L’oggi e il domani della terapia medica

 

 Giovanni Melandri

Cardiologia, Ospedale Sant’Orsola, Bologna

 

La natura dell’attacco di cuore è molto simile a quella di un attentato terroristico. L’attacco può infatti avvenire con e senza preavviso, può colpire anche soggetti non a rischio, può colpire nei luoghi più disparati ed in qualsiasi momento. Col tempo l’attacco di cuore ha cambiato i suoi connotati, tentando di sfuggire ai sistemi di rivelazione (aumento dei casi senza ST sopraslivellato) e tende a spalmare  lo stesso rischio in un periodo più lungo, di settimane, mesi, talora di anni. A volte sono perfino i nostri stessi interventi che involontariamente contribuiscono ad aggravare la situazione favorendo trombosi tardive, spesso letali (stent medicati). A volte l’intervento terapeutico provoca danni superiori ai benefici (emorragia). In un contesto simile è impensabile di vincere la guerra in una battaglia campale, con armi tradizionali. Pensare di vincere la guerra con l’angioplastica coronarica è come pensare di vincere il terrorismo invadendo l’Iraq. Certamente la procedura interventistica è molto importante e spesso indispensabile, ma per vincere la guerra è necessaria una operazione di “intelligence” che operi a 360° chiamando a raccolta e coordinando tutte le forze in campo.

Occorre conoscere egualmente bene il territorio, i suoi abitanti, i medici di base, il sistema di emergenza, il laboratorio di emodinamica, la cardiochirurgia; occorre conoscere bene l’effetto dei farmaci e degli interventi in funzione del profilo di rischio; occorre non sprecare risorse preziose per situazioni a basso rischio, convogliandole invece verso quelle a rischio maggiore. Non è facile in realtà coordinare tante funzioni, affidate a tanti sia pur volenterosi professionisti. Tuttavia il coordinamento è necessario, qualcuno lo deve fare. L’arma con cui l’intelligence un poco alla volta penetra in profondità il male è rappresentata dalla adozione di percorsi condivisi, basati su serie evidenze scientifiche; data-base ed indicatori di qualità dovrebbero essere altresì condivisi ed implementati. Il percorso inizia nella popolazione generale, identificando i pazienti a rischio ed adottando in questi casi le manovre preventive di efficacia dimostrata. Troppo spesso si vedono tutt’ora pazienti ad alto rischio in cui la prevenzione non viene attuata. Sempre nella popolazione generale occorre comunque intervenire col sistema dell’emergenza / urgenza per trattare tempestivamente l’attacco di cuore. In questi casi la tempestività di intervento è tutto (o quasi tutto) ed i dati disponibili nei registri italiani ci indicano che i tempi di intervento per l’angioplastica primaria sono decisamente troppo lunghi, anche considerando che la trombolisi pre-ospedaliera è quasi assente nel nostro paese. In altri paesi, quali la Francia, la Svezia, il Regno Unito la trombolisi pre-ospedaliera oramai coinvolge un buon 30 % di tutti i pazienti con infarto miocardico acuto. Sia nella fase pre-ospedaliera che in quella ospedaliera occorre procedere rapidamente ad una efficace stratificazione prognostica, per decidere in quali pazienti limitarsi alla sola terapia medica e in quali procedere con la procedura invasiva (di salvataggio o preventiva). Prima della dimissione occorre organizzare i controlli cui questi pazienti devono sottoporsi. Si tratta di pazienti delicati, spesso anziani o molto anziani, trattati con polifarmacoterapia, affetti da comorbidità importanti che condizionano il follow-up, spesso caratterizzato dalla necessità di nuovi interventi cardiaci ed extracardiaci. In questi casi occorre stabilire nel singolo paziente la gestione più opportuna della terapia antitrombotica per evitare gravi infarti perioperatori /periprocedurali, la cui importanza comincia solo ora ad essere apprezzata .

Il fatto che la terapia medica (aspirina, clopidogrel, beta-bloccante, ACE-I, statina) è efficace praticamente in tutti i pazienti ne sancisce il ruolo cardine, rispetto a quello della terapia invasiva, efficace solo nei pazienti ad alto rischio. L’utilizzo degli inibitori della GP IIB-IIIA è efficace nei pazienti avviati allo studio coronarografico, purchè la somministrazione avvenga “upstream”. Infatti la somministrazione “downstream” si associa ad un eccesso di eventi nel gruppo di pazienti trattati invasivamente (studio ICTUS). L’UTIC è il centro naturale attorno a cui ruota tutto il percorso del paziente con attacco cardiaco. All’UTIC arriva il segnale ECG dal territorio per qualificare il trasporto ad una sala di emodinamica o in alternativa il ricorso alla trombolisi pre-ospedaliera. In UTIC vengono monitorate le condizioni cliniche del paziente ed in particolare la stratificazione prognostica iniziale e la prognosi nel divenire, l’ecocardiogramma, la funzione renale (gravemente alterata in buon 10-20 % dei casi, specie dopo procedura emodinamica), il profilo glicemico, l’efficacia della terapia anticoagulante. In UTIC vengono trattati le complicanze cardiache ed extracardiache e gli eventi emorragici. Il momento del ricovero in UTIC è psicologicamente importante per il paziente e questa finestra di opportunità va sfruttata al meglio per far comprendere la necessità di cambiare stile di vita e di effettuare i controlli nel follow-up che quindi può essere organizzato con maggiore efficacia. Un trattamento complessivamente esemplare, associato ad un buon impatto al momento della dimissione, certamente contribuisce a riconoscere il ruolo della cardiologia che verrà quindi coinvolta dalla comunità anche a proposito di tematiche preventive (chiudendo così il cerchio).

E’ quindi evidente che il ruolo centrale dell’UTIC non può essere messo in discussione. La questione della disponibilità in situ del laboratorio di emodinamica non è giustificata dalla letteratura medica che dimostra in modo inequivocabile come la mortalità e le complicanze non siano superiori fra i pazienti che accedono ad una UTIC senza laboratorio di emodinamica. Ignorare questa realtà aprirebbe due possibili scenari alternativi, entrambi poco attraenti:

 

v                                          Aprire centri specializzati per la cura delle sindromi coronariche acute, caratterizzati da spiccata autoreferenzialità, con scarsa o nulla possibilità di controllo da parte della comunità che diviene progressivamente impoverita di contenuti cardiologici e costretta a trasporti sempre più frequenti al centro autoreferente per qualunque motivo, anche banale.

v                                          Aprire laboratori di emodinamica ovunque, con esplosione delle procedure invasive soprattutto in pazienti a basso rischio e con gravi problemi di appropriatezza motivati dalla necessità di esibire un volume di attività adeguato.

 

Il domani della terapia medica è essenzialmente questo: capire dove essa è sufficiente e quando è invece necessario ricorrere alla tecnologia. Le UTIC fungerebbero, in tale prospettiva, da filtro per la tecnologia, un filtro “evidence-based” che nessun altro può svolgere compiutamente. Il mondo che ruota attorno all’UTIC (sistema emergenza-urgenza, laboratorio di emodinamica, cardiochirurgia, medici di base) deve capire che è solo attraverso l’integrazione delle varie attività che il sistema nel suo insieme acquisisce efficacia, autorevolezza, rispetto.