Lo Scompenso Cardiaco
oggi
Domenico Miceli, Eleonora De Luca, Armando Maria Scalzone,
Pio Caso, Raffaele Calabrò
UOS Valutazione dello Scompenso Cardiaco e Riabilitazione
Cardiologica
Dipartimento di Cardiologia AO Monaldi, Napoli
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad un profondo
mutamento delle conoscenze in tema di fisiopatologia dello
Scompenso Cardiaco (SC): da un modello concettuale puramente
emodinamico che riconosceva nella riduzione della contrattilità
miocardica il perno fondamentale della sindrome, ad un modello
neuro-ormonale coinvolgente i meccanismi regolatori che ruotano
attorno al sistema adrenergico e all’asse
renina-angiotensina-aldosterone, fino al modello neuro-umorale
rappresentato dallo studio delle variazioni degli ormoni ANP e
BNP e dei loro metaboliti (fig.1).

Figura 1
Tutto ciò, come è noto, ha provocato rilevanti conseguenze dal
punto di vista terapeutico: trenta anni fa sarebbe stato contro
ogni logica trattare un paziente affetto da SC con un
betabloccante, mentre oggi può addirittura essere considerato
non eticamente corretto privare un simile paziente di questa
categoria di farmaci.
Nel frattempo, però, lo SC si sta rivelando una sindrome in
costante aumento : il flusso informativo derivante dalle Schede
di Dimissione Ospedaliera del 2003 (1) segnala 197.818
dimissioni con il DRG 127 (Scompenso Cardiaco e Shock), con un
trend in crescita rispetto ai 175.470 ricoveri del 1999, e con
un costo ospedaliero globale, ottenuto aggiungendo il DRG 103
(Trapianto Cardiaco), di 500 miliardi di euro.
L’incidenza annuale viene
stimata approssimativamente intorno a 300 nuovi casi ogni
100.000 persone, ma è previsto che il numero possa raddoppiare
nei prossimi 40 anni a causa dell’invecchiamento della
popolazione. La dimensione del fenomeno, soprattutto dal punto
di vista delle ricadute cliniche, è confermata dagli studi
osservazionali condotti in ambito ospedaliero, e, tra questi,
dai dati del TEMISTOCLE ( hearT failurE epideMIological
STudy fadOi – anmCo in
italian peopLE )(2), uno studio osservazionale
condotto in collaborazione tra l’Associazione Nazionale Medici
Cardiologi Ospedalieri(ANMCO) e la Federazione delle
Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti(FADOI), che ha
“fotografato” per 12 giorni dell’anno 2000 il percorso
ospedaliero di 2127 pazienti con SC in 167 UO di Cardiologia e
250 UO di Medicina italiane.
Lo
studio TEMISTOCLE ha dimostrato che :
·
i pazienti con SC
hanno una ridotta quantità e qualità di vita:
Ø
il 5% muore in
ospedale
Ø
il 15% muore entro
sei mesi dalla dimissione
Ø
il 45% ritorna in
ospedale almeno una volta entro sei mesi dalla dimissione
Come sostenuto in un’ analisi di
Cleland (3), il carico gestionale totale dello SC risulta essere
il 5% della popolazione generale, e questo valore percentuale
risulta composto da :
·
1% SC con
manifestazioni di disfunzione sistolica ventricolare sinistra
(1,5% per età comprese fra 25 e 75 anni)
·
1% SC con
disfunzione ventricolare sinistra asintomatica
·
1% SC con
funzione sistolica conservata
·
2% SC sospetto ma
non confermato
Ciò farebbe stimare che, in Italia, vi siano circa 3.000.000 di
cittadini affetti da SC sia in forma asintomatica che
conclamata: infatti la revisione 2005 delle Linee Guida per la
diagnosi e la terapia dello SC cronico (4), sottolinea
l’importanza di sviluppare strategie terapeutiche di medio e
lungo termine volte ad impedire lo sviluppo e la progressione
del danno cardiaco e della disfunzione ventricolare sinistra
asintomatica verso lo SC clinicamente manifesto, nella
convinzione, come desunto dai risultati degli studi di comunità
(5,6), che quando lo SC si manifesta clinicamente la prognosi è
molto severa, e presenta una involuzione paragonabile a quella
delle più gravi forme di cancro (7).
La
prevenzione primaria dello SC, quindi, suggerisce ed anzi impone
di trattare con aggressività i principali fattori di rischio per
SC, ovvero la cardiopatia ischemica in primo luogo, ma anche l’
ipertensione arteriosa e il diabete mellito, e pertanto
coinvolge ad ampio raggio la prevenzione cardiovascolare in
senso lato, rivolta alla correzione degli stili di vita
scorretti con messaggi destinati alla popolazione generale, con
l’aiuto di tutte le figure professionali della Sanità pubblica e
Privata, dai Medici di Medicina Generale agli Specialisti
Territoriali, ai Medici Ospedalieri e agli Infermieri.
A
questo scopo la comunità scientifica, ed in particolare l’ANMCO,
è impegnata a proporre un modello di screening da
diffondere mediante sperimentazioni nazionali su larga scala
attraverso l’utilizzo di un algoritmo per l’identificazione
della disfunzione ventricolare sinistra asintomatica simile a
quello proposto dalle Linee Guida ESC 2005 per i pazienti
sintomatici, che prevede l’utilizzo dei peptidi natriuretici
anche per limitare il numero di ecocardiogrammi necessari per la
diagnosi di nuovi casi di disfunzione ventricolare risparmiando
così risorse (fig.2).

Figura 2
Ma
accanto alle più che opportune misure di prevenzione primaria,
la battaglia contro l’”epidemia” SC va condotta anche sul fronte
della prevenzione secondaria, allo scopo di ridurne in primo
luogo la mortalità ma anche la morbidità che, considerate le
frequenti instabilizzazioni della malattia, inducono un
frequente ricorso alla ospedalizzazione e soprattutto alla
riospedalizzazione.
Sotto questo aspetto il nostro armamentario terapeutico si è
arricchito, in questi ultimi anni, di diverse categorie di
farmaci la cui efficacia è ormai ampiamente dimostrata dalle
evidenze degli studi clinici controllati e randomizzati:
l’approccio terapeutico si è infatti adattato, nel corso del
tempo, alle modifiche concettuali che via via hanno
caratterizzato la comprensione delle basi fisiopatologiche dello
SC. Farmaci come gli ACE-inibitori e i betabloccanti, ma anche,
come sottolineato nelle ultime Linee Guida ESC già citate, i
sartani, hanno mostrato consistenti riduzioni percentuali di
mortalità e ospedalizzazione per SC, purchè utilizzati il più
precocemente possibile e soprattutto al meglio delle dosi
raccomandate. Difatti, uno dei problemi più attuali in tema di
SC è oggi rappresentato proprio dal sottoutilizzo di questi
farmaci: dallo studio SHAPE(8), la più vasta indagine sullo SC
condotta in Europa che ha promosso, attraverso l’ANMCO e l’Heart
Care Foundation nel novembre 2005, la Settimana Europea dello
Scompenso Cardiaco, è emerso che in più del 50% dei casi il
Medico di Medicina Generale europeo non prescrive al paziente la
terapia ottimale: solo poco più di 1 su 2 prescrive gli
ACE-inibitori come trattamento di prima scelta e solo 1 su 3
aggiunge alla terapia il betabloccante, mentre solo il 64% degli
Internisti e dei Geriatri e solo l’82% dei Cardiologi prescrive
queste classi di farmaci. Nel frattempo piuttosto deludenti sono
stati i risultati ottenuti dai trial che hanno testato nuovi
trattamenti, come gli antagonisti dell’endotelina, del TNF-alfa
o delle endopeptidasi neutre, generando anzi la convinzione che
si sia raggiunto ormai il limite della potenzialità della
terapia neuroormonale.
E,
mentre la terapia con le cellule staminali è ancora da
considerarsi una prospettiva futura a tutt’oggi sperimentale,
nuove speranze per i malati di SC grave arrivano dalla
cardiochirurgia e dall’impianto di nuovi presidi: le alternative
chirurgiche innovative prevedono, tra l’altro, l’applicazione di
un ventricolo artificiale nella gabbia toracica, una soluzione
potenzialmente utile come ponte verso un trapianto di cuore o
come decisione definitiva in quei malati in cui il trapianto non
è indicato, ad esempio perché troppo anziani; anche in questo
campo le novità, naturalmente per pazienti selezionati, non
mancano, e sono principalmente rappresentate dai ventricoli
artificiali di piccole dimensioni che possono essere impiantati
indipendentemente dalla superficie corporea del paziente.
Per quanto riguarda i nuovi presidi, è ormai noto che la terapia
di resincronizzazione cardiaca (CRT), associata alla terapia
medica dello SC, ha dimostrato di ridurre il rischio di morte
per scompenso fino al 45% e fino al 53% di morte cardiaca
improvvisa, come dimostrato dai risultati dello studio CARE HF
(CArdiac REsynchronization in Heart Failure)
(9). E i dati precedenti dello studio COMPANION(10) e dello
studio SCD-HeFT(11), suggeriscono, in questi pazienti,
indipendentemente dall’eziologia dello SC, l’impianto del
pacemaker biventricolare con funzione di defibrillatore, anche
se, nelle indicazioni all’applicazione di questi dispositivi,
sussiste tuttora qualche controversia in merito alla definizione
di più precisi criteri di selezione dei pazienti che possono
trarne il massimo beneficio garantendo un appropriato utilizzo
delle risorse economiche : è possibile che, in futuro, anche con
l’apporto delle nuove tecnologie ecocardiografiche, in
particolare del DTI (Doppler Tissue Imaging), si possano
individuare ulteriori più specifici parametri di indicazione
nella selezione dei pazienti.
Infine, è da poco disponibile un dispositivo per il monitoraggio
dell’acqua intracorporea in pazienti scompensati: mediante
l’OptiVol Fluid Status Monitoring (12) si possono misurare le
variazioni di impedenza intratoracica, che costituiscono
un’indicazione delle variazioni del volume ematico. La capacità
di monitorare lo stato dei liquidi consente di correggere
preventivamente la terapia prima che si inneschi la cascata
emodinamica e neuroormonale che conduce all’instabilizzazione
del compenso clinico.
Ultimo, ma di certo non in ordine di importanza, è il problema
dell’organizzazione dell’assistenza di questi pazienti,
soprattutto in relazione alla continuità tra ospedale e
territorio: il paziente con SC, come sovente accade nelle
malattie croniche caratterizzate da fasi di
stabilità/instabilità, ha necessità di particolari strategie e
percorsi assistenziali in relazione alla diversa diagnosi
eziologica, severità clinica e coesistenza di patologie
associate, con il concorso di tutte le figure professionali a
tutti i livelli.
Questa, insieme con la soluzione dei quesiti ancora aperti in
tema di terapia elettrica, il perfezionamento dei devices
e la scoperta di nuovi farmaci da affiancare a quelli ormai già
collaudati ma purtroppo non ancora implementati in maniera
ottimale, rappresenta la chiave in grado di fornire ai pazienti
con SC migliori prospettive di qualità e quantità di vita.
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