LA  TRANSIZIONE IN CARDIOLOGIA

 

Giovanni Gregorio, Antonio Aloia, Rodolfo Citro, Giuseppe Bottiglieri, Valentino Ducceschi, Michele Santoro,

Marco M. Patella, AntonGiulio Maione,  Maria Serafino (*)

 

Dipartimento Cardiovascolare ASL SA 3 Vallo della Lucania

U.O. Utic Cardiologia Ospedale San Luca Vallo della Lucania

(*) Direzione Sanitaria ASL SA 3 Vallo della Lucania

 

Il cammino della storia dunque  non è quello  di una palla

da bigliardo che una volta partita segue una certa traiettoria,

ma somiglia al cammino di una nuvola, a quella di chi va

bighellonando per le strade, e qui è sviato da un’ombra,

là da un gruppo di persone o da uno strano taglio di facciate,

e giunge infine in un luogo  che non conosce

e dove non desidera andare.

 

R.Musil L’uomo senza qualità Einaudi Torino 1957

 

Con il termine transizione si indica  il “ passaggio da una condizione o situazione a una nuova diversa…Più  genericamente in un processo qualsiasi   si considera e denomina fase di transizione una fase intermedia del processo, nella quale si altera la condizione, che si aveva nella fase iniziale e che da luogo  a una nuova  condizione di equilibrio”(1)

La Cardiologia, più di ogni altra disciplina, ha subito gli effetti delle numerose transizioni che hanno caratterizzato l’ultimo scorcio del  secondo millennio   e che possono essere riassunte in:

      -      la transizione demografica

-          la transizione epidemiologica

-          la transizione socioculturale

-          la transizione tecnologica

-          la transizione organizzativa

-          la transizione professionale

 
La transizione  Demografica

Il  progressivo allungamento della vita, unito al decremento delle nascite, ha fatto in modo che la società italiana, come del resto tutte le società industrializzate occidentali, sia sempre più una società di anziani. L’anziano ha necessità di vita ed assistenziali  che impongono al sistema sanitario oneri notevoli. Come argutamente nota David T.Kelly Per  la maggior parte di  questo secolo il primo  obiettivo della medicina  è stato la riduzione  della mortalità. Forse, man mano che ci avviciniamo al prossimo millennio dovremo concentrarci sulla prevenzione della invalidità e sul miglioramento  della qualità di vita della nostra popolazione, sempre più anziana” (2). E Jeremiah Stamler sottolinea che “I governanti dovrebbero porsi il problema di questa massa di individui anziani,  molti dei quali in grado di dare un contributo attivo. Dovrebbero essere create le condizioni perché l’anziano venga tutelato e gli siano assicurate le migliori condizioni di esistenza rendendo possibile una vita in cui attività fisica, alimentazione e relazioni sociali consentano la piena integrazione dell’anziano.” (3)

 

La transizione Epidemiologica

Se la conoscenza dei sintomi dell’attacco  cardiaco è  nota da secoli, è soltanto in epoca moderna che la definizione della diffusione delle malattie cardiovascolari, in generale, e di quelle ischemiche, in particolare,  è divenuto uno dei  punti centrali  della ricerca epidemiologica.  L’ impatto   delle malattie ischemiche cardiache ha da sempre risentito  di  una certa difficoltà nella definizione della reale incidenza e prevalenza. Studi a carattere internazionale e nazionale come il Monica, i Gissi, l’Earisa, il Blitz, iniziative epidemiologiche come l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare ed il Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità, ricerche compiute in ambito regionale Campano,  hanno consentito la disponibilità di una serie  di dati che concorrono, sia pure con limiti, alla definizione delle incidenza e della prevalenza delle malattie cardiovascolari in generale ed  ischemiche cardiache in particolare  nella popolazione (4 - 11). 

La transizione epidemiologica che ha interessato la nostra epoca ha fatto si che alla progressiva riduzione  delle patologie infettive facesse da contrappeso la esplosione delle malattie cardiovascolari e  neoplastiche.    Il peso crescente di queste ultime, la loro genesi multifattoriale e la possibilità di prevenzione con la modifica degli stili di vita e con idonee strategie di popolazione ha fatto si che al classico e statico concetto di mortalità si affiancasse il concetto dinamico di mortalità evitabile, definito come quella quota di decessi che può essere evitata con idonee misure di prevenzione ed organizzazione sanitaria (12,13). Ciò è anche il risultato di una migliore definizione delle cause di morte. Se si osserva l’ andamento della  mortalità coronarica in Italia  si può facilmente osservare come la curva abbia due impennate: l’una intorno agli inizi del novecento e l’altra introno agli anni 50, quando furono costruiti i primi elettrocardiografi e  quando furono messi a disposizione della classe medica i primi apparecchi portatili (14).

 

La transizione  Socioculturale

La nostra società è stata   investita nell’ultimo scorcio del millennio passato da una radicale transizione socioculturale.

La società italiana degli anni ‘50 era una società rurale, con economia agricola, con popolazione giovane  nella quale predominava  la patologia infettiva ed il rischio cardiovascolare era notevolmente basso: era una società  nella quale  le attività lavorative erano prevalentemente manuali, l’alimentazione era a basso contenuto di grassi animali,  la attività fisica quotidiana era  rilevante, i valori dell’assetto glicolipidico ematico erano bassi.

La società italiana dei nostri giorni è una società di anziani, con una alimentazione ricca di grassi saturi e d ipercalorica, con scarsa attività fisica, attività lavorativa )sedentaria e con una larga diffusione di fattori di rischio cardiovascolare e  di patologia cardiovascolare.

Il concetto stesso di malattia ha assunto  significato  e dimensioni diverse a seconda  che  se ne considerino gli aspetti legati alla percezione individalue (illness), al significato biologico (disease) ed la valenza sociale (sikness) (15).

 

La transizione tecnologica

La medicina  in generale e la cardiologia in particolare sono state investite  da una  autentica rivoluzione tecnologica. Se l’inizio del ‘900 rappresenta il punto di partenza della rivoluzione tecnologica, la cardiologia si pone come antesignano rispetto alle discipline: la invenzione dell’elettrocardiografo già delinea il percorso di un secolo dominato dalla innovazione.  Alla figura del medico di famiglia racchiudente in se  la quasi totalità dell’assistenza e del sapere  si è andata mano a mano sostituendo una costellazione di discipline  ultraspecialistiche con la conseguente perdita di unitarietà della visione e dell’approccio al paziente.

Lo stesso paziente è cambiato radicalmente  rispetto  al passato: il paziente di ieri era un paziente rassegnato alla malattia, vissuta come un fatto ineluttabile, il ricorso al medico era comunque assai raro e anche quando avveniva l’intervento sanitario era limitato  ad una terapia domiciliare. Il ricovero in ospedale  era estremamente raro, perché pochi  e malfunzionanti erano la maggior parte di essi. Gran parte del territorio e della popolazione  era affidato al medico condotto, una figura nella quale la grande carica umana  e la profonda conoscenza  dei proprio assistiti sopperiva ai limiti delle conoscenze scientifiche dell’epoca. Il mondo della Cardiologia era dominato da  pochi farmaci e la diagnostica strumentale andava poco al di là  dello sfigmomanometro e del fonendoscopio, confinata all’elettrocardiografo ed al telecuore; oggi il paziente  ha sempre più la coscienza della propria malattia ed esige trattamenti certi, tempestivi ed adeguati (16).La dimensione degli interessi umani tende sempre più a dilatarsi nello spazio e nel tempo, assumendo una prospettiva di globalizzazione (17)

La  tecnologia ha di fatto  determinato  una situazione nella quale la  macchina, in moltissime situazioni,  finisce  per assumere un significato totalizzante nell’approccio alla malattia ed al paziente: si è andato sempre più diffondendo un modello di medico “ specialista di una macchina” o “specialista di una procedura

 

La transizione  Organizzativa

Per molti anni la Cardiologia è stata ritenuta una Specialità da grande Ospedale e quindi da area metropolitana.

La prima vera iniziativa di riforma sanitaria, disegnata dalla legge 132.1968 e dal  DPR 128, collocava la cardiologia negli ospedali regionali unitamente  alla cardiochirurgia (18,19). Dovevano passare diversi anni perché nei documenti di programmazione sanitaria incominciasse  a farsi strada l’idea di una diffusione capillare di strutture cardiologiche, in grado di assolvere in primo luogo ai problemi della  urgenza-emergenza. Una spinta decisiva in tal senso era stata senz’altro l’esperienza degli studi GISSI, che oltre a porre la Cardiologia Italiana  all’attenzione mondiale, aveva anche evidenziato come fosse possibile, attraverso una capillare diffusione delle Unità Coronariche, assicurare una risposta all’ Infarto Acuto del Miocardio in maniera efficace ed appropriata (20,21).   Il DPR 27 marzo 1992, Atto di indirizzo e coordinamento delle attività delle regioni e p.a. di Trento e di Bolzano in materia di Emergenza Sanitaria, individua nei DEA  di II e I livello la obbligatorietà della presenza di cardiologia (22).

Partendo da questa  visione, la legge 2.94 e la 2.98  della Regione Campania colloca in tutti gli ospedali inseriti nella rete assistenziale dell’emergenza la Terapia Intensiva Cardiologia,  gerarchizando le funzioni in maniera di crescente complessità dall’ Ospedale sede di Pronto Soccorso Attivo, all’Ospedale sede di Dipartimento di Emergenza ed Accettazione di I e II livello (23,24).

Tale impostazione ha per la Regione Campania il valore di una rivoluzione Copernicana, segnando il tramonto di una concezione tolemaica della organizzazione sanitaria che  concentrava la maggior parte delle risorse e delle strutture sanitarie nell’area metropolitana di Napoli.

La evoluzione tecnologica e culturale  che ha investito la  Cardiologia pone in termini diversi e più moderni il dualismo centro-periferia collocando al centro della organizzazione  sanitaria la “rete integrata” di servizi, costruita sulla base di bacini di utenza omogenei e non più su considerazioni di ordino politico-clientelari (25, 26).

Per molti anni le Utic , come del resto gli ospedali, sono state , nella maggioranza dei casi, sostanzialmente slegate  dal contesto generale nell’ approccio  alle problematiche  della emergenza territoriale. Il realizzarsi di una serie di esperienze fondate sul concetto  di velocizzare l’inizio della terapia del paziente colpito da attacco cardiaco ha rafforzato la consapevolezza  che solo un approccio integrato alle problematiche dell’urgenza-emergenza cardiologica sia in  grado di abbattere ulteriormente la mortalità per infarto acuto del miocardio.

La necessità di una integrazione  tra i diversi soggetti erogatori di prestazioni è stata  rilevata da tempo. Già la  legge 132 del 1968 ed il relativo  Decreto applicativo 128 del 1969  prevedevano la implementazione  di un modello organizzativo dipartimentale “ tra le divisioni, sezioni e servizi affini e complementari” con lo scopo  di una migliore efficienza  ed efficacia gestionale.

La legge 833 del 1978 e le leggi di Riforma  502, 517 e 229  pongono fine  all’organizzazione degli Ospedali  in divisioni e servizi  stabilendo che l’organizzazione dipartimentale  è il modello ordinario di gestione operativa  di tutte le attività delle Aziende Sanitarie (27,28).

In effetti  la 833.1978  individuava le Unità Sanitarie Locali  come “il sistema integrato dei servizi e dei presidi” a cui è affidato il compito di dare risposte  alla domanda di salute dei cittadini.

Il DPR 27 Marzo 1992  ha delineato poi le caratteristiche di integrazione dei Sistemi di Emergenza Sanitaria. Da tale decreto hanno presso le mosse una serie di normative regionali, tra cui la ricordata legge 2.1994 della Regione Campania, tese a razionalizzare  e a favorire la più ampia integrazione  funzionale tra le diversi articolazione dei Sistemi di Emergenza Sanitaria da un lato ma anche  di una razionale diffusione di strutture destinate alla prevenzione, alla riabilitazione ed al Follow-up  cardiovascolare.

Tale necessità si è resa sempre più necessaria a partire dagli anni ’90 per una serie  di  cambiamenti verificatisi nel Sistema Sanitario, i più importanti dei quali sono:

-         la grande dimensioni delle Aziende Sanitarie, alcune delle quali con oltre un milione di assistiti;

-         la Aziendalizzazione degli Ospedali, che di fatto ha acuito la  frattura con le strutture territoriali;

-         la regionalizzazione della sanità che ha favorito la nascita di assetti diversi del Sistema;

-         la progressiva riduzione dell’offerta di P.L. per acuti che pone in termini drammatici la necessità della creazione di idonee strutture di assistenza extraospedaliera.

-         La esasperazione tecnologica e la ultraspecializzazone

Si pone quindi in primo piano  la esigenza di riprogettare  il percorso assistenziale del paziente nell’ottica  di una continuità di cure  che garantisca una reale saldatura  tra i servizi  di tipo preventivo-diagnostico, terapeutico e riabilitativo-residenziale. Lo strumento in grado di consentire il raggiungimento di tale obbiettivo  è rappresentata dalla implementazione di una rete integrata di servizi di assistenza.

La rete integrata di assistenza cardiologica comprende l’insieme organizzato di presidi e competenze professionali destinati alla assistenza delle malattie cardiovascolari con la finalità di assicurare percorsi diagnostico-terapeutici certi, condivisi ed unitari . 

Una rete integrata si servizi deve consentire:

a)                  di garantire una uniformità di accesso ai servizi,

b)                  di assicurare uniformità di trattamento per la medesima condizione patologica,

c)                  di assicurare la medesima qualità del servizio offerto,

d)                  di attivare processi di integrazione e di sussidarietà tra le diverse articolazioni del Sistema,

e)                  di garantire maggiore efficacia ed efficienza delle prestazioni.

L’accezione “rete” definisce una assistenza che si realizza attraverso la interconnessione tra più professionalità, avente come elemento organizzativo fondamentale la condivisione dei percorsi e la gestione delle relazioni piuttosto che la centralizzazione degli interventi. L’accezione “ integrata”  definisce da un lato il raccordo funzionale tra le diverse articolazioni e dall’altro la necessità di un governo  degli interventi a fronte  dei rischi della polverizzazione e della diluizione delle attività.

Lo sviluppo di una rete integrata richiede  che siano soddisfatte le seguenti condizioni:

a)                  definizione del bacino di utenza,

b)                   individuazione  dei servizi  presenti e le loro relazioni,

c)                  la presenza di competenze professionali in grado di consentire lo sviluppo  di equipès multiprofessionali, organizzate intorno a specifici programmi orientati per problemi, superando la logica di divisione  nella attività di  ciascuna professione,

d)                  la presenza  di idonei sistemi logistici di comunicazione a distanza delle informazioni cliniche  necessarie per la gestione dei pazienti e possibilità di accesso a banche dati e registri,

e)                  la implementazione di un processo di formazione continua per gli operatori teso alla sviluppo  di linee guida e percorsi assistenziali condivisi,

f)                   la definizione  degli specifici ambiti di autonomia e responsabilità gestionale e professionale.

Le Sindromi Coronariche Acute, insieme  all’arresto cardiaco, alle emergenze aritmiche e meccaniche, sono le tipiche condizioni  che richiedono, per un trattamento adeguato, la realizzazione  di una organizzazione territoriale a rete, che consenta il raccordo e la integrazione

del 118, dei presidi territoriali, del Sistema di Trasporto Infermi e delle Strutture Ospedaliere. D’altro canto la necessità di un sistema  che assicuri la continuità delle prestazioni  diventa fondamentale  nella assistenza ai pazienti  cronici e postacuti, nella gestione dei quali soltanto un modello organizzativo a rete è in grado di assicurare la necessaria integrazione tra le diverse articolazioni assistenziali (Ambulatori, Day Hospital, Day Surgery, Day Service, Ospedalizzazione domiciliare, medico di medicina generale, specialista ambulatoriale, strutture per acuti,  Strutture residenziali, Strutture riabilitative etc. ).

Il modello proposto per la rete cardiologica è quello cosiddetto Hub e spoke (mozzo e raggi di una ruota), modello nel quale i centri che erogano prestazioni sono tra loro coordinati e strategicamente definiti, per afferenze ed efferenze, in modo che per ciascuna  condizione clinica sia possibile, sin dal momento della presentazione, l’individuazione e la realizzazione di un percorso diagnostico-terapeutico, condiviso ed unitario.

Il modello hub e spoke si fonda su un concetto dinamico dell’assistenza sanitaria, dimensionato in rapporto alla complessità dell’intervento necessario per cui dovrà sempre essere possibile identificare la struttura (hub)  verso la quale il paziente deve essere canalizzato dal centro periferico (spoke) in considerazione del suo specifico quadro clinico (29 – 32).

 

Transizione professionale

Inizialmente la cardiologia nacque come emanazione della Medicina Interna e trovò più facile sviluppo negli ospedali rispetto alla Università, dove la rigidità delle gerarchie impedì per molto tempo il formarsi di una realtà cardiologica autonoma (33). La miopia di coloro che dirigevano le Medicine Interne Universitarie portò di fatto alla rinuncia ad una prospettiva di progresso e sviluppo sulla base della difesa  di privilegi personali e professionali, che alla lunga non sarebbero stati difendibili. La cardiologia  tuttavia pur essendosi inizialmente distaccata con una  certa difficoltà dalla  Medicina Interna ha rapidamente guadagnato in autonomia ed importanza.

I reparti di cardiologia    si sono sviluppati soprattutto in ambito ospedaliero ed hanno vissuto per lungo tempo confinate all’interno degli ospedali , spesso con  ridotta capacità di dialogo anche all’interno dei presidi di appartenenza. La cardiologia universitaria ed ospedaliera, tipico esempio di “strutture chiuse”, per molto tempo non si sono parlate ed ancora oggi, nonostante gli sforzi di molti, universitari ed ospedalieri rimangono sostanzialmente su posizioni diverse, culturali, assistenziali ed organizzative.

La diversità dei due mondi cardiologici è sancita dall’esistenza di due società scientifiche, l’ANMCO e la SIC, che nonostante la nascita della Federazione Italiana di Cardiologia  continuano a camminare su sentieri diversi.

Il processo di separazione della Cardiologia dalla Medicina Interna è avvenuto all’interno delle corsie degli ospedali e questo ha finito per condizionare lo sviluppo di una organizzazione  assistenziale cardiologica  centrata prevalentemente sul ricovero, con scarsa  capacità di dialogo tra cardiologia ospedaliera e cardiologia extraospedaliera. Tanto è che  i cardiologi extraospedalieri si sono  per la gran maggioranza dei casi riunite in associazioni scientifiche distinte rispetto ai cardiologi che operano in strutture di ricovero.

Il  futuro dirà se la Federazione Italiana di Cardiologia  riuscirà ad unificare le diverse anime della cardiologia, favorendo in tal modo  la diffusione di un approccio unitario alle problematiche  sanitarie.

Ma al di là del superamento delle contraddizioni  che caratterizzano l’attuale collocazione professionale  il ripensamento della  dimensione  professionale del cardiologo si impone come elemento fondamentale nell’ottica di una ottimale  integrazione di competenze professionali, manageriali e specialistiche (34).

La esasperazione tecnologica, il peso crescente dell’industria ed il prevalere  di spinte economiche  sta radicalmente cambiando la figura del cardiologo, condizionando scelte professionali ed assetti organizzativi.

 

Conclusioni

La realizzazione di un moderno sistema di cure cardiologiche  richiede che  il personale operante nel Sistema Sanitario  abbia professionalità, motivazione e passione per la propria attività. La presenza di professionisti ed operatori  motivati è la chiave di qualsiasi progresso in Sanità.  

Altrettanto fondamentale è la creazione di una rete di strutture con competenze e funzioni definite a complessità crescente la cui attività sia garantita sul piano delle risorse umane e tecnologiche.

Troppe volte  abbiamo assistito ad un esercizio estetico di mutamenti di etichette di modo che il selciato su cui camminare è rimasto lo stesso lastricato di approssimazione, populismo, burocrazia, confusione

Oggi la soluzione dei problemi  legati all’urgenza-emergenza in generale e a quella cardiologica in particolare passa attraverso un opera certosina di costruzione che riesca a coniugare competenze gestionali e professionali, sulla base di analisi precise, di assetti organizzativi adeguati e di progetti definiti (35).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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        Edizione 2003 Ital Heart J vol 4       Suppl 4 2003:

10)Simona Giampaoli Diego Vanuzzo et al. Atlante Italiano delle  Malattie Cardiovascolari II 

        Edizione 2004 Ital Heart J vol 5    Suppl 3 2004

11) A. Di Chiara, F. Chiarella, S.Savonitto, D. Lucci, L. Bolognese,     S.De Servi, C.Greco, A.       acuto nella rete     delle Unità  di Terapia Intensiva Coronarica Italiane. European   Heart        Journal (2003) 24,1616-1629

12) Rutstein DD et al.:Measuring  the qualità of  Medical Care  New   England Journal of

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13) Rutstein DD et al.:Measuring  the qualità of  Medical Care : second    revision of table of

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14) Gregorio G.: La metamorfosi  in cardiologia: le molte facce dell’ Elettrocardiogramma Il

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15) A Twaddle Disease,illness end sickness revisited in A Taìwaddle L.Nordenfelt :  Disease, 

       illness, and sickness:three central concepts in the theory of Health ,pp 1-18       Linkoping Studies on Health and Society

16) G. Gregorio: Pazienti, medici e cardiologi tra sviluppo, umanità e tecnologia: come eravamo,    come siamo, come saremo In Il Cuore, oggi e Domani. Paestum22- 23 settembre 2002 Atti

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17) Donella H. Meandows, Dennis L. Meadows, Jorgen W. Beherens III,  I limiti dello Sviluppo EdizIoni Scientifiche  e Tecniche Mondadori 1972

18)                Legge 12.2.1968 N 132 Enti Ospedalieri e assistenza Ospedaliera. GG.UU  N 68 del 12.2.1968

19)                DPR 27/3/1969 N 128 Ordinamento interno dei servizi ospedalieri GG.UU. N 104 del 23.4.1969

20)                GISSI: Effectiveness of intravenous trhombolityc treatment in acute myocardial infarction Lancet 1986,397-402

21)                GISSI Progetto generale e sottoprogetti Risultati della fase acuta e del Follow-up G. Ital Cardiol vol 17,i,1987

22)                DPR 13 Marzo 1992 Atto di indirizzo e coordinamento delle attività delle regioni e p.a. di Trento e di Bolzano in materia di Emergenza Sanitaria

23)                L.R. 11 Gennaio 1994 n 2. “Istituzione del sistema integrato  regionale per la emergenza sanitaria” BURC  18-1-1994

24)                L.R. 2.1998 Piano Regionale Ospedaliero per il triennio 1997 -1999 

25)             FIC Struttura ed Organizzazione Funzionale della Cardiologia  Ital  Heart J Suppl 2003;  

26)                Gregorio G.:  Le  SCA: dalle dimensioni del problema alle risposte organizzative Le Sindromi Coronariche Acute  Paestum 11 Novembre 2004 Atti: 31-41 

27) Legge n 833 Istituzione del Sevizio Sanitario Nazionale S.O. GG.UU. n 360 del 23.12. 1978

28) D.L. 19.6.1999 N 229  Norme  per la razionalizzazione  del Servizio Sanitario Nazionale a

                norma dell’art. 1 della legge 30.11.1998 n.419 S.O. GG.UU  n 165 del 16.7.199

29)  F.I.C.: Documento di Consenso Infarto Miocardico acuto   con St  elevato persistente: verso 

              un appropriato percorso diagnostico -  terapeutico nella comunità  Ital  Heart J Suppl Vol

              3,1127-1164          

30) G. Gregorio et al: Una questione ancora critica:i tempi di arrivo  in utic  Il Cuore Oggi e

      Domani VII Corso di Aggiornamento in Medicina  Cardiovascolare Paestum 30 settembre-1 

      ottobre 2004 Atti: 13-23 

31) F. Lega Gruppi e reti aziendali in Sanità  Egea 2002

32) G.Gregorio: Cardiologia e Cardiologi alle soglie del 2000 tra vecchi    e nuovi problemi

               Congresso di Cardiologia della Campania   Napoli  2-4 dicembre 1999Atti: 22-29

33)Dalla Volta :Perché i cardiologi universitari ed ospedalieri italiani no si vogliono bene Conoscere e Curare il Cuore ’88, 371-378

34) G.Gregorio Le articolazioni della Dirigenza Medica Cardiologia negli Ospedali 2005, 145: 152-155

35) G. Gregorio et al. : Il difficile cammino della cardiologia  dall’ospedale alla comunità Il Cuore Oggi e Domani 2006 Atti pag15-23.