DIAGNOSI DI SINDROME CORONARICA ACUTA :
DUBBI E INCERTEZZE
C. Indolfi, C. Spaccarotella, A.
Mongiardo
Cattedra di Cardiologia e Scuola
di Specializzazione in Cardiologia, Università degli Studi Magna
Graecia, Catanzaro
Le sindromi coronariche acute sono associate ad un aumentato
rischio di morte cardiaca o anomalie della contrattilità del
ventricolo sinistro ed è pertanto necessario effettuare una
corretta diagnosi per un trattamento ottimale e per evitare
evoluzioni più gravi.
Il punto fondamentale è quello di ottenere informazioni
rapidamente disponibili al momento della presentazione clinica
iniziale. Purtroppo la presentazione clinica iniziale in alcuni
casi, soprattutto nelle SCA NSTE, può essere ambigua, a volte
simile a quella di soggetti nei quali successivamente non è
stata trovata una malattia coronarica. Inoltre, alcune forme di
infarto miocardico acuto non possono essere differenziate
dall’angina instabile nel momento iniziale della presentazione
clinica.
La quasi totalità delle sindromi coronariche acute è causata da
una trombosi acuta in una coronaria aterosclerotica (figura 1).
In una piccola percentuale di casi le cause sono: lo spasmo
coronarico, la ostruzione meccanica progressiva, l’infiammazione
e/o l’infezione, l’angina instabile secondaria.
Mentre la lenta progressione di stenosi coronariche critiche
possono portare alla occlusione totale del vaso senza
conseguenze cliniche (per la formazione di un circolo
collaterale), l’occlusione improvvisa di stenosi non critiche
(30-50%) è responsabile della maggior parte degli infarti
miocardici1. La rottura della placca espone sostanze
trombogeniche così da indurre una trombosi acuta costituita da
fibrina, piastrine aggregate ed eritrociti. La rottura della
placca è responsabile delle “sindromi coronariche acute” (angina
instabile, infarto non “Q”, infarto “Q”)2.


Fig. 1 Stenosi coronariche
responsabili di SCA.
L’aterosclerosi senza trombosi può essere considerata una
malattia a prognosi meno infausta. Il meccanismo responsabile
della conversione di una malattia coronarica stabile verso una
sindrome instabile acuta è, di solito, una rottura della placca
con una trombosi della lesione. La sfida della moderna
Cardiologia sarà quella di diagnosticare (e quindi trattare) le
placche non critiche, ma vulnerabili, responsabili delle
sindromi coronariche acute per prevenire l’infarto o la morte
improvvisa.
CLASSIFICAZIONE CLINICA
Le
sindromi coronariche acute (SCA) vengono classificate in:
Sindromi Coronariche Acute (SCA) senza sopraslivellamento del
tratto ST (angina instabile, l’infarto miocardico, NSTE)
e sindromi coronariche con sopraslivellamento del tratto ST
(infarto miocardico non “Q” ed l’infarto miocardico “Q”,
STEMI) (Figura).
Inoltre tra
le sindromi coronariche acute con sopraslivellamento del tratto
ST non persistente deve essere inclusa la sindrome di
Printzmetal che può presentarsi con i caratteri dell’angina
instabile.
Il processo dinamico della rottura della placca3 può
evolvere verso un trombo completamente occlusivo o parzialmente
occlusivo.
Nel caso di un trombo completamente occlusivo si osserva
tipicamente un sopraslivellamento del tratto ST
all’elettrocardiogramma ed una necrosi transmurale della parete
ventricolare compresa nella zona irrorata dalla coronaria
colpita. I pazienti, successivamente, possono sviluppare o meno
onde Q all’ECG (IMA “Q” o IMA non “Q”).
Trombi non occlusivi o costituiti da un tessuto fibrinico
meno robusto, possono provocare sintomi dell’angina instabile
alterazioni dell’elettrocardiogramma spesso consistenti in
sottoslivellamenti del tratto ST od inversione dell’onda T e,
qualora sia presente un aumento dei markers di necrosi
miocardica, evolvere verso un infarto miocardico senza
sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) che più frequentemente
non lascia segni permanenti all’ECG (IMA non Q).
I MARKERS BIOCHIMICI
Il complesso troponinico è formato da tre subunità che regolano
il processo contrattile della muscolatura striata mediata dal
calcio. Le tre subunità sono la troponina C che lega il calcio,
la troponina I (TnI) che si lega all’actina ed inibisce le
interazioni astina miosina, la troponina T (TnT) che si lega
alla tropomiosina, attaccando in tal modo il complesso
troponinico al filamento sottile. Anche se le troponine I e T
sono presenti sia nel muscolo cardiaco che in quello
scheletrico, esse vengono codificate da geni diversi nel cuore
per cui hanno anche una sequenza amminoacidica diversa. Ciò
permette la produzione di anticorpi specifici per la forma
cardiaca ed ha portato allo sviluppo di dosaggi quantitativi
della troponina per uso clinico.
Le troponine normalmente non sono presenti in circolo per cui il
livello di cut-off può essere collocato solo poco sopra a quello
del “noise”. Dopo l’insulto ischemico le troponine aumentano più
di 20 volte in circolo permettendo di riconoscere minimo livelli
di necrosi miocardica. Nei pazienti con IMA le troponine
aumentano entro 3 ore e restano in circolo per 2-7 (troponina I)
fino a 10-14 giorni (troponina T).
La revisione pubblicata recentemente su Circulation delle linee
guida ACC/AHA del 20024 sottolinea che i biomarkers
cardiaci come la troponina (I e T) ed il CK-MB rappresentano il
secondo metodo principale dopo l’elettrocardiogramma a 12
derivazioni per identificare i pazienti con SCA ad alto rischio
di morte improvvisa od evoluzione verso infarto miocardio
transmurale. Anche se il CK-MB è stato l'indicatore predominante
nel passato di necrosi del miocardio, le troponine I e T hanno
in molti centri sostituito questo indicatore tradizionale in
conformità con i test di verifica recenti per la definizione
nuova del MI acuto promulgata dalla società europea della
cardiologia e dall’ACC. In molti laboratori è possibile ottenere
i risultati dei dosaggi del markers cardiaci in 15-20 minuti
dall’arrivo del paziente, anche se così precocemente alcuni
pazienti con incrementi minimi di troponina non sono
riconosciuti. Questo fattore deve essere considerato dal medico
che valuta i risultati del laboratorio.
L'aumento dei livelli di troponina è associato con il rischio
aumentato di morte ed il rischio è proporzionale all’aumento
del marker. Numerosi studi, infatti fanno della troponina un
predittore indipendente del rischio del paziente con SCA. Gli
studi inoltre hanno confermato che i pazienti con SCA e
troponine elevate hanno maggiore beneficio se sono trattati con
gli inibitori della glicoproteina (GP) IIb/IIIa, l'eparina a
basso peso molecolare e l'intervento coronario percutaneo
precoce (PCI). Bisogna ancora sottolineare che un livello
normale di troponina (o di CK-MB) entro 6 ore dell'inizio dei
sintomi, non escludono l’infarto. Devono essere effettuati
pertanto controlli seriati a 3 e 6 ore e ad un intervallo di 6 -
10 ore, per escludere l’infarto.
L'accuratezza
predittiva per livelli di troponina elevati è ottenibile con
l'uso del novantanovesimo percentile del valore normale per la
troponina.
È opportuno, per evitare
falsi positivi,
limitare la determinazione della troponina ai pazienti che hanno
una probabilità medio-alta di ischemia miocardica acuta. La
tabella I riporta i casi di aumento di troponina in assenza di
cardiopatia ischemia.
Recentemente, però, il semplice criterio di aumentato rischio
legato all’aumento dei valori di troponina nei pazienti con
UA/NSTEMI è stato però messo in
discussione dallo studio ICTUS.
TABELLA I
Aumento dei valori di Troponina in
assenza cardiopatia ischemia.
·
Trauma toracico
incluso contusioni, ablazioni e cardioversione.
·
Chirurgia
cardiaca e non cardiaca.
·
Scompenso
cardiaco (acuto e cronico).
·
Insufficienza
renale.
·
Pazienti
severamente malati (sepsi, insufficienza respiratoria, ustioni).
·
Tossicità da
farmaci (citostatici).
·
Malattie
infiammatorie (miocarditi).
·
Embolia
polmonare e severa ipertensione polmonare.
·
Malattie
infiltrativi (amiloidosi, sarcoidosi).
·
Malattie
neurologiche acute (ictus, emorragia sub-aracnoidea).
Il Peptide Natriuretico
Il peptide natriuretico di tipo B (BNP)5 è un ormone
peptidico rilasciato dal ventricolo in risposta allo stretch
miocardico o ad un incremento dello stress di parete.
Il significato diagnostico e prognostico di elevati livelli di
BNP in pazienti con scompenso cardiaco è stato a lungo studiato.
In pazienti con infarto miocardico e ST sopraslivellato (STEMI),
gli aumentati livelli di BNP sono associati con un infarto
esteso, progressivo rimodellamento ventricolare sinistro ed un
aumento della mortalità. Altri studi hanno dimostrato una
stretta associazione tra elevati livelli di BNP ed un aumento
dell’incidenza di eventi avversi in pazienti con UA/NSTEMI.
L’associazione è ancora più forte se anche i livelli di
troponina sono aumentati. Ancora non è, purtroppo, chiaramente
definito il meccanismo fisiopatologico che lega i livelli di BNP
all’aumentato rischio in pazienti con UA/NSTEMI. È stato
ipotizzato che elevati livelli di BNP sono associati ad una più
severa malattia coronarica e ad anomalie del flusso coronarico.
Dei 2.220 pazienti dal trial TACTICS–TIMI-18, 1.114 sono stati
randomizzati ad una precoce strategia invasiva. In 276 pazienti
sono stati misurati i livelli di BNP. Di questi, 233 pazienti
(84%) avevano livelli di BNP >80 pg/ml e 43 (16%) <80 pg/ml. I
pazienti con BNP4 aumentato presentano una stenosi
maggiore nel vaso colpevole (culprit vessel), un flusso peggiore
ed erano associati ad una prevalenza di malattia del ramo
discendente anteriore. Questi risultati suggeriscono che elevati
livelli di BNP sono presenti soprattutto in caso di territorio
infartuato esteso e potrebbero almeno in parte spiegare perché
elevati livelli di BNP siano associati ad outcomes avversi.
Nei pazienti a
basso rischio
con sindrome coronarica acuta UA/NSTEMI5 con un ECG a
12 derivazioni non significativo e negatività dei markers
miocardio-specifici può essere eseguito un test da sforzo con o
senza test di captazione del radionuclide. Se il test è negativo
il paziente può essere dimesso e seguito in follow-up da un
cardiologo.
L’importanza della stratificazione del rischio deriva dal fatto
che il beneficio dell’approccio invasivo, con
rivascolarizzazione percutanea quando necessaria, è stato
dimostrato solo in pazienti ad alto rischio.
Secondo le
linee guida europee (ESC-PCI 2005)6, i pazienti ad
alto rischio per una rapida progressione verso l’infarto e la
morte sono:
·
Pazienti con angina a riposo ricorrente.
·
Modifiche dinamiche del tratto ST:
sottoslivellamento del tratto ST > 0.1 mV o transitorio
(< 30 minuti) sopraslivellamento del tratto ST > 0.1 mV.
·
Aumento della Troponina I, Troponina T o del CKMB.
·
Instabilitità emodinamica durante il periodo di
osservazione.
·
Angina instabile post-infartuale precoce.
·
Diabete mellito.
Inoltre nelle
linee guida ESC PCI 20056 i seguenti markers
di malattia potrebbero essere utili per la stratificazione del
rischio in UA/NSTEMI:
- Età>
65-70 anni
-
Scompenso cardiaco, precedente infarto, precedente PCI o
By pass, nuovo soffio da insufficienza mitralica.
-
Elevati markers dell’infiammazione (PCR, Fibrinogeno,
IL6).
-
Aumento del BNP o NT-proBNP
-
Insufficienza renale.
Nelle SCA
UA/NSTEMI possono essere adottate due strategie differenti:
1.
Un’angiografia coronarica precoce a tutti (di solito entro le 48
ore) con successiva rivascolarizzazione, se indicata;
2. Un
trattamento “conservativo” con terapia medica massimale incluso
aspirina, clopidogrel eparina ed inibitori della GP IIB/IIIA ed
angiografia con eventuale angioplastica nel caso di ischemia
refrattaria alla terapia o ischemia inducibile (che di solito
sono circa il 40% della popolazione con SCA UA/NSTEMI).
Le linee guida AHA/ACC 20025 indicano le due diverse
strategie di trattamento del paziente con UA/NSTEMI: una
strategia precocemente invasiva ed una strategia precocemente
conservativa. Nel primo caso l’angiografia coronarica è eseguita
in pazienti senza controindicazioni cliniche alla
rivascolarizzazione coronarica, nel secondo caso, l’angiografia
è riservata ai pazienti con evidenza di ischemia ricorrente
(angina a riposo o per minimo sforzo o modifiche del tratto ST)
o stress test fortemente positivo nonostante una vigorosa
terapia medica8.
Vari trials hanno messo a confronto le due strategie, e, anche
se i risultati non sono stati in tutti concordanti, il
TACTICS-TIMI 18, FRISC II ed il RITA 3 Trial hanno evidenziato
un beneficio nei pazienti trattati con strategia invasiva. La
tendenza presentata anche dalle più recenti linee guida europee
va verso una strategia invasiva precoce, in particolare nei
pazienti ad alto rischio. Una recente metanalisi di Metha e
collaboratori ha dimostrato il beneficio dell’approccio invasivo
in termini di riduzione di infarto, angina severa e
re-ospedalizzazione a lungo termine (17 mesi). La strategia
interventistica di routine era associata, in questa metanalisi
ad un aumento della mortalità intra-ospedaliera ed un trend
verso la riduzione di mortalità a lungo termine.
I recentissimi risultati dello studio clinico ICTUS
in cui tutti i pazienti sono stati trattati con terapia medica
massimale e successivamente sottoposti a trattamento invasivo
precoce o a trattamento oinvasivo elettivo, indicano un’assenza
din superiorità del trattamento invasivo precoce (entro 23 ore
in media) rispetto al trattamento invasivo elettivo (entro 11.8
giorni in media).
In
conclusione, i pazienti che presentano NSTE-ACS (angina
instabile ed infarto senza sopraslivellamento del tratto ST)
devono inizialmente essere stratificati per il rischio di
complicanze trombotiche acute. Un chiaro beneficio per
l’angiografia precoce (< 48 ore) e, se necessario, PCI o
intervento chirurgico di rivascolarizzazione è stato dimostrato
nei pazienti appartenenti al gruppo ad alto rischio. Differire
l’intervento non migliora la prognosi. L’uso dello stenting è
raccomandato sulla base della predittività del risultato e della
sua immediata sicurezza9.
In accordo con
la WHO e la Società Europea di Cardiologia, la diagnosi di
infarto miocardio acuto è basata sulla presenza di almeno due
dei criteri seguenti: 1) dolore precordiale di tipo ischemico;
2) modificazioni dell’ECG in tracciati seriati; 3) incremento
dei markers enzimatici di necrosi delle cellule miocardiche.
Una
classificazione dei pazienti con dolore toracico tipico o
sospetto infarto miocardico si basa sulla presenza o assenza di
sopraslivellamento del tratto ST. La maggioranza dei pazienti
che presentano dolore precordiale e ST sopraslivellato andrà
incontro ad elevazione degli enzimi indicativi di necrosi
miocardica e svilupperà o meno onda “Q” all’ECG. Dei pazienti
con dolore toracico tipico senza sopraslivellamento del tratto
ST, alcuni presenteranno elevazione degli enzimi cardiaci con o
senza sviluppo di onda “Q” all’ECG, altri, invece, non
mostreranno incremento degli enzimi sierici e saranno
classificati, successivamente, come angina instabile.
LA NUOVA
DEFINIZIONE DELL’IMA
La nuova
definizione di IMA ha stabilito che i seguenti criteri
soddisfano la diagnosi di infarto miocardico acuto, in
evoluzione o recente:
Aumento dei
markers biochimici di necrosi miocardica (preferibilmente
troponina; se è utilizzata la troponina, le concentrazioni del
marker dovrebbero essere maggiori del valore associato al 10%
del coefficiente di variazione, se possibile in 2
determinazioni) con variazioni nei livelli sierici coerenti con
il tempo accompagnati da:
a)
Sintomi ischemici;
b)
Sviluppo di onde “Q” patologiche;
c)
Modifiche dell’ECG indicative di ischemia (ST sopra o ST sotto);
L’aumento dei
markers dovrebbe essere accompagnato da una evidenza strumentale
oggettiva di ischemica miocardica quando:
a) è
disponibile un singolo prelievo;
b) le
modifiche dei valori dei markers nel tempo non coincidono con i
sintomi.
È opportuno,
per evitare falsi positivi, limitare la determinazione della
troponina ai pazienti che hanno una probabilità medio-alta di
ischemia miocardica acuta.
La troponina
mostra una alta specificità e sensibilità potendo identificare
anche aree molto piccole (1 gr) di necrosi miocardica9.
Per valore elevato di troponina nel plasma, si intende un
elevazione del marcatore al di sopra del limite di
concentrazione pari al 99° percentile ottenuto nel gruppo di
riferimento. Se il dosaggio delle troponine cardiache non è
disponibile, la migliore alternativa è rappresentata dal CK-MB
(preferibilmente misurata in concentrazione di massa, il valore
deve essere >99° percentile dei valori del gruppo di riferimento
in due successivi campioni o una concentrazione massima di CK-MB
>2 volte il limite superiore di riferimento del laboratorio in
esame, durante le prime ore dopo l’evento). I campioni di sangue
su cui eseguire le determinazioni dovrebbero essere prelevati
all’atto del ricovero, tra le 6 e le 9 ore dopo ed ancora tra le
12 e le 24 ore dopo, se le precedenti determinazioni sono
risultate negative e le condizioni cliniche fortemente
suggestive di IM in atto.
Per ridurre al
minimo i casi di falsi positivi si valutano insieme due
marcatori: uno di rapido aumento nel sangue ed uno con cinetica
di rilascio più lenta ma cardiospecifico, come la troponina. La
mioglobina attualmente riveste il ruolo di marcatore precoce: è
rilevabile nel sangue entro due-tre ore dall’inizio della
sintomatologia. La strategia dei “due marcatori”9 è
consigliata se il contesto in cui si agisce permette di
modificare il percorso del paziente nel senso di una più precoce
dimissione dal dipartimento di emergenza o di una più rapida
strategia invasiva.
Il timing9
dei prelievi consigliato è a 4, 8 e 12 ore dopo l’ammissione,
oltre al prelievo basale al momento del ricovero. La seconda
strategia, che impiega solo la troponina, è applicabile in
situazioni nelle quali l’urgenza di prendere decisioni cliniche
è considerata meno critica od in condizioni in cui la prevalenza
della malattia coronarica è significativamente più alta che nel
dipartimento di emergenza (per esempio in UTIC). Il timing del
prelievo per la troponina, in questi casi è: basale, a 6 e a 12
ore13.
Recentemente
(Morrow e Braunwald, Circulation 2003) altri biomarker sono
stati presi in considerazione. La proteina C reattiva (PCR) è
imporante per individuare uno stato infiammatorio che può
portare allo sviluppo di aterosclerosi ed è un predittore di
prognosi peggiore a breve e lungo termine nei pazienti con
cardiopatia ischemica. Altri biomarkers come il peptide
natriuretico atriale e la clearance della creatinina potrebbero
in futuro individuare una corretta stratificazione del rischio
in pazienti con CAD.
L’ecocardiogramma è particolarmente utile nella diagnosi
differenziale di un dolore toracico dubbio: dissezione aortica
acuta, pericardite, versamento pericardico, embolia polmonare
massiva. L’assenza di anormalità della cinetica segmentaria
esclude nella maggior parte dei casi un infarto miocardico
esteso.
In
conclusioni, la diagnosi di infarto miocardico (con o senza
sospraslivellamento del tratto ST) raramente presenta dubbi ed
incertezze.
Il problema
diagnostico con molti dubbi ed incertezze è oggi quasi
esclusivamente confinato alle sindromi coronariche acute con
troponina negativa. Infatti la diagnosi di angina instabile è
ancora oggi un problema clinico importante per la mancanza,
spesso, di elementi oggettivi (tracciato negativo, dolore
atipico). La sfida futura della Cardiologia sarà quella di
identificare dei markers molecolari per la diagnosi rapida e
sicura di angina instabile.
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