i due servizi con l’obiettivo di migliorare
la qualità delle prestazioni cardiologiche stabilendo percorsi
condivisi ed idonei a migliorare la cura a lungo termine
- l’appropriatezza dei ricoveri e delle cure
- la soddisfazione dei pazienti e dei medici
- l’utilizzazione più razionale delle risorse
- l’assistenza e non solo le prestazioni
- l’implementazione delle linee guida e la qualità della cura
- la riduzione della spesa sanitaria.
Quale modello operativo ? Il modello Trieste
Al momento attuale non è ipotizzabile un modello standard di
gestione territoriale a livello nazionale ma è necessaria la
valutazione operativa delle realtà locali che tenga conto
dell’epidemiologia, della condivisione del progetto da parte di
tutti gli operatori coinvolti ( direzione generale e
sanitaria,divisione di cardiologia e struttura territoriale,
personale infermieristico, servizio sociale ).Dal
1967 a Trieste è attivo il Centro Cardiovascolare, una struttura
che pur posizionata all’interno dell’Ospedale offre la maggior
parte della sua attività al territorio operando da trait-d’union
fra Ospedale e territorio. La struttura ,dotata di personale
proprio e di proprie apparecchiature, è collegata funzionalmente
con la Divisione di Cardiologia mediante il Dipartimento
interaziendale, con i distretti e con i MMG ( Fig 3 ). I
pazienti che necessitano di continuità assistenziale
cardiologica vengono segnalati dalla Divisione di Cardiologia e
Cardiochirurgia, dalle altre divisioni ospedaliere, dal
referente dei distretti e direttamente dai MMG. Questi vengono
inclusi in un data base e richiamati al Centro mediante lettera
o telefono o su richiesta del MMG. In particolare per i pazienti
con scompenso cardiaco la struttura é collegata anche con
l’ambulatorio dedicato della divisione cardiologica.
Si è creato in questo modo un modello alternativo di cura per i
cardiopatici in generale e per gli scompensati in particolare,
assicurando una cura focalizzata sul paziente utilzzando
cardiologi specialisti nella cura a lungo termine del
cardiopatico cronico.
Trieste Heart
Failure Project
Il
THFP è un progetto sviluppato dal Centro Cardiovascolare e dalla
Divisione di Cardiologia con lo scopo di affiancare il MMG
nella gestione extraospedaliera dei pazienti con scompenso
cardiaco cronico possibile o definito sulla base dei criteri di
Boston ( Fig 4 ). Il Cardiologo Territoriale, il Cardiologo
Ospedaliero e gli infermieri professionali collaborano con il
MMG nella gestione dei pazienti per i quali venga ravvisata
l’opportunità di un follow-up convenzionale (FUC) o che attinga
a tutte le risorse dei Distretti sanitari, anche all’assistenza
infermieristica

Figura 3: Il modello Trieste

Figura 4: Progetto pilota di cura domiciliare dello scompenso
cardiaco
domiciliare (FUAD). Il piano di assistenza concordato tra le
varie figure professionali, sulla base della gravità e
dell’instabilità clinica della patologia,
prevede la monitorizzazione dei parametri clinici e
dell’aderenza al programma terapeutico ed un programma di
educazione sanitaria e di counselling. Risultati: Dal 1/11/2002
al 15/01/2005 sono stati presi in carico 260 pazienti (124
maschi e 126 femmine; età media 77.8.9±8.03
anni). Centoventicinque (54.6%) dei 229 MMG della provincia di
Trieste hanno riferito almeno un paziente. La diagnosi di
scompenso cronico è stata confermata nell’80 % dei casi (NYHA
3.3±0.9;
eziologia ischemica: 37.6%; eziologia ipertensiva: 20.7%; altro
o multifattoriale: 41.7%). In 54 pazienti (21.1%) era già stata
eseguita un’adeguata valutazione clinico-strumentale prima della
presa in carico. Negli altri 206 (79.2%) è stato necessario
completare gli accertamenti strumentali. La consulenza è stato
eseguita in media entro 15±5
giorni (nel 53.4% a domicilio). In 183 (60.4%) ed in 77
pazienti (29.6%) è stata posta indicazione rispettivamente a FUC
e a FUAD; 5 sono stati ricoverati urgentemente. Cinquantatre
pazienti sono stati effettivamente avviati a FUAD dal MMG con
accessi ogni 7-15 giorni (13.7±8.3
giorni; n° medio/pz: 13.3±8.8,
il 19% avviati a FUC (f-u medio: 2.4+2.8 mesi) ed il 69%
avviati a FUAD (f-u medio: 5.2+3.4 mesi) sono stati rinviati dal
MMG a consulenza cardiologica.Dall’analisi della nostra
esperienza emergono alcune considerazioni:
1)
la buona concordanza tra la diagnosi dei MMG e del Cardiologo;
2) la diagnosi di scompenso da parte del MMG viene posta
generalmente su base clinica, con scarso ricorso a metodiche
strumentali fondamentali per un corretto inquadramento
diagnostico-terapeutico;3) la frequente necessità di visite a
domicilio; 4) una gestione integrata permette di coinvolgere
maggiormente i MMG nella gestione della malattia e riduce il
numero di recidive ( 25%) e dei ricoveri ospedalieri per tutte
le cause ( 17% ). Dall’inizio del 20064 pazienti con scompenso
cardiaco terminale dipendenti dalla infusione di inotropi sono
stati trattati a domicilio con dobutamina. Un programma di
gestione dei pazienti con scompenso cardiaco che riconosca la
centralità del MMG e attinga a tutte le risorse sanitarie è
fattibile ed applicabile alla realtà triestina. E’ possibile
offrire tale opportunità a fasce di utenza più ampie di quelle
finora riportate in letteratura. Appare comunque fondamentale
una assunzione di responsabilità ed un ruolo attivo da parte di
tutte le figure professionali che hanno in cura il paziente.
CONCLUSIONI
Un trattamento razionale della maggior parte dei cardiopatici
deve basarsi sulla continuità assistenziale che prevede il
coordinamento e la condivisione dei progetti assistenziali e
l’interazione tra MMG e le diverse strutture specialistiche
ospedaliere e territoriali che devono realizzare una rete
assistenziale integrata. Perché il dialogo fra gli operatori di
queste strutture sia efficace è necessario che il personale sia
preparato e aggiornato culturalmente utilizzando un identico
linguaggio di comunicazione e protocolli condivisi. In
particolare la realizzazione di una efficace rete integrata
ospedale territorio deve prevedere nel territorio la creazione
di un’organica struttura specialistica per la presa in carico
globale del cardiopatico una volta dimesso dall’ospedale. La
dotazione organica e le modalità di intervento devono essere
programmate tenendo conto dell’epidemiologia e delle realtà
operative locali.
.