La diagnostica
strumentale
nella Embolia
Polmonare
G. D’Angelo, S. Saponara,
M.L. Giovine, E.Vicinanza,.F.Mondillo*
U.O. Cardiologia-UTIC ; Servizio Radiologia* - P.O. Eboli-
ASL SA 2
Epidemiologia
I dati sulla incidenza
dell’Embolia Polmonare (EP) sono controversi, in quanto questa
patologia rappresenta un’emergenza poco diagnosticata e a
rischio di morte elevato. Studi autoptici indicano l’EP , come
causa di morte, in una percentuale variabile tra il 2 e il 14%;
in gruppi di pazienti anziani e a rischio (cardiopatici, BPCO,
traumatizzati) si può giungere al 60%. Nello studio autoptico
retrospettivo condotto nella Mayo Clinic (1) 2427 autopsie, 92
pz presentavano quadro autoptico diagnostico per EP massiva. In
una revew di 8 lavori pubblicati tra il 1971 e il 1995 su 71667
autopsie, l’EP fu causa di morte in 4144 casi ( 5.7%) dei quali
solamente 912 diagnosticati in vita. Attualmente in Italia l’EP
viene considerata la terza causa di morte dopo malattie
cardiovascolari e tumori.
Studi clinici riportano una
incidenza dell’EP stimabile in:
- oltre 600.000 casi/anno
®
USA
- oltre 60.000 casi/anno
®
Italia (100 nuovi casi/anno/100.000 ab)
- oltre 1500 casi/anno
®
Regione Veneto ( 25 nuovi casi/anno/100.000 ab); dati 1993
Il dato epidemiologico più
recente è stato riportato nel lavoro di Cushman e coll. (2),
che stima l’incidenza pari a 1.5 per 1000 persone/anno.
Solamente un terzo dei casi di
pz deceduti per EP vengono diagnosticati in vita e pertanto
oltre il 70% di pz affetti da EP muoiono senza diagnosi.
La prognosi dell’EP non trattata
è frequentemente infausta: la mortalità è di circa 30%; il 16%
nei primi 30 minuti, il 50% nelle prime 2 ore; la condizione
emodinamica è la principale variabile collegata alla mortalità:
50-58% in pz. con instabilità emodinamica versus 8-15% nei pz.
stabili ( 3)
Inoltre 1/3 circa dei pz con EP
sopravvissuti al primo episodio avrà una recidiva fatale. L’EP
rappresenta la principale causa di morte nel 10% dei pz adulti
ospedalizzati. L’incidenza di EP in ambiente ospedaliero oscilla
tra 1% e 3.6% (4-5); pertanto è prevedibile avere su ogni 1000
ricoverati 20 casi di EP non mortale e 5 casi di EP mortale.
Questa incidenza, come quella totale, tenderanno ad aumentare
per una serie di ragioni, tra le quali vanno considerate: l’età
media sempre più elevata della popolazione con un numero sempre
maggiore di anziani sottoposti ad interventi chirurgici,
l’aumento sempre più consistente della patologia neoplastica. E’
su questi pz che bisogna operare uno sforzo di “appropriatezza
diagnostica e terapeutica “ ; la mortalità nei casi trattati è
notevolmente più bassa, mediamente dell’8-10% Per completezza va
ricordato che l’EP costituisce con la trombosi venosa profonda
(TVP) una condizione anatomo-clinica strettamente correlata; di
qui il termine unificante di “malattia tromboembolica venosa”
che si riferisce al momento etiopatogenetico prevalente della
malattia
Tabella I
SEGNI
E SINTOMI CLINICI
SINTOMI
SEGNI
Dispnea
Frequenza respiratoria > 16bpm
Sincope
Tachicardia (FC > 100 bpm)
Confusione
mentale Rantoli
Agitazione
Temperatura > 37.8°C
Dolore
toracico
Edema periferico
Sudorazione
Ipotensione improvvisa
Dolore
pleurico
Cianosi
Tosse
Ritmo
di galoppo
Emottisi
Diaforesi
Arresto
cardio-circolatorio
Flebiti
Aumento
S2P
Arresto cardio-circolatorio |
Tabella 2


.
-Come riconoscere l’EP?
RICONOSCERE = RECOGNOSCERE
¯
“ ritornare indietro sulla
conoscenza “
Il presupposto è dunque la
“conoscenza“ della patologia, che presuppone la strutturazione
di un modello di analisi del problema che venga attivato ogni
qual volta il medico si trovi di fronte al pz con sospetto di
EP.
L’approccio diagnostico a questa
malattia rappresenta un esempio di equilibrio tra
“obiettivismo ed empirismo“,
nel senso che il “riconoscimento“ della EP avviene attraverso
“l’integrazione dell’esperienza clinica individuale con le
evidenze cliniche migliori derivanti dalla ricerca sistematica“.
Analogamente a quanto descritto
da Galileo nel Saggiatore (1632) si osserva il “fenomeno“
(anamnesi ed esame obiettivo ), anche alla luce della propria
esperienza, si formula “l’ipotesi di lavoro“ (ipotesi
diagnostica), si verifica (indagini bioumorali e strumentali) e
si traduce in “principio o legge “ ; a differenza però di
quanto previsto nel “ metodo sperimentale “di Galileo, nei casi
con forte sospetto clinico di EP, il decision making viene
anticipato rispetto alla definizione diagnostica, considerato
l’elevato rischio di mortalità presente in questa malattia in
assenza di terapia.
Pertanto l’attenta valutazione
dei segni e sintomi (Tab 1) presenti nel pz al suo arrivo in
P.S. , insieme, quando possibile, alla raccolta anamnestica, che
miri essenzialmente alla individuazione di fattori di rischio e
di condizioni favorenti la malattia tromboembolica venosa (Tab
2), rappresentano la premessa essenziale e determinante
nell’iter diagnostico della EP. Se non c’è sospetto clinico, non
ci può essere diagnosi.
La triade classica, maggiormente
patognomonica per la presenza di EP, è l’emottisi, la tosse ed
il dolore toracico.
I due trials internazionali,
UK-SK (6)il Pioped (7) indicano, come prevalenti, nei pz affetti
da EP i seguenti sintomi: tachipnea, dispnea e tachicardia,
soprattutto quando improvvisi e in soggetti senza malattia
cardiovascolare o polmonare preesistenti.
Certamente le modalità di
presentazione del pz con EP sono estremamente eterogenee:
esordio drammatico in caso di EP massiva, nel quale prevalgono
l’arresto cardiaco, lo shock, la sincope, la dispnea con dolore
retrosternale oppressivo; esordio “ atipico “ nel quale
prevalgono: sincope senza quadro associato di impegno
ventricolare dx, febbre improvvisa, episodio di TPSV, improvvisa
agitazione o dolore toracico puntorio, una riacutizzazione
improvvisa di patologia respiratoria (ad es. tipo asmatiforme),
dolore addominale “a cintura” o agli ipocondri, versamento
pleurico ancor più se bilaterale, edema polmonare acuto
asimmetrico, CID.
Nel 10-30% di casi di EP, può
determinarsi la comparsa di infarto polmonare; in tal caso il
pz può presentarsi alla nostra osservazione lamentando
l’insorgenza di dolore pleuritico con sfregamenti pleurici o
versamento pleurico, tosse umida o secca, ittero o subittero,
febbre.
Accanto alla valutazione dei
dati clinici e anamnestici, in ogni caso di EP vanno eseguiti,
se le condizioni del pz consentono, una serie di indagini di
primo livello:
-Analisi bioumorali:
transaminasi, LDH, bilirubinemia, emocromo, CPK, Dimero D
-Emogasanalisi
-ECG
-RX Torace
-Ecocardiogramma
-Ecocolordoppler vasi venosi
arti inferiori
La sequenza di esecuzione sopra
proposta è indicativa e dettata dalla comune esperienza di
approccio al pz che giunge al PS e nel quale sia formulato il
sospetto di questa malattia. Verosimilmente la sequenza
nell’acquisizione dei risultati sarà diversa, se si tiene in
debito conto il tempo necessario per i dati bioumorali e in
particolare del Dimero D, quando eseguito con metodica ELISA.
Negli ultimi anni sono stati
sviluppati diversi modelli di valutazione della probabilità
clinica di EP; tra questi riportiamo quello di Wells (8) , il
quale ha costruito una scala di punteggio per definire il grado
di probabilità: bassa probabilità < 2; media probabilità tra 2
e 6; alta probabilità > 6 ( Tab 2 )
Emogasanalisi
Ipossiemia ( PaO2< 80mmHg ),
Ipocapnia (PaCO2< 40mmHg ) ed alcalosi respiratoria
costituiscono il risultato atteso di questo esame nel pz con EP.
Va detto comunque che il
riscontro di valori normali di PaO2 non esclude la diagnosi di
EP ed allora si può ricorrere alla determinazione del gradiente
alveolo-arterioso di O2 mediante la seguente formula:
Gradiente alveolo-arterioso= PAO2 alveolare – PAO2
arteriosa
PAO2
alveolare= 150 – 1.2 (PCO2)
¯
Gradiente alveolo-arterioso= 150 – 1.2 (PCO2) – PAO2 arteriosa
Un valore di gradiente
alveolo-arterioso < a 20mmHg è poco compatibile con la presenza
di questa patologia, anche se non in maniera assoluta.
Al pari la PCO2 può aumentare in
tutti i casi in cui il pz non riesce ad aumentare l’attività
ventilatoria come ad esempio avviene in pz sottoposti a
ventilazione meccanica o nei pz con marcato dolore pleurico o in
stato di shock magari a causa di EP massiva con grossa riduzione
della per fusione ematica limitata ad un’area estremamente
ridotta di polmone.
I
Tabella 3
Fattori di rischio e
condizioni associate a malattia tromboembolica venosa
Età
Stati infettivi
Obesità
Infiammazioni intestinali
Immobilizzazione
Lupus eritematoso sistemico
Gravidanza
Sindrome nefrosica
Puerperio
Sindrome di Cushing
Contraccezione
orale
Malattia di Behcet
Chemioterapia
Stroke
Precedente
MTV
Infarto miocardico
Varici
Insufficienza cardiaca
Cateteri venosi a
permanenza Mielomi
Traumi
(contusioni,fratture)
Emopatie
Interventi
chirurgici,neoplasie maligne
Trombocitopenia da eparina
Paralisi arti
inferiori
Trombofilia
|
Tabella 4
Aspetti
elettrocardiografici in caso di embolia polmonare
S1Q3T3
S1S2S3
Tachicardia
Aritmia
ipercinetica atriale
Inversione
onda T in DIII e aVF o da V1 a V3
BBdx
incompleto transitorio
S > 1.5 mm
in D1 e aVL
QS
in DIII e aVF ma non in DII
Zona di transizione spostata a sn ,in corrispondenza di
V5
Asse elettrico ruotato a dx
Non
infrequente asse elettrico ruotato a sn
Comparsa onda P polmonare
|
l riscontro di ipossiemia è
comunque abbastanza comune nei pz con questa malattia e se < 50
mmHg potrebbe indicare una occlusione importante del circolo
polmonare > del 50%.
Si ricordi di eseguire il
prelievo arterioso con il pz che respira aria ambiente.
Gli studi hanno dimostrato che
esiste un valore diagnostico incrementale per l’emogasanalisi,
tanto maggiore quanto più elevato è il sospetto clinico;
certamente non può essere dimenticato la ridotta sensibilità e
specificità del test, che può risultare alterato in numerose
altre condizioni patologiche acute, in primis cardio-polmonari.
ECG
“ tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il
triste esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar ”
Quest’esame ha l’enorme
vantaggio di poter essere eseguito nella quasi totalità dei casi
e nella quasi totalità delle condizioni e situazioni
assistenziali.
Come tutte le tecniche “antiche”
e “diffuse” che conservano il ruolo a dispetto del nuovo,
l’elettrocardiografia nell’approccio al pz con sospetta EP ha
attraversato periodi di eclissi e momenti di rinnovato
splendore. Certamente conserva un valore diagnostico
differenziale non di poco conto, aiutando nella diagnosi
differenziale con la sindrome coronarica acuta e con disturbi
aritmici in grado di determinare sintomi da bassa gittata,
dispnea, tachipnea e agitazione. Le alterazioni più frequenti
rilevate nei pz con EP, la tachicardia e le alterazioni del
tratto ST-T, mancano di specificità (9-10); di grande aiuto può
essere la visione di tracciati precedenti l’evento per coglierne
le differenze. E non può essere dimenticato la possibile
preesistenza di alterazioni ecgrafiche in grado di mascherare i
segni suggestivi di EP (tipo BBSn, ritmo da PM ecc.) o di altre
che possono avvalorarne l’esistenza (tipo BBDx, alterazioni del
tratto ST-T, variazioni fisiologiche dell’asse elettrico ecc.).
D’altra parte l’ECG è anormale in oltre il 70% dei pz con EP
(4-5) e l’inversione dell’onda T sulle derivazioni precordiali,
se presente precocemente entro le prime 24 ore, identifica pz
con EP massiva, con indice angiografico di Miller 50% e
pressione media in arteria polmonare > 30mmHg (11). Nei casi più
gravi di cuore polmonare acuto può rendersi evidente l’aspetto
ecgrafico descritto da McGinn-White già nel lontano 1935 di
S1Q3T3 o quello di S1S2S3. Altri segni ecgrafici correlabili
alla EP sono stati descritti (Tab 3) con la piena consapevolezza
della loro bassa specificità e della estrema variabilità nel
tempo, correlabile alle variazioni funzionali del ventricolo dx
e alle condizioni emodinamiche nel circolo polmonare.
Recentemente l’ECG ha riconquistato un posto “sull’altare” del
decision support system nel pz con EP: un valore di score >
10 risulta suggestivo di EP massiva con valore statistico di
correlazione elevato (p< 0.001) rispetto alla severità
dell’ipertensione polmonare (11). Kucher e coll. (12) hanno
dimostrato in pz con EP la frequente presenza all’ECG di Qr in
V1 insieme a sopraslivellamento del tratto ST ≥ 1mV; inoltre la
negatività dell’onda T in V2 e il Qr in V1 rappresentano segnali
elettrocardiografici di disfunzione ventricolare destra e quindi
di decorso complicato della malattia (sensibilità 45 e 31%;
specificità 94 e 97% rispettivamente).

Bisogna però anche ricordare che
vi sono casi di EP non accompagnati ad alterazioni
elettrocardiografiche: nello studio UPET il 14% di pz con EP
presentava un ECG normale e di questi ben il 29% aveva una forma
massiva o sub-massiva; nel PIOPED un ECG normale era
documentabile nel 30% dei casi. Infine è giusto sottolineare
che l’elettrocardiografia risulta una metodica utile anche nel
monitoraggio dell’efficacia terapeutica e del decorso clinico:
le onde T negative possono regredire, come anche le alterazioni
del tratto ST e i disturbi di conduzione e del ritmo (10).
Rx Torace
Risulta indagine ancora molto
utile sia quando è alterata che quando è normale.
Nel primo caso permette di
escludere la presenza di EP allorquando dimostri la presenza di
segni tipici di altra patologia pneumologica e/o cardiologica
del tipo polmonite o pericardite; oppure permette di associare
la presenza di alcuni aspetti radiologici ( Tab 4)
frequentemente associati alla malattia tromboembolica venosa
ancorché non specifici.
Alcuni recenti trials
internazionali (13) condotti in pz con EP riportano anomalie
radiologiche toraciche presenti nel 70-80% dei casi; di queste
le più frequenti risultano essere nel recente studio ICOPER (9)
la cardiomegalia (27%) e la dilatazione dell’arteria polmonare
(17%), che comunque poco correlano con la ipocinesia del
ventricolo dx, importante predittore di mortalità.
In conclusione possiamo dire che
anche la radiografia toracica, se contiene elementi diagnostici
di sostegno all’ipotesi iniziale di EP, rafforza la scelta di
soluzioni terapeutiche immediate.
Tabella 5
ANOMALIE
RADIOGRAFICHE
1)
Infarto polmonare: estensione segmentaria e più
spesso sub-segmentaria. Si presenta come opacità a
localizzazione periferica “ a cuneo” “a tronco di cono”
con base sul versante pleurico ed apice verso l’ilo.
2)
Infiltrato polmonare: focolai di condensazione
degli spazi aerei, sottoposti a fenomeni emorragici ed
edematosi, per lo sviluppo di circoli collaterali da
parte di arterie distali all’embolo. Si presenta come
opacità rotondeggianti multiple o di chiazze non
segmentate localizzate in sede basale in particolare a
dx.
Versamento
pleurico: di modesta entità spesso bilaterale.
3)
Segno di Westermark: area di vascolarizzazione
marcatamente ridotta situata a valle della presunta sede
dell’embolo.
4)
Modificazioni dell’arteria polmonare: interessata
più frequentemente dalla EP è l’arteria polmonare
discendente dx.. L’arteria si presenta aumentata di
calibro ed amputata,cioè con dilatazione prossimale ed
una brusca riduzione di calibro in periferia. Questo
aspetto radiologico è secondario ad aumento delle
resistenze periferiche per ostruzione acuta di una
sezione del vaso stesso.
5)
Atelectasie: in genere sub-segmentarie si
presentano come strie curve (strie di Fleishner) che
raggiungono la superficie pleurica e ne determinano
invaginazione
6)
Sollevamento dell’emidiaframma : dovuto al dolore
pleurico con conseguente riduzione riflessa dei
movimenti respiratori
7)
Ingrandimento del cuore e della vena azygos.
8)
Presenza di un radiogramma negativo:si
determinano in quanto emboli anche voluminosi possono
determinare ostruzione parziale del vaso.
|
D-Dimero
I D-dimeri sono frammenti di
fibrina originati dall’azione catalitica della plasmina;
pertanto risultano elevati in pz che hanno prodotto notevoli
quantità di fibrina con successiva fibrinolisi, come succede nei
pz con EP, ma anche in altre condizioni fisiologiche
(gravidanza, età avanzata, allettamento prolungato) e
patologiche (epatopatie, neoplasie, polmoniti, scompenso
cardiaco, intervento chirurgico). Alto valore predittivo
negativo (91%), sensibilità elevata (96%), specificità bassa
(47%); questi dati sono stati ottenuti in studi nei quali la
titolazione del D-Dimero è stata realizzata mediante il test
immunoenzimatico ELISA con un cut-off di 500nG/ml (14,15). Il
D-Dimero negativo esclude con alta probabilità la presenza di
Tabella 6
Criteri
ecocardiografici indiretti di EP
Diametro telediastolico
V Dx > 27 mm
Diametro telediastolico
V Sn <36 mm
Inversione rapporto
DTDVDx/DTDVSn
Dilatazione arteria
polmonare
Alterazione curvatura
SIV
Pressione sistolica in
arteria polmonare > 30 mmHg
Dilatazione vena cava
inferiore con mancanza di collasso inspiratorio
Acinesia della parete
libera ventricolo destro con normale cinesi apicale
Tempo di accelerazione a
livello della curva doppler polmonare < 100 msec
|
EP; se congiunto alla
scintigrafia polmonare negativa, il valore predittivo negativo
raggiunge il 100% (16). Sfortunatamente il tipo di test
utilizzato con maggiore frequenza in emergenza per il dosaggio
del D-Dimero in pz con il sospetto di questa patologia è quello
al lattice che utilizza anticorpi monoclinali diretti verso
questa sostanza; purtroppo la sensibilità scende all’83%.
Nei pz con pregresso episodio di trombosi venosa profonda (TVP)
o di EP seppure in trattamento con anticoagulanti orali il
dosaggio del D-Dimero nei primi 6 mesi post-evento può risultare
più alto, quale espressione di stato di ipercoagulabilità. In
questa tipologia di pz nel caso di sospetta recidiva, la
negatività del test al lattice per il D-Dimero esprime alta
probabilità di assenza della recidiva di TVP o EP; la
probabilità di test negativo è però due volte inferiore rispetto
a quella rilevabile in pz con sospetto di malattia ma senza
precedente storia clinica di TVP o EP (17)
Ecocardiogramma
“ e l’avvio’, pei floridi
sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i
desideri avanza “.
La prima documentazione
ecocardiografica di EP acuta mediante esame ecocardiografico
risale al 1977, allorquando fu documentato con tecnica M-mode un
trombo intracardiaco dx “in transito” (18). I miglioramenti
tecnologici, la diffusione, la facilità di esecuzione, la
fattibilità, la ripetibilità, il basso costo, il rischio quasi
inesistente in mani esperte della metodica per via
transesofagea, ha comportato un prepotente impiego
dell’ecocardiografia nel percorso diagnostico del pz con EP, che
comunque risulta ancora ridotto negli studi generali sulla
popolazione affetta da questa malattia( < al 50% ); ciò
soprattutto se si considera la sua capacità di riconoscere
condizioni patologiche in grado di simulare clinicamente l’EP,
quali il tamponamento cardiaco, la dissecazione aortica,
l’infarto miocardico acuto ecc.
I limiti della metodica sono
altrettanto importanti e sono: la relativa soggettività
interpretativa, il problema “ finestra “, il possibile fattore
confondente determinato dalla preesistenza di patologia cardiaca
e/o respiratoria.
L’ecocardiografia transtoracica
(ETT) può fornire segni diretti e segni indiretti di EP( Tab 5).
Il segno diretto più comune è
rappresentato dalla trombosi in cavità destre o in polmonare; è
un reperto occasionale, con prevalenza massima del 18%.In epoca
di tecniche interventistiche non è eccezionale ritrovare, al di
dentro delle sezioni cardiache destre o in polmonare, materiale
migrante da protesi intracardiache o vascolari oppure, in caso
di eventi traumatici, corpi estranei. Quando la documentazione è
chiara e sicura, è inutile procedere ad altri esami diagnostici
per la interpretazione del quadro clinico di EP (19,20).
I segni indiretti di EP sono
tutti da riportare alle variazioni del postcarico del ventricolo
destro indotte dall’incremento del regime tensivo nel circolo
polmonare.
Nessuno è patognomonico di EP
acuta; l’ipo-acinesia della parete libera del ventricolo dx con
normo o ipercinesia dell’apice, segno di Mc Connel (21), sembra
essere fortemente predittivo di EP acuta con specificità del 94%
ed accuratezza diagnostica del 92%.
Certamente, come anche da noi
dimostrato, la ETT diventa ultimativa nell’iter diagnostico
allorquando è possibile il confronto con esami ecocardiografici
precedenti, eseguiti in assenza del quadro clinico e strumentale
attuale, o se l’interpretazione dei dati ultrasonografici viene
eseguita in combinazione con segni clinici, ecgrafici e
radiologici (22,23); in tal caso si raggiunge una specificità
del 93% ed una specificità dell’81%.
Più delineato appare il ruolo
della ETT nella stratificazione prognostica dei pz. con EP
acuta. Nello studio osservazionale MAPPET la mortalità a 30
giorni è risultata del 105 nei pz con ventricolo dx ipocinetico,
del 4% nei pz con normale funzione ventricolare. Ribeiro e coll.
hanno studiato in pz con EP acuta la possibilità di prevedere, a
breve termine, sia la mortalità( 24) sia lo sviluppo di
ipertensione polmonare e di disfunzione ventricolare dx (25): i
due studi hanno dimostrato che i fattori prognostici sono la
gravità della disfunzione ventricolare dx per la mortalità, il
valore di pressione sistolica in polmonare ( > 50mmHg) per lo
sviluppo a 5 anni di ipertensione polmonare e di disfunzione
ventricolare dx.
Il valore prognostico della
disfunzione ventricolare dx valutata con ETT nel predire
l’outcome del pz con EP è stato confermato dal recente studio di
Grifoni e coll. ( 26) che ha preso in considerazione quali
marker di disfunzione del V Dx i seguenti parametri
ecocardiografici:
-DTD Vdx > 30mm o rapporto
DTDVdx/DTDVsx > 1 in 4 camere
-Movimento paradosso del SIV
-Ipertensione Polmonare:tempo di
accelerazione <90ms o gradiente
Vdx/Adx>30mmHg
Nel gruppo di pz normotesi,
quelli senza disfunzione ventricolare dx ebbero una prognosi a
breve termine buona; tra quelli con disfunzione ventricolare il
10% andò incontro a shock e il 5% morì.
Qual’ è la migliore stategia
terapeutica in questo sottogruppo di pz con disfunzione
emodinamica latente? Può essere opportuno proporre, anche in
assenza di quadro clinico di compromissione emodinamica, la
trombolisi?
La risposta a questa domanda non
è al momento possibile dal momento che, come afferma giustamente
Davidson nel suo editoriale pubblicato su Chest 2001, esistono
in letteratura tesi contrapposte sulla efficacia della terapia
trombolitica in questo set di pz; in aggiunta anche i criteri
ecocardiografici per definire la disfunzione ventricolare dx nei
lavori in questione sono differenti.
La ripetibilità della ETT ha
reso possibile lo studio della diversa efficacia dei farmaci
utilizzati nel trattamento della EP; in particolare alcuni
autori hanno dimostrato la positività e la rapidità di effetti
dei fibrinolitici sulla funzione globale e regionale del
ventricolo dx (27).
La metodica ecocardiografica ha
trovato nuovo slancio nello studio di questa malattia con
l’applicazione della tecnica transesofagea (TEE). Noi riteniamo
che la TEE sia da estendere come indicazione diagnostica nei
casi di EP massiva; in oltre il 50% dei pz con quadro clinico e
strumentale di impegno ventricolare dx è possibile documentare
all’interno dell’arteria polmonare masse trombotiche(24 ).
In particolare la maggiore
frequenza è nel ramo destro, anche se le nuove sonde biplanari
ed omniplanari consentono in mani esperte il rilievo di trombi
anche nel ramo sinistro e nel primo tratto delle lobari.
L’ecocontrastografia (28)
applicata alla TEE può aiutare nella migliore definizione delle
masse e nello studio dell’entità della compromissione
emodinamica del pz ( studio della fossa ovale), riducendo la
possibilità di falsi positivi.
La TEE oggi si pone come tecnica
diagnostica alternativa alla scintigrafia polmonare ed alla TAC
spirale nella documentazione del trombo in questo set di pz, con
maggiore fattibilità anche al letto del pz, anche se sottoposto
a ventilazione meccanica e, in caso di positività, permette di
arrestare l’iter diagnostico.
Scintigrafia polmonare
Resta una metodica importante
anche se di non facile esecuzione nei pz con quadro emodinamico
instabile. Lo studio PIOPED condotto con la scintigrafia
polmonare V/P ha sottolineato la capacità diagnostica nei pz con
alta probabilità di EP dove raggiunge la specificità del 97%,
aspetto presente però solamente nel 13% del totale dei pz
studiati; in tutti gli altri, con probabilità intermedia fino a
probabilità assente, la specificità varia dal 52% al 10%.In
Italia lo studio PISA-PED condotto con l’utilizzo della
scintigrafia perfusionale senza V/P ha dato risultati
interessanti: la sensibilità è risultata del 92% e la
specificità dell’88%.
TAC
La diffusione dei sistemi con
scansione rapida ( spirale) e con scansione ultrarapida a fascio
di elettroni, pone questa tecnica di immagine come nuova
possibile metodica di riferimento nell’iter diagnostico dell’EP,
in grado di sostituire o almeno di affiancare l’angiografia
polmonare nella capacità di documentare l’EP, con il vantaggio
anche di poter documentare lesioni aggiuntive o condizioni
patologiche alternative che escludono l’EP. In un recente lavoro
di confronto tra TCA spirale ed Angiografia(29) condotto in pz
con EP, la sensibilità e la specificità sono risultati
rispettivamente del 90 e 94%, il valore predittivo positivo e
negativo del 90 e 94%. Pertanto oggi l’angiografia polmonare
andrebbe riservata ai pochissimi casi con alta probabilità
clinica di EP, risposta scintigrafia dubbia e TAC spirale non
diagnostica; sono i casi con piccoli emboli in arterie
polmonari subsegmentari.
Angiografia polmonare
Parlarne poco non significa
discuterne il valore; ancora oggi viene considerato esame di
riferimento nella diagnosi di EP.
Se negli anni passati l’utilizzo
era quasi indispensabile, oggi rappresenta l’eccezione.
Costi elevati, invasività, non
facile o non possibile esecuzione nel pz emodinamicamente
instabile, rischi non trascurabili in presenza di ipertensione
polmonare elevata, una morbilità variabile tra 1-4% ed una
mortalità dello 0.2-0.4% (30 ), hanno ridotto l’applicazione
dell’esame a casi selezionati di EP, nei quali magari si impone
anche una diagnosi differenziale con altre patologie
cardio-polmonari.
La descrizione analitica del
contributo offerto dalle diverse metodiche cliniche e
strumentali, alla definizione diagnostica della EP, è una
ulteriore dimostrazione della difficoltà esistente nell’iter
assistenziale ai pz con sospetta EP. Ciascuna metodica può
fornire elementi utili per giungere al chiarimento di quadri
clinici a volte complessi e lontani dalle comuni conoscenze in
questa patologia subdola e ampiamente sottostimata.
Bisogna però ribadire che nella
definizione diagnostica della EP, più che in altre malattie,
risulta determinante l’approccio clinico, volto a stabilire la
probabilità di patologia, punto di partenza per la scelta delle
ulteriori indagini strumentali da attuare. La TAC, con l’avvento
delle apparecchiature 32-64 multislice, rappresenta oggi la
metodica più diffusa, con elevata sensibilità e specificità,
nonché con importante valore predittivo, con valori così elevati
da indurre alcuni autori ad indicare questa tecnica quale
metodica gold standard per la diagnosi di EP.
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