Terapia dell’Embolia
Polmonare
Antonio Aloia, Valentino Ducceschi, Giovanni Gregorio
ASL SA 3 Vallo della Lucania Dipartimento
Cardiovascolare U.O. Utic Cardiologia Ospedale San Luca Vallo
della Lucania
Gli obiettivi della terapia
della tromboembolia polmonare sono: la riduzione della
mortalità, la prevenzione delle recidive e delle
complicanze tardive rappresentate innanzitutto dalla
sindrome post-flebotrombotica e dall’ipertensione polmonare
cronica. Il cardine di tale terapia è rappresentato dagli
anticoagulanti ad azione rapida come l’eparina, seguita
da anticoagulanti orali, da iniziare non appena si ha il
sospetto clinico, in assenza ovviamente di controindicazioni.
Il trattamento della fase acuta
varia tuttavia a seconda del quadro clinico.
Da un punto di vista clinico
possiamo distinguere pazienti critici e non critici.
I pazienti critici
possono presentarsi con 1) instabilità emodinamica:
arresto cardiocircolatorio, shock, ipotensione arteriosa
assoluta e relativa; 2) quelli senza apprezzabiei instabilità
emodinamica, ma con almeno una delle seguenti
manifestazioni: dispnea intensa, persistente o recidivante,
sincope recente.
I pazienti non critici
sono quelli apparentemente stabili emodinamicamente, con
una o più delle seguenti manifestazioni: dispnea/tachipnea di
modesto grado, tachicardia, dolore toracico tipo pleuritico.
Misure di supporto emodinamico e
respiratorio
Le misure di supporto
emodinamico e respiratorio comprendono innanzitutto l’ossigenoterapia:
l’ossigeno antagonizza la vasocostrizione causata
dall’ipossiemia, e va iniziata subito con sonda nasale e con
flusso di 6-8 litri/minuto. In caso di dolore è
consigliabile somministrare un’adeguata terapia antalgica,
di solito con farmaci antinfiammatori non steroidei, nei casi
più gravi può essere utilizzata la morfina. I pazienti che
mostrano uno stato ipossico non correggibile devono essere
sottoposti a ventilazione meccanica. Quelli con grave
ipotensione o scarsa perfusione d’organo devono
essere sottoposti ad un trattamento con farmaci inotropi e/o
vasopressori. Nei pazienti con grave stato ipotensivo (PA
sistolica tra 80 e 100 mmHg) è indicata l’associazione di
dopamina e dobutamina iniziando con dosi
rispettivamente di 2-5
µg/kg/min
e 5-10
µg/kg/min
con aumenti progressivi secondo l’evoluzione clinica. Nei
pazienti in shock può essere utilizzatala
noradrenalina in infusione e.v. di 0.1
µg/kg/min
con aumenti progressivi fino a 1
µg/kg/min
; tale farmaco fa, tra l’altro, aumentare la pressione di
perfusione coronarica e migliorare l’ossigenazione del
ventricolo destro. Nei pazienti con scompenso del ventricolo
destro e shock cardiogeno si può utilizzare la
dobutamina, che oltre l’azione inotropa positiva presenta un
effetto vasodilatante sull’arterie polmonari. Inoltre la
dobutamina e la dopamina possono essere utilizzate
nei paziente con embolia polmonare, basso indice cardiaco
e pressione arteriosa normale. L’utilità dell’espansione
del volume circolante è controversa e non si dovrebbero
superare i 500 ml.
Trombolitici
La terapia trombolitica in
corso di embolia polmonare acuta è ancora oggetto di
controversie ed in particolare si è perplessi sul rapporto
rischio/beneficio che vede da una parte i rischi di
sanguinamento, mentre dall’altra ci sarebbero i vantaggi della
rimozione dell’ostacolo meccanico, con riduzione rapida della
pressione polmonare (PAP) e delle dimensioni delle sezioni
destre (Dx). E’ però vero che entro una settimana anche in
terapia eparinica si ottengono riduzione delle dimensioni e
della pressione delle sezioni destre.
I trombolitici sono tutti
attivatori del plasminogeno, e trasformano il plasminogeno a
catena singola in plasmina a doppia catena. La plasmina scinde
enzimaticamente la fibrina all’interno del trombo, ne distrugge
la capacità di tessere la rete che imprigiona gli elementi
figurati del sangue responsabile del veloce incremento del
volume del trombo, e questo porta allo scioglimento del coagulo.
I fibrinolitici si differenziano
tra loro per la loro struttura chimica, il metodo di sintesi, il
meccanismo di azione, la specificità nei confronti della
fibrina, l’emivita plasmatica, l’antigienicità e la dose. Oggi
possiamo distinguere i trombolitici in:
·
Trombolitici
di prima generazione:
Streptochinasi, Anistreplase,
Urochinasi
·
Trombolitici
di seconda generazione:
Attivatore tissutale del
plasminogeno (rtPA), Attivatore del plasminogeno di tipo
urinario a catena singola (pro-Urochinasi, scu-PA),
Stafilochinasi (Star)
·
Trombolitici
di terza generazione:
Reteplase (rPA), Lanoteplase
(nPA), Tenecteplase (TNK-tPA)
Indicazioni
Nell’Embolia Polmonare
massiva che di solito si accompagna a shock e/o
ipotensione (definita come una pressione arteriosa sistolica
< 90 mmHg o un calo pressorio > 40 mmHg per più di 15
minuti non causato da un’aritmia di nuova insorgenza,
ipovolemia o sepsi), i dati dei grandi trials clinici dimostrano
in maniera inequivocabile, in particolare se consideriamo i dati
di sopravvivenza, che la terapia trombolitica è indicata.
Nell’Embolia Polmonare
sub-massiva, cioè nei pazienti che presentano normali
valori della pressione arteriosa, adeguata perfusione
periferica, e segni clinici, emodinamici ed
ecocardiografici di scompenso ventricolare destro, la
trombolisi può essere praticata in assenza di
controindicazioni.
Nell’Embolia Polmonare né
massiva né sub-massiva, la terapia trobolitica non è
indicata a meno che i pazienti non presentino una
compromissione emodinamica secondaria a malattie cardiache o
polmonari preesistenti.
Quando dovremmo iniziare il
trattamento trombolitico?.
Oggi non è più richiesta la conferma angiografica per iniziare
il trattamento trombolitico, questo perché questa tecnica è poco
diffusa negli ospedali in particolare quelli periferici, ma
innanzitutto perché tale procedura non è priva di rischi per
questo tipo di pazienti, e si associa ad un aumento delle
complicanze emorragiche. Per questi motivi può essere
sufficiente il riscontro di una TAC polmonare che
documenti l’ostruzione prossimale di uno dei rami dell’arteria
polmonare, o una scintigrafia polmonare positiva, o la
presenza di segni di cuore polmonare acuto accompagnati
da un elevato sospetto clinico in pazienti senza preesistenti
malattie cardiache o respiratorie importanti.
Il trombolitico di scelta nel
trattamento dell’embolia polmonare oggi è rappresentato
dall’attivatore tissutale del plasminogeno (rtPA) che va
così utilizzato: bolo di 10 mg e.v., seguito da infusione per
120 minuti con posologia commissurata al peso corporeo (Tab I)
Tabella I
Dosi di rt-PA da infondere in
120 minuti in rapporto al peso corporeo dopo il bolo di 10 mg
Peso corporeo
(kg) |
Dose di rt-PA
(mg) |
40-45 |
60 |
46-50 |
65 |
51-55 |
70 |
56-60 |
75 |
61-65 |
80 |
66-70 |
85 |
> 70 |
90 |
Tab. I
In molti studi clinici, ove era
necessario ottenere un effetto rapido, è stato somministrata una
dose di 0.6 mg/kg di rt-PA in 15 minuti.
In alternativa possono essere
utilizzati altri trombolitici, approvati dalla FDA americana ma
che possono essere attualmente considerati superati:
-
Streptochinasi: 250.000 UI
in 30 min, seguiti da 100.000 UI/h per 24 ore
-
Urochinasi: 4400 UI/kg in
bolo, seguite da 4400 UI/kg/h per 12-24 ore
Vi sono una serie di
controindicazione al trattamento trombolitico che possono essere
assolute e relative:
Controindicazioni assolute
·
Emorragia interna
in atto
·
Emorragia
intracranica spontanea recente
Controindicazioni relative
·
Interventi
chirurgici importanti, parto, biopsia d’organo o puntura di vasi
non comprimibili nei 10 giorni precedenti.
·
Ictus cerebrale
ischemico nei due mesi precedenti
·
Emorragia
gastrointestinale nei 10 giorni precedenti
·
Trauma importante
nei 15 giorni precedenti
·
Chirurgia
dell’occhio o neurochirurgia nel mese precedente
·
Ipertensione grave
non controllata (sistolica > 180 mmHg, diastolica > 110 mmHg)
·
Rianimazione
cardiopolmonare recente
·
Conteggio
piastrinico < 100000/mm3, tempo di protrombina < 50%
·
Gravidanza
·
Endocardite
batterica
·
Retinopatia
diabetica emorragica
Complicanze della terapia
trombolitica
La complicanza maggiore della
terapia trombolitica è il sanguinamento: l’incidenza
globale media di emorragia maggiore è del 12%. L’incidenza di
emorragia cerebrale in circa 900 pazienti arruolati in studi
randomizzati è risultata 1.2%. Il potenziale beneficio della
trombolisi deve essere sempre confrontato con l’aumento del
rischio di emorragie. Pertanto, i pazienti a basso
rischio, con pressione arteriosa normale, senza disfunzione del
ventricolo destro, non dovrebbero essere sottoposti a trombolisi
poiché il rischio di sanguinamento supera i benefici attesi
della riperfusione dell’arteria polmonare.
Particolare attenzione dovrà essere posta nell’escludere dal
trattamento trombolitico i pazienti in cui la tromboembolia
polmonare ha prodotto un episodio sincopale con trauma cranico.
Infine bisogna ricordare che
non si dovrebbe somministrare l’eparina finché l’infusione del
trombolitico non sia terminata. Se è stata iniziata
l’infusione di eparina (secondo lo schema di Raschke) prima del
rt-PA, va preferibilmente sospesa durante l’infusione di
quest’ultima e poi ripresa al termine.
Eparina
Il trattamento con eparina
non frazionata (UFH) dell’Embolia Polmonare (EP) è
ampiamente riconosciuto fin dal classico studio clinico eseguito
da Barritt e Jordan nel 1961. Le eparine a basso peso
molecolare (LMWH) possono essere utilizzate nei pazienti
affetti da EP stabile ma non sono consigliate dalle Linee
Guida Europee nei pazienti con EP massiva, dal momento che tali
pazienti sono stati esclusi da tutti gli studi sul trattamento
dell’EP con LMWH.
L’eparina inibisce la trombosi
cambiando la conformazione dell’antitrombina ed accelera così la
formazione dei complessi trombina-antitrombina di almeno mille
volte. Una volta che questa neutralizzazione virtuale istantanea
della trombina avviene, l’eparina viene rilasciata dal complesso
ternario ed è disponibile per interagire con un’altra molecola
libera di antitrombina. Le caratteristiche anticoagulanti
dell’eparina sono largamente spiegate dal fatto che catalizzano
l’effetto dell’antitrombina sulle proteine del sistema della
coagulazione, compresa la trombina e i Fattori IX, X, XI, XII e
il complesso tissutale del Fattore VIIa. Le eparine che
contengono meno di 18 unità di zucchero, le eparine a basso peso
molecolare, sono incapaci di legare in maniera adeguata
contemporaneamente la trombina e l’antitrombina, e per questo,
come vedremo, non hanno effetto sulla trombina, ma possono
inibire il fattore Xa.
Poiché l’inizio della sua
azione è praticamente immediato quando somministrata per via
parenterale, l’eparina non frazionata è l’anticoagulante
di scelta quando è necessario instaurare una rapida
anticoagulazione.
La V Consensus Conference
nordamericana sulla trombosi e gli agenti antitrombotici
svoltasi nell’aprile 1998 ha consigliato di trattare i pazienti
affetti da EP o TVP con una dose di eparina sufficiente a
raggiungere una rapida scoagulazione portando il tempo di
tromboplastina parziale attivato (aPTT) a valori che
corrispondono ad un livello plasmatico di eparina di 0,30-0,60
anti –Xa UI, determinato con il metodo amidolitico. Per
raggiungere questo scopo si consiglia di iniziare la terapia
somministrando: eparina non frazionata 80 UI/kg
endovena in bolo (di solito tra le 5000 e le 10000
UI), seguita da infusione di 18 UI/kg/ora, con
successivisi adeguamenti posologici secondo il valore dell’aPTT
in secondi o ratio rapportata al peso del paziente (normogramma
di Raschke – Tab. II), ma non dovrebbe essere mai <
1250 UI/ora. La velocità di infusione dovrebbe tener conto del
grado di scoagulazione indicato dall’aPTT (aPTT ottimale:
rapporto aPTT paziente/controllo tra 1.5 e 2.5). Il
dosaggio dell’aPTT dovrebbe essere eseguito dopo 4-6 ore
dopo l’inizio dell’infusione. In alcune particolari
situazioni, come nel caso di un’aumentata affinità per alcune
proteine plasmatiche, potremo riscontrare una resistenza della
risposta ad una determinata dose di eparina in termini di
rapporto aPTT, in questo caso può essere utile il dosaggio
dell’anti-Xa. Alternativamente in questo caso specifico possono
essere utilizzate le LMWH.
Tabella II
Infusione dell’eparina e.v.
in base al peso corporeo
Normogramma di Raschke
modificato
Dose iniziale |
Bolo di 80 UI/kg, quindi infusione di 18 UI/kg/ora |
aPTT < 35 sec
(1.2 ratio) |
Bolo di 80 UI/kg, quindi aumentare la velocità di
infusione di 4 UI/kg/ora |
aPTT 35 - 45 sec
(1.2 – 1.5 ratio) |
Bolo di 40 UI/kg, quindi aumentare la velocità di
infusione di 2 UI/kg/ora |
aPTT 46 - 70 sec
(1.5 – 2.3 ratio) |
Nessuna modificazione |
aPTT 71 - 90 sec
(2.3 – 3.0 ratio) |
Diminuire la velocità di infusione di 2UI/kg/ora |
aPTT > 90 sec
(3.0 ratio) |
Fermare l’infusione per 1 ora, quindi diminuire la
velocità di infusione di 3 UI/kg/ora |
La terapia con eparina non
frazionata va proseguita per 4-5 giorni e sospesa dopo
aver verificato per 2 giorni consecutivi la presenza di
livelli adeguati di anticoagulazione indotti dalla terapia con
l’anticoagulante orale (INR 2.0-3.0). La terapia con gli
anticoagulanti orali dicumarolici va iniziata, come vedremo
dopo, entro 24-48 ore dall’inizio della terapia eparinica,
embricata con questa per 4-5 giorni (Tab. V).
La maggiore complicanza
della terapia eparinica è il sanguinamento. I
sanguinamenti maggiori smascherano di solito una patologia
importante di solito silente, come una neoplasia del colon o
della vescica. Nella maggioranza dei casi di sanguinamento di
modesta entità basta sospendere la terapia, e l’aPTT ritorna
dopo circa 6 ore alla norma, ricordando che l’emivita
dell’eparina non frazionata è di 60-90 minuti. Possono
predisporre al sanguinamento importante in corso di terapia
eparinica la presenza di patologie concomitanti, un’età > 60
anni, un’eccessiva coagulazione, l’assunzione contemporanea di
altri farmaci o la presenza di una disfunzione epatica o del
sistema emocoagulativo. L’iniezione endovena intermittente
di eparina è associata ad una maggiore incidenza di complicanze
emorragiche rispetto all’infusione endovena continua. Quando si
vuole neutralizzare l’effetto dell’eparina non frazionata, in
caso di emorragie letali ed intracraniche, bisogna
somministrare Solfato di protamina, proteina basica che
blocca immediatamente l’effetto anticoagulante formando un
complesso stabile con l’eparina acida. La dose che si consiglia
somministrare è pari 10 mg di Solfato di protamina ogni 1000
UI di Eparina endovena lentamente (50 mg in 10-30 minuti).
In corso di solfato di protamina si possono verificare reazioni
allergiche, soprattutto in pazienti diabetici venuti già a
contatto con la protamina per essere stati trattati con
l’insulina neutra protamina Hagedorn. Il Solfato di protamina
neutralizza l’attività anti-fattore IIa, ma determina solo una
neutralizzazione parziale dell’effetto anti-Xa delle eparine a
basso peso molecolare, probabilmente perché la protamina solfato
non si lega ai componenti a peso molecolare molto basso.
Nonostante l’incapacità della protamina solfato di neutralizzare
tutta l’attività anti-fattore Xa delle eparine a basso peso
molecolare, studi in modelli sperimentali animali indicano che
l’aumentato sanguinamento microvascolare causato da
concentrazioni molto alte di eparine a basso peso molecolare
viene neutralizzato dalla protamina solfato. E’ incerto se la
protamina solfato sia in grado di neutralizzare emorragie
clinicamente importanti indotte da eparine a basso peso
molecolare.
Altre complicanze includono l’osteopenia,
l’osteoporosi dose-dipendente, l’ematoma spinale ed
epidurale, la necrosi cutanea, l’alopecia,
reazioni di ipersensibilità, ipertransaminasemia da
tossicità e l’ipoaldosteronismo che può determinare
iperkaliemia in particolare nei pazienti affetti da diabete
mellito o da insufficienza renale.
La terapia eparinica può causare
due distinti tipi di trombocitopenia. La forma più
comune rappresenta un effetto collaterale benigno del
farmaco ed è autolimitante. La forma più preoccupante è la forma
autoimmune, HIT (heparin-indiced thrombocytopenia), che
può determinare una grave riduzione della conta piastrinica e
paradossalmente causare complicanze trombotiche potenzialmente
letali, sia arteriose che venose. Quando si sospetta una HIT,
qualsiasi sia la fonte o via di somministrazione, l’eparina deve
essere immediatamente sospesa, questo determinerà in meno di 10
giorni un progressivo aumento delle piastrine. E’ cosa buona
durante il trattamento controllare il numero delle piastrine a
giorni alterni. La frequenza della HIT è maggiore con
l’uso dell’UFH che con le LMWH. Comunque le LMWH non devono
essere sostituite all’eparina non frazionata poiché hanno
maggiore reattività crociata con sieri della HIT. Nella terapia
profilattica dei pazienti sottoposti a sostituzione con protesi
d’anca, la frequenza di HIT è risultata circa dell’1%. La
diagnosi di HIT è difficile a causa della mancanza di esami di
laboratorio e di criteri di riferimento. I test oggi disponibili
sono: il test sul rilascio di serotonina, che è quello di
riferimento, il test di Fratantoni, che è un test di
aggregazione piastrinica, il test con Elisa, che rivela
la presenza di anticorpi antieparina diretti contro il complesso
eparina-fattore 4.
Bisogna infine ricordare che l’eparina
è l’anticoagulante di scelta in gravidanza, infatti a
differenza del warfarin, essa non attraversa la placenta e non è
teratogena.
Le controindicazioni assolute
alla terapia eparinica sono: emorragia interna in atto,
recente emorragia endocranica spontanea, recente trauma cranico.
Le controindicazioni relative
alla terapia eparinica sono: interventi chirurgici importanti,
biopsie d’organo o punture di vasi non comprimibili entro 10
giorni, ictus ischemico entro 2 mesi, emorragia
gastrointestinale entro 10 giorni, traumi gravi negli ultimi 15
giorni, neurochirurgia o chirurgia oftalmica entro 1 mese,
ipertensione arteriosa grave non controllata (pressione
sistolica > 180 mmHg; pressione diastolica > 110 mmHg), conta
piastrine < 100000 piastrine/mm3 oppure attività protrombinica <
50%, retinopatia diabetica emorragica.
Le eparine a basso peso
molecolare (LMWH) sono frazioni di eparine standard
che si ricavano dalla depolarizzazione chimica o enzimatica
delle catene polisaccaridiche. Le eparine a basso peso
molecolare in definitiva presenterebbero rispetto all’eparina
sodica i vantaggi di una maggiore biodisponibilità, minimo
legame con le proteine, buona affinità per i fattori
pro-coagulanti oggetto dell’azione delle molecole eparino-simili
(antitrombina III, fattore IIa e fattore Xa). Per queste ragioni
l’effetto anticoagulante è più prevedibile e non necessita di un
monitoraggio stretto dell’aPTT.
Queste eparine hanno avuto negli
ultimi anni un ampio sviluppo in coincidenza con la
dimostrazione di efficacia e sicurezza pari all’eparina non
frazionata. Recentemente alcuni studi clinici, controllati e
randomizzati hanno testato la sicurezza e l’efficacia delle LMWH
nel trattamento dell’EP non massiva nei confronti
dell’UFH. Tra questi merita di essere ricordato lo studio
Columbus, studio multicentrico che ha arruolato 1021 pazienti,
di cui 750 affetti da TVP (trombosi venosa profonda) e 271
affetti da EP (embolia polmonare) accertata; questi pazienti
sono stati randomizzati a una dose fissa di LMWH (510 pazienti)
o a una somministrazione continua di UFH (511 pazienti).
Contemporaneamente è stato iniziato il trattamento
anticoagulante orale, che è stato continuato per 12 settimane.
Ventisette (5,3%) dei 510 pazienti trattati con LMWH hanno avuto
TEV ricorrente versus venticinque pazienti (4,9%) dei 511
trattati con UFH, che soddisfaceva i criteri di equivalenza
stabiliti a priori. Sedici pazienti (3,1%) trattati con LMWH e
12 pazienti (2,3%) trattati con UFH hanno sperimentato episodi
emorragici maggiori. Nel complesso, la mortalità era del 7,4% in
entrambi gruppi. Quindi come abbiamo visto, non sono state
registrate differenze tra i due gruppi in termini di sicurezza e
efficacia, con un trend a favore delle LMWH.
In un altro studio recente,
eseguito da Simonneau et al, 612 pazienti con EP sintomatica non
massiva, sono stati randomizzati a una dose fissa di LMWH (304
pazienti) o a UFH in dosi aggiustate. Contemporaneamente è stato
iniziato il trattamento anticoagulante orale, che è stato
continuato per almeno 3 mesi. L’end-point primario era
rappresentato da una combinazione di eventi, rappresentata da
morte, TEV ricorrente ed emorragie maggiori nei primi 8 giorni
dello studio. Tale end-point è stato valutato anche a 90 giorni.
Nei primi 8 giorni di trattamento, 9 pazienti di ciascun gruppo
di trattamento svilupparono almeno uno degli end-point (2,9% nel
gruppo UFH, 3% nel gruppo LMWH). A 90 giorni 22 pazienti del
gruppo UFH pari al 7.1% e 18 del gruppo LMWH pari al 5.9%
avevano sviluppato almeno un evento. Il rischio di emorragie
maggiori era simile per tutta la durata dello studio.
Questi dati come quelli di altri
studi suggeriscono un’equivalenza in termini di efficacia e
sicurezza dei due regimi terapeutici in pazienti affetti da EP
non massiva. Quindi, in mancanza di studi clinici adeguati, le
eparine a basso peso molecolare non possono essere utilizzate
nell’embolia polmonare massiva.
Come abbiamo già visto le LMWH
non necessitano di alcun monitoraggio di laboratorio ad
eccezione della verifica di un conteggio piastrinico prima
dell’inizio della terapia, in quinta giornata e,
successivamente, ogni 2-3 giorni se il trattamento viene
protratto.
Nei pazienti anziani e nei casi
di insufficienza renale cronica (clearance della creatinina < 30
ml/min) il dosaggio deve essere ridotto e bisogna monitorare
attività anti-Xa che va preferibilmente controllata mediante
prelievo di sangue 4 ore dopo l’iniezione sottocutanea (valori
ottimali di anti-Xa: 0.6-1.0 UI/ml in caso di 2 somministrazioni
pro-die; 1.0-2.0 UI/ml per somministrazione unica). Infine nelle
persone con grave obesità (indice di massa corporea > 35 Kg/m2)
la posologia non è stata ben precisata e l’attività anti-Xa va
controllata inizialmente.
Vi sono a disposizione molte
eparine a basso peso molecolare (Tab. III):
Tabella III
Dosaggi terapeutici delle
eparine a basso peso molecolare
Dalteparina |
200 UI/anti-Xa/kg x 1 |
Enoxaparina |
100 UI/anti-Xa/kg x 2 |
Nadroparina |
90 UI/anti-Xa/kg x 2 |
Reviparina |
90 UI/anti-Xa/kg x 2 |
Tinzaparina |
175 UI/anti-Xa/kg x 1 |
Tab. III
Se l’Embolia Polmonare si
presenta immediatamente dopo intervento chirurgico, la
terapia eparinica non dovrebbe essere istituita se non dopo
12-24 ore in caso di intervento chirurgico maggiore. Tale
trattamento dovrebbe essere ulteriormente procrastinato in caso
di sanguinamento in sede di intervento. In questi casi non
bisognerebbe somministrare il bolo di eparina ed iniziare
l’infusione con un dosaggio inferiore. Il valore dell’aPTT
dovrebbe essere controllato ogni 4 ore dall’inizio del
trattamento.
Anticoagulanti
L’efficacia degli anticoagulanti
orali nella prevenzione del tromboembolismo è stata dimostrata
da numerosi studi clinici controllati.
Gli anticoagulanti più
utilizzati in Europa sono il warfarin (il più utilizzato
in clinica), l’acenocumarolo ed il fluindione.
Questi sono farmaci che vengono assorbiti nell’intestino e sono
trasportati nel plasma attraverso l’albumina a cui si lega nel
97-99% dei casi. Successivamente vengono metabolizzati dal
fegato ed eliminati in forma idrossilata dall’emuntorio renale
attraverso le urine. Importante in questo gruppo di farmaci è
l’emivita, più questa è lunga minori saranno le fluttuazioni del
livello di scoagulazione. L’emivita plasmatica del warfarin è di
42 ore, dell’acenocumarolo è di 9 ore, e del fluindione è di 31
ore. Gli anticoagulanti inibiscono nel fegato la sintesi,
vitamina K-dipendente, dei seguenti fattori della coagulazione:
fattore II, VII, IX, X; inoltre limitano il processo di
carbossilazione delle proteine C e S che sono proteine
anticoagulanti, con conseguente diminuizione della loro
attività.
La terapia con gli
anticoagulanti orali dicumarolici va iniziata entro 24-48 ore
dall’inizio della terapia eparinica, embricata con questa per
5-7 giorni, e
sospesa dopo aver verificato per 2 giorni consecutivi la
presenza di livelli adeguati di anticoagulazione indotti
dalla terapia anticoagulante orale (INR 2.0-3.0), valori più
elevati di INR non hanno diminuito l’incidenza di VTE mentre ha
aumentato le complicanze emorragiche che si manifestano con una
frequenza 4 volte maggiore (Tab. IV).
Tabella .IV

Bisogna iniziare con una dose
uguale a quella che si prevede per il mantenimento e cioè 5
mg/die per il warfarin, 3 mg/die per l’acenocumarolo e 20 mg/die
per il fluindione. L’uso di elevate dosi di carico (20-40 mg
di warfarin) non presenta vantaggi rispetto alle dosi più
ridotte, anzi rende più difficile la stabilizzazione del
dosaggio ed è potenzialmente pericolosa. Infatti, la rapida
diminuzione della proteina C (anticoagulante fisiologico,
vitamina K-dipendente, a corta emivita) non compensata dalla
concomitante riduzione dei fattori vitamina K-dipendenti ad
emivita più lunga (fattori II, IX e X) può indurre la comparsa
di necrosi cutanea, particolarmente nei pazienti con deficit
congenito di proteina C ed S, oltre che indurre uno stato di
ipercoagulabilità. Successivamente saranno effettuati gli
aggiustamenti posologici in base al valore dell’international
normalized ratio (INR). Il monitoraggio dell’INR sarà eseguito
quotidianamente fino al raggiungimento dei valori target (INR
2.0-3.0), quindi 2-3 volte alla settimana per le prime due
settimane e poi meno frequentemente a seconda della stabilità
del valore dell’INR. L’assunzione della TAO va effettuata in
unica somministrazione, sempre alla stessa ora del giorno e
comunque dopo il risultato del controllo.
La terapia con anticoagulanti
orali fino a quando va proseguita ?
La terapia anticoagulante orale,
dopo la fase iniziale, va proseguita per un tempo variabile che
dipende dal tipo di tromboembolia e dalla presenza di fattori di
rischio permanenti. In generale potremo dire che la terapia
anticoagulante va proseguita: 1) per almeno 3 mesi, se la
malattia tromboembolica è associata a fattori di rischio
temporanei (interventi chirurgici, immobilizzazione, traumi o
fratture); 2) per almeno 6 mesi, in caso di EP idiopatica
o assenza di TVP documentabile; 3) almeno 12 mesi o a
tempo indefinito in caso a) di primo episodio
embolico associato a neoplasia attiva, anticorpi antifosfolipidi
o deficit di antitrombina III, b) di recidiva
tromboembolica idiomatica o associata a stato trombofilico
(esempio presenza di fattore V Leiden allo stato omozigote,
iperomocisteina, deficit di proteina C o s, alterazioni
trombofiliche multiple).
La più comune complicanza
della terapia anticoagulante è l’emorragia, che è
correlata al grado di scoagulazione. Vi sono numerosi studi che
dimostrano che il sanguinamento è più frequente con valori di
INR > 3.0, e analisi multivariate suggeriscono che il rischio
viene influenzato da malattie di base e dall’età. Le complicanze
emorragiche possono smascherare una patologia come un tumore
renale, una neoplasia, un’ulcera gastrointestinale, oppure un
aneurisma cerebrale. In caso di emorragia da anticoagulante
orale si deve sospendere il farmaco e bisogna somministrare
vitamina K (fl da 10 mg) per via orale o parenterale, che fa
di solito regredire l’effetto del warfarin in 6-12 ore. Se il
paziente presenta un’emorragia importante bisognerebbe
somministrare vitamina K in infusione e.v. , plasma fresco o
complesso protrombinico concentrato.
I fattori di rischio per
emorragia nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali
sono: una patologia epatica o renale grave, l’alcolismo,
le interazioni farmacologiche, i traumi, i
tumori maligni e precedenti episodi emorragici del tratto
gastroenterico.
La Federazione dei Centri per la
Sorveglianza dei pazienti Anticoagulati (FCSA) ha recentemente
condotto uno studio prospettico, multicentrico sulle complicanze
emorragiche della TAO, che ha coinvolto 34 centri distribuiti in
tutto il territorio nazionale. In tale studio 2700 pazienti, non
selezionati, sono stati seguiti sin dall’inizio del loro
trattamento anticoagulante per un follow-up totale di 2
anni/paziente. In questo studio l’incidenza di complicanze
emorragiche è risultata pari a 7,5% anni/paziente. Di queste,
0,25% anni/paziente sono risultate fatali (emorragie cerebrali);
1,09% anni/paziente maggiori (6 digestive, 5 oculari, 4
cerebrali, 3 emartri, 2 emottisi, 1 retroperitoneale, 1
ematuria); e 6,2% anni/paziente minori (ematurie, proctorragie,
meno-metrorragie, emorragie digestive, ematomi, ecchimosi,
epistassi).
L’incidenza di emorragie
registrata in questo studio è risultata nettamente inferiore di
circa 1/3 rispetto a quella osservata mediamente in altri
analoghi studi osservazionali e analoga a quella registrata in
studi clinici anche recenti ai quali erano ammessi solo pazienti
altamente selezionati e quindi a basso rischio emorragico.
Nel corso dello studio ISCOAT è
stato registrato che le seguenti condizioni costituivano un
fattore di rischio per la comparsa di complicanze emorragiche:
-
quando i valori di INR
correlati temporalmente all’evento emorragico erano > 4,5;
-
quando l’indicazione alla
TAO era una vasculopatia arteriosa periferica o cerebrale;
-
quando l’età era superiore a
70 anni;
-
i primi 90 giorni di
trattamento.
Non vi era correlazione
significativa con il sesso, il range terapeutico
desiderato, il tipo di farmaco anticoagulante usato (acecumarolo
o warfarin).
Sebbene il numero di complicanze
emorragiche aumenti in misura esponenziale per valori di INR >
4,5, emorragie compaiono anche per valori molto bassi di INR.
Nello studio ISCOAT si è verificata un’incidenza di emorragie
del 7,6% anno/paziente a valori di INR < 2. Ciò conferma il
fatto che la comparsa di manifestazioni emorragiche è talvolta
da mettere in relazione alla presenza di lesioni organiche
locali occulte.
Oltre l’emorragia, il più grave
effetto della terapia anticoagulante è la necrosi cutanea,
che si manifesta nella prima settimana di trattamento. Questa
complicanza, come abbiamo già visto, dovuto al deficit di
proteina C, proteina S o di neoplasie.
Poiché gli anticoagulanti
possono attraversare la barriera placentare e determinare
embriopatie ed aborto nel primo trimestre di gravidanze non
devono essere somministrate, come pure nelle ultime 6
settimane perché potrebbero determinare sanguinamento. Per
questi motivi in gravidanza andrebbero somministrate la UFH o le
LMWH per via sottocutanea.
Al momento di iniziare la TAO, è
opportuno tenere presente il cosiddetto “triangolo della buona
condotta terapeutica” costituito da:
1. laboratorio affidabile,
2. medico esperto,
3. paziente collaborante.
Quando uno dei tre lati del
triangolo non è corretto, aumentano i rischi della TAO.
Controindicazioni assolute:
·
gravidanza (1°
trimestre e ultime settimane di gravidanza);
·
emorragia maggiore
(entro 1 mese dall’insorgenza dell’evento, specie se a rischio
vitale).
Condizioni a rischio di
complicanze:
·
malattie
psichiatriche (alcolismo, paziente non collaborante);
·
malattie
cardiovascolari (ipertensione grave, endocardite batterica,
pericardite, insufficienza
cardiaca grave);
·
malattie renali
(insufficienza renale grave, biopsia renale recente);
·
malattie
neurologiche (recente accidente cerebrale di natura non
embolica, recente chirurgia o trauma del SNC o dell’occhio (<3
mesi), aneurismi cerebrali);
·
malattie
gastrointestinali (ulcera peptica attiva, varici esofagee, ernia
iatale, diverticolosi del colon);
·
malattie epatiche
(insufficienza epatica grave, malattie biliari, biopsia epatica
recente);
·
malattie
ematologiche (preesistenti difetti dell’emostasi,
piastrinopenia, piastrinopatia);
·
miscellanee
(puntura lombare, iniezioni arteriose [<3 mesi]). Anche le
iniezioni intramuscolari vanno evitate. Per le vaccinazioni
(p.e. antinfluenzale, antiepatite) si consiglia iniezione
sottocutanea o nella massa muscolare comprimibile e
controllabile a vista come il deltoide.
L’età avanzata (>80 anni) è
fattore di rischio emorragico, ma al tempo stesso coincide con
l’epoca di insorgenza di un aumentato rischio tromboembolico
legato a malattie cardiovascolari (ad es. fibrillazione atriale
non reumatica). Laddove la TAO sia indicata si valuterà
attentamente il rapporto rischio/beneficio.
Va ricordato che esiste
nell’anziano un maggior rischio di emorragie cerebrali per
alterazione del metabolismo dei farmaci e probabilmente per
alterazioni degenerative dei piccoli vasi.
Questo rende necessaria
un’attenta sorveglianza clinica, ma non costituisce di per sé
una controindicazione.
Prima di iniziare la TAO in un
paziente, sia ricoverato in ospedale sia ambulatoriale, è
opportuno che sia seguita una procedura standard al fine di:
·
escludere la
presenza di controindicazioni maggiori e valutare le minori;
·
definire il motivo
principale che porta al trattamento anticoagulante (ed eventuali
altri motivi accessori);
·
definire il
range terapeutico voluto;
·
stabilire la
durata prevista del trattamento;
·
chiarire come e da
chi sarà controllato ambulatorialmente il paziente.
La procedura standard da seguire
per rispondere ai punti suddetti deve prevedere una visita
generale e l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio.
Occorre valutare il grado di
cooperazione del paziente e la possibile presenza di condizioni
che ne riducano o escludano l’affidabilità (deficit mentali,
gravi psicosi, alcolismo, tossicodipendenza).
Bisogna infatti considerare che
per un adeguato trattamento occorre una completa e consapevole
collaborazione da parte del paziente oppure la collaborazione da
parte di familiari/conoscenti disponibili ad accudire il
paziente stesso. La mancanza di entrambe queste condizioni è da
considerare come una controindicazione assoluta al trattamento.
La visita e la raccolta anamnestica escluderà la presenza di
controindicazioni assolute e valuterà l’entità della
controindicazioni relative.
Esami di laboratorio
preliminari:
·
test coagulativi
di base (PT, aPTT, fibrinogeno, tempo di stillicidio);
·
esame
emocromocitometrico completo con piastrine;
·
sideremia;
·
transaminasi,
gamma-GT, colinesterasi, creatininemia, glicemia, uricemia,
colesterolo, trigliceridi;
·
test di gravidanza
in tutte le donne in età fertile.
Recentemente uno studio di lungo
periodo, lo Studio Prevent, che ha valutato l’effetto del
Warfarin a basso dosaggio nella prevenzione delle recidive della
trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, ha dimostrato
che l’anticoagulante utilizzato a bassi dosaggi offre un
significativo beneficio nei pazienti con tromboembolismo venoso,
senza significativi effetti indesiderati.
Terapie alternative
In caso di controindicazioni
assolute alla trombolisi o all’uso di anticoagulanti, possono
essere utilizzate:
•
Embolectomia
chirurgica: è un
metodo efficace nei pazienti con Embolia Polmonare massiva in
presenza di: 1) alto rischio di sanguinamento, 2) trombi nel
cuore destro, 3) difetto del setto interatriale o forame ovale
pervio con rischio di embolia sistemica. Tale procedura può
essere eseguita previa
documentazione del trombo con angiografia polmonare o TEE, è
praticata raramente, e presenta un alto rischio di mortalità
operatoria (20-50%).
•
Embolectomia
meccanica con
catetere in arteria polmonare:eseguibile per via percutanea con
dispositivi che funzionano mediante aspirazione, frammentazione,
reolisi con rimozione se non esistono controindicazione.
Questa metodica può essere utilizzata in associazione alla
trombolisi per aumentarne l’efficacia. Tuttavia, non si è ancora
trovato un catetere ideale per l’embolia polmonare.
•
Interruzione
della vena cava inferiore:
con
questo termine si intendono quelle procedure strumentali che
consentono il posizionamento di filtri cavali per via percutanea
di tipo permanente o temporaneo.
Indicazioni:
-
controindicazioni
all’uso di anticoagulanti
-
fallimento di terapia
anticoagulante
-
profilassi nei pazienti
ad alto rischio
-
documentazione clinica
di TVP con trombo flottante in atto in pazienti
candidati ad intervento chirurgico non differibile
Controindicazioni:
-
grave coagulopatia con
predisposizione all’emorragia
-
trombo ostruente la via
di inserimento disponibile
-
rifiuto da parte del
paziente
Attualmente sono disponibili
numerosi nuovi modelli ( Bird’s Nest, Vena-Tech, Simon nitinol )
innovativi per la presenza di introduttori a guaina molto
piccola con facilità di inserimento, accresciuta efficienza
filtrante e possibilità di agevole rimozione.
CONCLUSIONI
L’Embolia Polmonare è gravata da
una alta mortalità. La gravità del quadro clinico è determinante
nella scelta dell’approccio terapeutico:
A)
Pazienti in
condizioni non critiche
·
Eparina non
frazionata:
80 UI/kg e.v. in
bolo, seguiti da infusione di 18 UI/kg/h, con successivi
adeguamenti posologici secondo il di aPTT in secondi o aPTT
ratio (vedi Tab. I – Normogramma di Raschke).
In alternativa possono essere
impiegate:
·
Eparine a
basso peso molecolare
che non richiedono
monitoraggio dei test di coagulazione.
·
Terapia
anticoagulante orale con dicumarolici:
preferibilmente con Warfarin 5 mg, va iniziata entro 24-48 ore
dall’inizio della terapia eparinica, embricata con essa per 4-5
giorni. La terapia con eparina non frazionata va proseguita per
5-7 giorni e sospesa dopo aver verificato per 2 giorni
consecutivi la presenza di livelli adeguati di anticoagulazione
indotti dalla terapia anticoagulante orale (INR 2.0-3.0).
La terapia
anticoagulante va proseguita:
1) per almeno 3 mesi, se la malattia
tromboembolica è associata a fattori di rischio temporanei
(interventi chirurgici, immobilizzazione, traumi o fratture); 2)
per almeno 6 mesi, in caso di EP idiopatica o
assenza di TVP documentabile; 3) almeno 12 mesi o a tempo
indefinito in caso a) di primo episodio embolico
associato a neoplasia attiva, anticorpi antifosfolipidi o
deficit di antitrombina III, b) di recidiva tromboembolica
idiomatica o associata a stato trombofilico (esempio presenza di
fattore V Leiden allo stato omozigote, iperomocisteina, deficit
di proteina C o s, alterazioni trombofiliche multiple).
·
Terapia
antibiotica:
netimicina (Zetamicin fl 300 mg) 1 fl ev ogni 12 ore in
associazione con cefotaxime (Zariviz fl 1 gr) 1 fl ev ogni 12
ore oppure imipenem cilastatina (Tienam fl 500 mg) 500 mg ev
ogni 12 ore
B)
Pazienti in
condizioni critiche
Embolia polmonare con
instabilità emodinamica
·
Ossigenoterapia:
l’ossigeno
antagonizza la vasocostrizione causata dall’ipossiemia, va
iniziata subito con sonda nasale e con flusso di 6-8
litri/minuto. I pazienti che mostrano uno stato ipossico non
correggibile devono essere sottoposti a ventilazione
meccanica; questa va effettuata con cautela a causa della
riduzione del ritorno venoso causato dalla pressione positiva.
·
Terapia
antalgica:
farmaci antinfiammatori non steroidei, nei casi più gravi
può essere utilizzata la morfina.
·
Arresto
cardio-respiratorio:
rianimazione cardio-respiratoria secondo le
linee guida dell’AHA e le nuove
ERC 2005.
·
Shock:
noradrenalina in infusione ev di 0.1
µg/kg/min
con aumenti progressivi fino a 1
µg/kg/min,
che fa tra l’altro aumentare la perfusione coronarica e migliora
l’ossigenazione del ventricolo destro.
·
Ipotensione
(PA sistolica tra 80 e
100 mmHg): associazione di dopamina e dobutamina
iniziando con dosi rispettivamente di 2-5
µg/kg/min
e 5-10
µg/kg/min
con aumenti progressivi secondo l’evoluzione clinica.
·
Trombolitici:
il trombolitico di
scelta nel trattamento dell’embolia polmonare oggi è
rappresentato dall’attivatore tissutale del plasminogeno,
rtPA, che va così utilizzato: bolo di 10 mg ev, seguito da
infusione per 120 minuti con posologia commissurata al peso
corporeo.
·
Eparina non
frazionata:
80 UI/kg ev in bolo,
seguiti da infusione di 18 UI/kg/h, con successivi adeguamenti
posologici secondo il di aPTT in secondi o aPTT ratio (vedi Tab.
I – Normogramma di Raschke).
bisogna ricordare che non si
dovrebbe somministrare l’eparina finché l’infusione del
trombolitico non sia terminata. Se è stata iniziata l’infusione
di eparina (secondo lo schema di Raschke) prima del rt-PA, va
preferibilmente sospesa durante l’infusione di quest’ultima e
poi ripresa al termine.
·
Terapia
anticoagulante orale con dicumarolici:
seguendo lo stesso schema di somministrazione per i pazienti non
critici.
·
Terapia
antibiotica:
seguendo lo stesso schema di somministrazione per i pazienti non
critici.
Embolia polmonare senza
instabilità emodinamica
·
Eparina non
frazionata (Tab. II) seguita da anticoagulanti orali:
seguendo lo stesso
schema di somministrazione per i pazienti non critici (vedi Tab.
I – Normogramma di Raschke).
·
Trombolisi:
da valutare caso per caso in base al rapporto rischio/beneficio.
Anche se i trombolitici causano un più rapido miglioramento
clinico-strumentale rispetto all’eparina, non vi sono studi
randomizzati di proporzioni adeguate che abbiano dimostrato la
superiorità in termini di mortalità nei pazienti con
sovraccarico del cuore destro, ma senza ipotensione sistemica
e/o shock. In questo tipo di pazienti l’impiego di eparine a
basso peso molecolare al posto dell’eparina non frazionata ev
non sembra sufficientemente convalidato dagli studi fin qui
eseguiti.
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