Nel “labirinto” del Rischio Cardiovascolare
Vincenzo
Capuano,
Teodora D’Arminio, Giuseppe La Sala, Giuseppe Vecchio, Matteo
Sonderegger, Sergio Torre, Giuseppe Di Maso, Giuseppe Di Mauro,
Liberata Ricciardi,
Vincenzo
D’Antonio, Fabio Franculli.
Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale Amico “G. Fucito”
Mercato San Severino – ASL SA 2.
I fattori di rischio delle malattie cardiovascolari sono ben
noti così come sono validate le strategie di prevenzione, ma,
nonostante causa e rimedi sono chiari, ancora troppo spesso
esistono motivi che generano dubbi ed, a volte, il pianeta della
prevenzione cardiovascolare può apparire come un “labirinto”.
In questo articolo esaminiamo le problematiche che possono
generare confusione, proponendo
una serie di cause che sicuramente contribuiscono a non rendere
sempre chiari i rapporti tra causa, effetto e modalità di
interventi (si veda tabella 1):
a)
I fattori di rischio cardiovascolare
b)
Identificazione dei soggetti ad alto rischio e le modalità di
intervento
c)
Pressioni “esterne” che influenzano i trattamenti
I fattori di
rischio cardiovascolare
In letteratura sono descritti numerosi fattori in grado di
incidere sulla formazione ed evoluzione dell’aterosclerosi. Non
sempre il medico, però, riesce a discernere tra i fattori da
considerare nella pratica clinica e quelli da seguire con
attenzione, ma nell’ambito della ricerca.
A volte si rischia di dare maggior peso a nuove variabili,
segnalate dalla recente letteratura, rispetto ai fattori di
rischio classici, la cui correlazione con gli eventi
cardiovascolari è ampiamente documentata.
Inoltre, con gli anni, il peso dei singoli fattori di rischio
nella popolazione si modifica (migliorano le conoscenze e
cambiano le prevalenze nella popolazione) e non siamo sempre
pronti a modificare le nostre strategie di intervento.
Ricordiamo che perché si possa parlare di fattore di rischio la
variabile considerata deve avere le seguenti caratteristiche:
- “Consistenza” degli studi prospettici
-
Forza dell’associazione
-
Indipendenza dell’associazione
-
Incremento del valore predittivo
-
“Plausibilità” biologica
Se il fattore in esame soddisfa tali condizioni affinché si
possa utilizzare nella pratica clinica è indispensabile che
coesistano altre condizioni:
-
Misura standardizzata
-
Bassa variabilità
-
Alta riproducibilità
-
Basso costo
-
Possibilità di modificarlo
Tabella 1
Motivi che
possono generare confusione nella pratica della prevenzione
cardiovascolare .
1)
I
classici fattori di rischio non sono sufficienti a
spiegare tutti gli eventi cardiovascolari.
2)
Alcune variabili ritenute fattori di rischio sono
probabilmente solo dei marker di rischio.
3)
Con
gli anni il peso dei singoli fattori di rischio nella
popolazione si modifica (migliorano le conoscenze e
cambiano le prevalenze nella popolazione) e noi non
siamo sempre pronti a modificare le nostre strategie
intervento.
4)
Abbiamo imparato ad identificare i pazienti ad alto
rischio, ma la maggior parte degli eventi avviene nella
popolazione a medio-basso rischio
5)
La
spesa dei nostri interventi a parità di efficacia ha una
variabilità molto ampia nei costi e non siamo abituati a
ricercare strategie a basso costo.
6)
Il
medico è abituato a ragionare in termini di paziente
singolo e non di popolazione e scarse risorse sono
destinate ad interventi di popolazione.
7)
La
ricerca fornisce dei target diversi in presenza di
copatologie diverse.
8)
La
ricerca è affidata quasi esclusivamente alle industrie
farmaceutiche.
9)
L’azione dei mass media ha come finalità troppo spesso
la notizia che fa scalpore e non l’informazione idonea a
garantire comportamenti ottimali.
|
La ricerca segnala frequentemente la scoperta di “nuovi” fattori
di rischio che sembrano in grado di dare un contributo più o
meno importante al calcolo del rischio cardiovascolare globale
quando associati ai fattori di rischio classici.
Spesso, però,
dopo i primi entusiasmi, questi fattori sembrano perdere la loro
importanza, tanto è vero che la maggior parte delle carte del
rischio prendono in considerazione sempre gli stessi fattori
(ipercolesterolemia, diabete, fumo, ipertensione arteriosa,
sesso, età). Certo implementare le carte con nuove variabili
potrebbe essere cosa utile, ma le “mode” non fanno altro che
distogliere l’attenzione dai fattori di rischio classici che
sicuramente sono un momento “certo” nella valutazione del
rischio del paziente.
Altre
variabili, che hanno ampiamente dimostrato di migliorare la
stratificazione prognostica sembrano essere solo dei marker di
rischio cardiovascolare e non dei veri e propri fattori di
ischio. Per esempio numerosi marker di infiammazione (1-3) ed in
particolare la PCR (4,5) sono in grado di stratificare la
popolazione rispetto al rischio cardiovascolare, sia in
prevenzione primaria che secondaria. Tra l’altro, non esistono,
ad oggi, interventi farmacologici specifici nei confronti di
tali molecole, che abbiano dimostrato di poter ridurre il
rischio di futuri eventi cardiovascolari.
Inoltre, è da
considerare, che la ricerca sta segnalando, sempre più spesso,
target differenti in presenza di co-patologie diverse. Tale
orientamento se ottimizza l’intervento nel singolo paziente può
far abbassare l’attenzione rispetto ai target fondamentali.
Individuazione dei soggetti ad alto rischio e le modalità di
intervento
Numerosi sono
i problemi da affrontare nel momento in cui si vuole attuare un
reale programma di prevenzione che sia incisivo nel proprio
territorio d’azione. Ne elenchiamo e discutiamo brevemente
alcuni:
1.
Il medico è abituato a ragionare in termini di paziente singolo
e non di popolazione e scarse risorse sono destinate ad
interventi di popolazione. Il medico è sempre più impegnato
nella diagnosi e cura e non è dedito a perseguire specifici
programmi di prevenzione, non solo mirati a tutta la popolazione
generale, ma anche all’alto rischio.
2.
I costi degli interventi, a parità di efficacia, hanno una
variabilità molto ampia e non siamo abituati a ricercare
strategie al costo più basso. Viceversa il vero costo della
prevenzione è quello che avremmo potuto fare impegnando le
stesse risorse, ma con programmi di intervento diversi. Sempre
nell’ottica di ottimizzare la spesa degli interventi il futuro
dovrà necessariamente vedere la ricerca sempre più impegnata
nella farmaco-genetica (6).
3.
Un altro problema, di importanza fondamentale, che determina
difficoltà negli interventi di prevenzione è legato al fatto che
mentre il cardiologo ha imparato ad identificare i pazienti ad
alto rischio, la maggior parte degli eventi avviene nella
popolazione a medio-basso rischio. La popolazione ad alto
rischio, infatti, è quella che, in termini percentuali, vede una
maggiore incidenza di eventi, mentre in termini assoluti, la
maggioranza degli eventi cardiovascolari, avviene nella
popolazione a rischio medio-basso, in quanto questa fascia di
popolazione è notevolmente più numerosa (7).
Pressioni
“esterne” che influenzano i trattamenti
Le pressioni, esterne al mondo medico, che contribuiscono a
generare confusione sono molteplici e sicuramente influiscono
sui tempi e sulle modalità degli interventi di prevenzione
cardiovascolare. Ci sembra opportuno segnalarne almeno due:
-
L’informazione alla popolazione, da parte degli organi di
stampa e delle televisioni, spesso non avviene in modo corretto.
Frequentemente vengono riportate notizie incomplete e/o
inesatte. C’è la continua ricerca di notizie che fanno scalpore
e non di quelle più idonee a favorire uno stile di vita
corretto. Questo genera confusione e spesso la convinzione che
non esiste uno stile di vita ottimale, ma più stili di vita
possibili.
-
Le case farmaceutiche, sempre più indispensabili per la
ricerca, tendono però a raccogliere, analizzare, interpretare e
presentare dati sempre finalizzati alla commercializzazione del
farmaco non tenendo nel giusto conto la possibilità di
interventi alternativi e dei costi degli interventi stessi.
Conclusioni
Esistono numerose condizioni che possono generare dubbi sulle
idonee strategie da adottare nel campo della prevenzione
cardiovascolare.
Un intervento equilibrato è però possibile e dovrebbe tenere in
considerazione i seguenti punti:
-
modificare le strategie consolidate (linee guida delle
società scientifiche) solo alla luce di trial clinici ben
condotti (medicina basata sull’evidenza)
-
considerare ed ottimizzare sempre i costi degli
interventi
-
abituarsi a ragionare anche in termini di popolazione e
non solo del singolo paziente.
In questo modo il campo della prevenzione ci apparirà,
probabilmente, più che un labirinto, un puzzle, da rimodellare
nel tempo, ma dove i singoli fattori di rischio, gli interventi
razionali, le strategie mirate, quando collocati al posto giusto
offrono disegni di strategie per interventi ottimali.
Bibliografia
1.
Capuano V, Lamaida N, De Martino M, Mazzotta G: Association
between white blood cell count and risk factors of coronary
artery disease. G Ital Cardiol 1995; 25: 1145-52
2.
Libby P, Ridker PM. Novel inflammatory markers of coronary risk,
theory versus practice.
Circulation 1999; 100: 1148-1150
3.
Capuano V, D’Arminio T, La Sala G, Mazzotta G : The third
component of the complement (C3) is a marker of the risk of
atherogenesis. Eur J of Cardiov Prevention and Rehabilitation
2006, 13 :658-60
4.
Mendall MA, Strachan DP, Butland BK, et al. C-reactive
protein: relation to total mortality, cardiovascular mortality
and cardiovascular risk factors in men. Eur Heart J 2000; 21:
1584-1590
5.
Lagrand WK, Visser CA, Hermens WT, et al. C-Reactive
protein as a cardiovascular risk factor. More than an
epiphenomena? Circulation 1999; 6:96-10
6.
Weinshilboum RM, Wang L: Pharmacogenetics and
pharmacogenomics: development, science and translation. Annu Rev
Genomics Hum Genet, 2006; 7:223-45
7.
Raccomandazioni operative a conclusione della III
Conferenza nazionale sulla Prevenzione delle Malattie
Cardiovascolari. Ital Heart J 2004; 5 (suppl 8): 122S-135S.