La
terapia dell’ipecolesterolemia
tra
vecchi e nuovi farmaci
Alberto Corsini,
Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli
Studi di Milano
Introduzione
Nel corso degli
anni, vari studi epidemiologici hanno dimostrato come elevate
concentrazioni plasmatiche del colesterolo-LDL (C-LDL) siano
associate ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari.
La terapia farmacologica delle ipercolesterolemie prevede
soprattutto l’uso delle statine, farmaci in grado di inibire la
sintesi epatica del colesterolo, di aumentare l’espressione dei
recettori per le LDL e di ridurre le LDL plasmatiche. Studi
clinici effettuati con statine hanno consentito riduzioni di
C-LDL e benefici clinici mai raggiunti in precedenza,
dimostrando come la relazione colesterolo-rischio
cardiovascolare sia continua e graduale, ovvero senza un valore
soglia al di sotto del quale tale rischio si annulli. Tali
risultati sono stati recepiti da numerose Linee Guide nazionali
ed internazionali (es.ATP III) che raccomandano riduzioni
significative del C-LDL, specie in pazienti ad alto rischio
cardiovascolare.
Nonostante le
terapie ipolipidemiche disponibili, non tutti i pazienti
dislipidemici sono trattati adeguatamente. Lo studio Reality
conferma come il raggiungimento delle concentrazioni ottimali
del C-LDL raccomandati dalle Linee Guida si verifichi solamente
nel 40% dei pazienti trattati (principalmente con statine) e
come, nonostante il mancato raggiungimento degli obiettivi, solo
nel 6-16% dei casi il medico decida di aumentare il dosaggio del
farmaco, al fine di migliorare la terapia. Scarsa adesione al
trattamento, regime dietetico scorretto dei pazienti, errata
posologia, terapie concomitanti o fattori geneticamente
determinati (mutazioni del recettore per le LDL, dell’apoproteina
B100, della CETP ecc.) possono contribuire all’insuccesso del
trattamento, suggerendo la necessità di interventi farmacologici
diversi o combinati per un controllo più efficace della
colesterolemia e per ridurre il rischio cardiovascolare del
paziente.
Gli studi PROVE-IT,
A-to-Z, TNT, IDEAL, condotti con dosaggi elevati di statine in
pazienti a rischio cardiovascolare, hanno dimostrato una
riduzione più significativa degli eventi cardiovascolari
rispetto a terapie con statine meno potenti od a dosaggi
inferiori, confermando l’importanza di un approccio
ipocolesterolemico aggressivo. Purtroppo, questi stessi dosaggi
di statine si sono rivelati essere associati ad aumentato
rischio di miopatie, epatopatie e mortalità non cardiovascolare.
Dato che il raddoppio di una dose “convenzionale” di statina
provoca, avvicinandosi allo “steady state”, solo un’ulteriore
modesta riduzione del C-LDL (-6%) associata ad un incremento
significativo della tossicità, ne consegue come una terapia
combinata di una statina con un altro agente ipolipidemizzante
possa essere più favorevole in termini di efficacia e di minori
effetti collaterali (Figura 1).


Omeostasi del colesterolo
Il contenuto medio
di colesterolo in una persona adulta è 140 g, di cui solo 1,2 g
soggetti a ricambio giornaliero. Come già ricordato, il
colesterolo plasmatico, oltre che dalla biosintesi epatica
deriva dall’assorbimento intestinale: ogni giorno assumiamo
dalla dieta circa 300-700 mg di colesterolo che si assemblano
con gli acidi biliari a circa 1000 mg di colesterolo biliare,
formando micelle che ne permettono l’assorbimento intestinale.
Circa il 50% del colesterolo nell’intestino tenue viene
assorbito dalla mucosa, mentre il rimanente è escreto nelle
feci. Una quota analoga di colesterolo viene sintetizzata dal
fegato, evidenziando un contributo equipollente delle due vie di
rifornimento quotidiano (Figura 2).
Controllo farmacologico
dell’assorbimento intestinale del colesterolo
Nuove
importanti acquisizioni circa l’assorbimento intestinale del
colesterolo, biliare e dietetico si sono ottenute con
l’identificazione della proteina trasportatrice Niemann-Pick C1
Like 1 (NPC1L1), localizzata nell’orletto a spazzola delle
cellule intestinali.
Questa proteina, assieme ad altre, è coinvolta nella captazione
e nel controllo dell’omeostasi del colesterolo nell’enterocita,.
Pertanto, un ridotto assorbimento intestinale di colesterolo ne
comporta una minore disponibilità epatica, un’aumentata
captazione delle LDL ed una riduzione delle concentrazioni
plasmatiche del C-LDL, ponendo le basi per un controllo
farmacologico della proteina NPC1L1 (Figura 2).
L’ezetimibe, inibitore
della proteina NPC1L1: meccanismo d’azione, farmacocinetica ed
interazioni
Il capostipite di
questa nuova classe di farmaci, l’ezetimibe,
inibisce selettivamente l’assorbimento intestinale del
colesterolo dietetico e biliare nell’orletto a spazzola delle
cellule intestinali, agendo sulla proteina NPC1L1. Il farmaco si
lega agli enterociti con elevate affinità e specificità; infatti
tale legame non si instaura in topi in cui l’espressione della
proteina NPC1L1 è stata soppressa. Questa specificità d’azione è
ribadita dal fatto che l’ezetimibe non inibisce l’attività di
enzimi pancreatici, non sequestra acidi biliari e colesterolo,
non influenza né l’attività di esterificazione né quella delle
lipasi gastrointestinali e non interferisce con l’assorbimento
di trigliceridi, estrogeni e progestinici, ma impedisce, in
ultima analisi, il trasferimento del colesterolo dal lume
intestinale all’enterocita, favorendone l’escrezione fecale
(Figura 2).
Nell’uomo
l’ezetimibe inibisce l’assorbimento del colesterolo del 54%,
riduce il C-LDL (-20%), quello totale (-15%), i trigliceridi
(-7%) ed aumenta il C-HDL (2,7%). La minor diminuzione del C-LDL
rispetto all’effetto indotto sull’assorbimento del colesterolo è
dovuta ad un aumento omeostatico della sintesi endogena del
colesterolo.
L’ezetimibe, assunto
per os, viene assorbito rapidamente, altrettanto rapidamente
captato dalle cellule intestinali e glucuronidato dalle
uridindifosfatoglucuronosiltrasferasi (UGT) 1A1 ed 1A3. Il
glucuronide è farmacologicamente attivo e rappresenta il 90%
della concentrazione plasmatica totale dell’ezetimibe, valutata
30 minuti dopo la somministrazione. La concentrazione del
glucuronide è massima (45-70 ng/ml) 1-2 ore dopo l’assunzione
del principio attivo, che invece raggiunge il picco (4-5 ng/ml)
4-12 ore dopo la somministrazione. Il glucuronide è rilasciato
al fegato dal sistema portale e riescreto tramite la bile nel
lume intestinale, ove si lega alla parete: nell’enterocita esso
rappresenta più del 95% della dose somministrata. Sia
l’ezetimibe sia il glucuronide si legano avidamente alle
proteine plasmatiche (99,7% e 88-92% rispettivamente) e sono
entrambi substrati della glicoproteina P (P-gp, ABCB1) e della
Multidrug Resistance Associated Protein 2 (MRP2, ABCC2) che,
assieme alla UGT1A1, ne determinano di conseguenza gli effetti
farmacologici. Dall’andamento temporale delle concentrazioni
plasmatiche si evince come l’ezetimibe subisca un effetto di
ricircolo enteroepatico, importante nel prolungarne l’effetto
farmacodinamico. L’ezetimibe viene eliminato immodificato per
via fecale (80%), o renale (10%) se in forma di glucuronide.
Situazioni
fisiologiche e patologiche possono alterarne la farmacocinetica.
Sebbene nell’anziano e nella donna le concentrazioni plasmatiche
siano significativamente aumentate, l’effetto ipolipidemizzante
è sovrapponibile a quello dell’adulto e non richiede
aggiustamenti posologici. Questa attenzione è invece richiesta
in casi di nefro- ed epatopatie, poichè le concentrazioni
plasmatiche salgono fino a 6 volte oltre la norma. Studi di fase
I hanno dimostrato come l’ezetimibe (10 mg) non interagisca con
substrati specifici dei citocromi CYP1A2, CYP2C8, CYP2C9,
CYP2D6, CYP3A4 e con la N-acetiltrasferasi. Inoltre, non sono
riportate interazioni con warfarina, digossina, cimetidina,
contraccettivi orali e soprattutto con statine, le cui
concentrazioni plasmatiche sono immodificate nel caso di doppia
terapia ezetimibe-statina. Sebbene due studi condotti con
ezetimibe-gemfibrozil o fenofibrato abbiano mostrato un aumento
del 50-80% delle concentrazioni plasmatiche dell’ezetimibe,
d’altro canto la terapia ezetimibe/fenofibrato possiede
un’efficacia complementare sul profilo lipidico in pazienti con
dislipidemia mista; è infatti recente l’approvazione da parte
della FDA della combinazione ezetimibe-fenofibrato nel
trattamento di questa forma di dislipidemia.
Interazioni di
rilevanza clinica si verificano nelle combinazioni con
ciclosporina o con colestiramina. Mentre nel primo caso si
sconsiglia la cosomministrazione con l’immunosoppressore specie
nei pazienti soggetti a trapianto renale (per aumenti da 3 a 10
volte nella concentrazione dell’ezetimibe), nel secondo caso il
farmaco deve essere somministrato o 2 ore prima o 4 ore dopo la
colestiramina, onde evitarne la riduzione nell’assorbimento da
parte della resina. A causa della recente introduzione sul
mercato e quindi della mancanza di letteratura, si sconsiglia
precauzionalmente l’utilizzo dell’ezetimibe in gravidanza e nei
bambini. I suoi effetti avversi più comuni, seppure moderati,
sono diarrea e dolori addominali, anche se il rischio di
litiogenesi non può ancora essere escluso.
L’associazione
ezetimibe/statina: vantaggi ed aspetti clinici della duplice
inibizione
Dato che le
concentrazioni plasmatiche del colesterolo sono determinate
dalle componenti endogena ed esogena, l’approccio mirato al
controllo di questi due contributi risulta non solo il più
efficace, ma soprattutto il più razionale. Infatti il
trattamento con statine determina un aumento dell’assorbimento
del colesterolo, per una risposta omeostatica dell’organismo,
mentre la monoterapia con ezetimibe, pur diminuendo
l’assorbimento del colesterolo, ne aumenta la sintesi endogena.
Per questi motivi, la duplice inibizione operata dall’ezetimibe
nell’enterocita e dalla statina nell’epatocita esalta le
proprietà farmacodinamiche e gli effetti ipolipidemizzanti dei
due farmaci, mediante un meccanismo additivo e cooperativo
rispetto alla monoterapia. La combinazione ezetimibe-statina,
oltre a diminuire ulteriormente le concentrazioni del C-LDL,
ottimizza l’effetto ipocolesterolemizzante e diminuisce i
possibili effetti di tossicità. Per quanto riguarda sicurezza e
tollerabilità, le percentuali di effetti collaterali
dell’associazione ezetimibe/statine sono sostanzialmente
sovrapponibili a quelle della monoterapia con statine dal
momento che, come già indicato, l’ezetimibe non ne modifica la
cinetica.
Vari studi clinici
hanno riportato gli importanti benefici della duplice inibizione
non solo sulla colesterolemia, ma anche su altri importanti
parametri, quali la funzionalità endoteliale e la proteina C
reattiva, mentre altri sono in corso e saranno completati tra
breve.
Nello studio EASE è
stata valutata l’efficacia di un trattamento di 6 settimane con
ezetimibe 10 mg/die-statina in 3.030 pazienti a diverso rischio
cardiovascolare, con elevato C-LDL, secondo le linee guida
NCEP-ATP III. 1.010 pazienti sono stati trattati solo con
statina, ottenendo una riduzione aggiuntiva (rispetto al
precedente trattamento con statina) delle LDL del 2,7%. Nei 2020
pazienti trattati con statina/ezetimibe, la riduzione ulteriore
(aggiunta di ezetimibe alla terapia statinica in atto) delle LDL
è stata invece del 25,8%. Le concentrazioni di C-LDL
raccomandate dalle linee guida NCEP-ATP III sono state raggiunte
nel 71% dei pazienti trattati con statina/ezetimibe, mentre solo
nel 21% del gruppo cui è stata somministrata esclusivamente la
statina; Nel gruppo a più alto rischio cardiovascolare tali
percentuali si sono attestate rispettivamente al 69 ed al 17%.
Il confronto
dell’efficacia dell’associazione ezetimibe (10 mg)/simvastatina
(a diversi dosaggi) rispetto alla monoterapia con atorvastatina
a dosaggi corrispondenti effettuato su 788 pazienti ha
documentato a tutti i dosaggi coma la combinazione sia più
efficace nel ridurre il C-LDL rispetto alla monoterapia con
atorvastatina .
Tra i numerosi studi
in corso con end-point clinici, lo studio ENHANCE, ha lo scopo
di valutare l’effetto dell’ezetimibe sulle lesioni vascolari,
tramite valutazione della regressione dello spessore
medio-intimale carotideo in 725 pazienti con ipercolesterolemia
familiare eterozigote trattati con simvastatina 80 mg/ ezetimibe
10 mg o placebo.
Lo studio SEAS
prevede il coinvolgimento di 1400 pazienti ad elevato rischio
coronarico (stenosi aortica asintomatica), trattati con
simvastatina 40 mg/ezetimibe 10 mg o placebo, per esaminare la
progressione della stenosi e soprattutto la prevenzione degli
eventi cardiovascolari.
Uno studio condotto
in pazienti con insufficienza renale cronica (ad alto rischio di
complicanze cardiovascolari) ha confermato il vantaggio di una
terapia combinata simvastatina 20 mg/ezetimibe 10 mg nella
riduzione delle LDL, ed è stato propedeutico per lo studio SHARP,
in pazienti nefropatici cronici trattati con le stesse modalità,
per valutare l'effetto della combinazione ezetimibe-simvastatina
nei confronti di eventi cerebro- e cardiovascolari maggiori.
Nello studio
IMPROVE-IT si confronterà l’efficacia dell’associazione
ezetimibe 10 mg/simvastatina 40 mg rispetto alla monoterapia con
simvastatina 40 mg, in 10.000 pazienti con sindrome coronarica
acuta, nel ridurre morte, infarto del miocardio e
riospedalizzazione per sindrome coronarica acuta o
rivascolarizzazione.
Infine,
l’associazione ezetimibe/simvastatina è stata contemplata anche
in un braccio dello studio COURAGE, effettuato in pazienti con
ischemia miocardica e patologia coronarica conclamata, per
valutare il potenziale effetto benefico su morte ed infarto
miocardico da parte di un intervento di stent coronarico in
aggiunta a diversi trattamenti farmacologici.
Riassumendo, alla
luce di queste evidenze cliniche e sperimentali, ne consegue
come la combinazione di farmaci con meccanismi complementari,
ovvero la “doppia inibizione”, rappresenti l’approccio
terapeutico innovativo ed ottimale per il controllo dell’ipercolesterolemia
in pazienti ad alto rischio cardiovascolare.
