L’OGGI E IL DOMANI DELLO STENT
MEDICATO
Francesco Bovenzi, Mauro Lazzari,
Roberto Lorenzoni
Andrea Boni, Cristina Gemignani
U.O. di Cardiologia, Ospedale
Campo di Marte, LUCCA
Gli stent a
rilascio di farmaco o “medicati” o DES (drug eluting stent)
hanno contribuito in modo sostanziale a modificare gli scenari
terapeutici in molti contesti clinici nell’ambito del variegato
panorama della cardiologia interventistica (1,2).
Questi nuovi stent, mediante un
rilascio graduale di farmaco limitano la cosiddetta restenosi,
il più delle volte dovuta ad un’iperplasia intimale all’interno
dello stent impiantato.
La restenosi
Il fenomeno della restenosi
coronarica è stato a lungo considerato come la più grande
limitazione delle procedure interventistiche percutanee.
L’incidenza è altamente variabile e si aggira dal 5% al 45% a
seconda delle caratteristiche anatomiche delle lesioni
coronariche e delle variabili cliniche dei pazienti trattati.
Generalmente l’incidenza di
restenosi è maggiore
·
nelle lesioni
lunghe
·
in vasi di piccolo
calibro
·
nelle occlusioni
·
in pazienti
diabetici
Mentre la rottura della placca
e la conseguente formazione di trombo sono i maggiori
responsabili delle stenosi de novo, la restenosi è dovuta
ad un progressivo restringimento del lume vasale, per la
crescita neointimale che rappresenta l’evoluzione di una
reazione infiammatoria della parete vasale all’impianto dello
stent. La restenosi, processo progressivo e graduale, è di rado
complicata da infarto miocardico o morte come nella storia
naturale dei pazienti con lesioni de novo. A conferma di
ciò, in molti trial clinici di confronto tra angioplastica e
by-pass, la morte ed il reinfarto erano identici tra i 2 gruppi,
ma le procedure interventistiche percutanee erano gravate da
un’elevata frequenza di restenosi che richiedeva una nuova
rivascolarizzazione rispetto all’intervento chirurgico.
Struttura di un DES
Lo stent medicato è una
piattaforma biotecnologica avanzata che consiste di 3 componenti
principali:
1)
stent con
caratteristiche ottimizzate per permettere di raggiungere
agevolmente il sito di lesione;
2)
una ricopertura
sintetica che veicola il farmaco e ne permette il rilascio alle
concentrazioni richieste e con una cinetica adeguata sulla
parete vasale;
3)
una sostanza
farmacologica che possiede proprietà specifiche capaci di
inibire la proliferazione neointimale.
Quindi, dal punto
di vista tecnico, questi nuovi stent non differiscono
sostanzialmente da quelli convenzionali, se non per il fatto che
tutte le maglie metalliche sono imbevute di peculiari farmaci,
dotati di spiccata attività antiproliferativa. Questo
accorgimento garantisce l’indubbio vantaggio di ottenere
un’elevata concentrazione locale del medicamento ed una
conseguente scarsità o assenza di effetti tossici sistemici.
Differenti tipi di sostanze,
capaci di inibire la proliferazione neointimale e quindi la
restenosi coronarica, sono state testate, incominciando da studi
su culture cellulari, per passare ai modelli animali ed infine
in studi clinici di fase I.
Dagli studi preclinici ai grandi
trial
I primi studi
preclinici su animali hanno ampiamente documentato l’efficacia e
la sicurezza degli stent medicati con favorevoli effetti
sull’inibizione dell’iperplasia neointimale.Successivamente
studi clinici osservazionali condotti sull’uomo, hanno valutato
l’efficacia e la sicurezza degli stent a rilascio di sirolimus
(1-6) e QP2, un taxano strutturalmente analogo al paclitaxel, il
cui utilizzo è stato
successivamente ridotto per l’elevata incidenza di trombosi
intrastent osservata in controlli angiografici più tardivi.
La migliorata biotecnologia degli
stent medicati e l’utilizzo di farmaci con diversi meccanismi
d’azione in grado di agire più selettivamente sulle cellule
muscolari lisce ed a dosaggio più basso, hanno permesso di
migliorare progressivamente i risultati anche a lungo termine.
Numerosi trial clinici randomizzati con stent medicati a
base di sirolimus (RAVEL, SIRIUS, E-SIRIUS, etc.) e paclitaxel
(TAXUS I-TAXUS VI, etc.), ne hanno dimostrato i benefici in
termini di restenosi ed eventi cardiovascolari a lungo termine
(1-6).
Implicazioni pratiche alla luce
dei dati disponibili
Il trionfale successo sulla
restenosi offerto dall’avvento degli stent medicati dovrebbe
portare ad una rivalutazione dell’intero campo della cardiologia
interventistica (1-6). La prima ovvia implicazione potrebbe
essere rappresentata dal fatto che un maggior numero di pazienti
candidati alla chirurgia potrebbe avvalersi vantaggiosamente di
un trattamento interventistico. Ad oggi mancano ancora dati
chiari circa alcuni sottogruppi di pazienti ad alto rischio come
i pazienti multivasali anche se i dati preliminari dei registri
(7-9) sembrano dare risultati favorevoli in termini di efficacia
e sicurezza anche in questa tipologia di pazienti. Altra
categoria di pazienti ad alto rischio sono i diabetici in cui
sembrava ormai appurato il vantaggio del bypass sulle procedure
interventistiche in termini di reinfarto e mortalità (10,11).
Altri scenari da valutare
sono l’infarto miocardico acuto e sottogruppi anatomici per cui
sono disponibili ancora pochi dati come le restenosi intrastent,
le lesioni sul tronco comune e le biforcazioni.
Tabella 1.
Maggiori limitazioni degli stent medicati.
Sicurezza |
Apposizione incompleta dello stent
con trombosi subacuta
·
Aneurismi
·
Restenosi al bordo dello stent
·
Alti dosaggi di farmaco con stent più larghi e/o
lunghi
·
Infiammazione tardiva
·
Tossicità sistemica
·
|
Efficacia |
Semplice riduzione di
rivascolarizzazione del vaso trattato e non di
mortalità o reIMA
·
Incidenza troppo elevata di restenosi nei gruppi
controllo dei trials
·
I
trials hanno valutato i DES in lesioni semplici e
pazienti non
·
complicati |
Costi
|
Troppo elevati per la sola riduzione di
restenosi |
In considerazione della
confusione generata dai diversi dati ottenuti dalla letteratura
e dall’ampio utilizzo in varie indicazioni dei DES, l’American
College of Cardiology e l’American Heart Association (6) hanno
formulato delle generiche indicazioni all’utilizzo degli stent
medicati ponendo come indicazione assoluta (classe I)
·
le lesioni lunghe
(15-30 mm e 2.5 e 3.5 mm di diametro) in presenza di una stenosi
> del 50% (livello di evidenza A)
·
pazienti diabetici
·
lesioni <15 mm di
lunghezza e diametro tra 2.5 e 3.5 mm (livello di evidenza B)
Limitazioni dei DES
Data la notevole
riduzione della restenosi osservata nei numerosi studi clinici
pubblicati, si è assistito ad un ampio e rapido utilizzo dei DES
negli Stati Uniti ed in Europa. Tuttavia ad oggi i pochi dati
pubblicati suggeriscono un cauto utilizzo degli stent medicati
nella pratica clinica (12,13).
I DES dovrebbe essere solo in quei sottogruppi di pazienti, come
i diabetici, che, con l’utilizzo di uno stent tradizionale,
andrebbero incontro ad una maggiore incidenza di restenosi ed
occlusione tardiva (12,13), nonché ad un’aumentata mortalità
(12,13). Di conseguenza l’importante riduzione del rischio
osservata in pazienti diabetici trattati con DES potrebbe
giustificare la spesa di uno stent medicato.
Su altri
sottogruppi di pazienti o lesioni coronariche non ci sono ancora
chiari profili di sicurezza di tali devices (Tabella 1).
Ulteriori grandi trial completati, ma non ancora pubblicati,
potrebbero nei prossimi anni cambiare questi criteri.
Di contro abbiamo anche imparato
che queste piattaforme non sono affatto inerti e possono causare
danni alla parete vasale (12,13) con un meccanismo di tossicità
dose-indipendente ed un effetto negativo legato a concentrazioni
troppo elevate o a rilascio prolungato del farmaco (Tabella 1).
Tutto ciò ha portato alcuni ricercatori (55), amministratori ed
economisti a frenare gli entusiasmi sugli stent a rilascio di
farmaco generati dalla comunità scientifica, anche in
considerazione delle elevate spese che sarebbero sostenute dal
sistema sanitario (12,13). Infatti i costi di sviluppo e di
ricerca, l’acquisizione di costose ed esclusive licenze dalle
ditte farmaceutiche, sono alcune delle ragioni degli alti costi
dei DES (12,13) che attualmente sono 2-4 volte più costosi degli
stent tradizionali. Alcuni autori ipotizzano che ciò comunque
non pesi sulla spesa sanitaria in quanto verrebbero ridotti di
pari passo i costi della rivascolarizzazione tramite nuove
procedure di angioplastica o by-pass (12,13). D’altro lato è
probabile che la competizione tra le ditte possa portare ad una
progressiva riduzione dei prezzi dei DES.
Le ombre dei DES: trombosi
subacuta e tardiva
E’ stato stimato che la trombosi
subacuta è presente in circa l’1-3% di tutte le procedure, ma
può essere più frequente in alcuni sottogruppi di pazienti ad
alto rischio o sottoposti a procedure complesse e/o multivasali
(14-16). Le conseguenze cliniche della trombosi dello stent sono
gravi registrandosi un’incidenza di infarto miocardico nel
60-70% dei casi ed una mortalità fino al 20-25%.
Limitata al primo mese
dall’impianto dello stent la trombosi subacuta presenta una
fisiopatologia non completamente chiarita, anche se in questo
evento sono verosimilmente coinvolti i seguenti fattori:
a) trombogenicità dello stent:
può dipendere dalle caratteristiche della lega metallica, dal
design,
dal rivestimento della
superficie e della lunghezza.
b) quadro clinico del paziente
(sindrome coronarica acuta, diabete, insufficienza renale)
c) caratteristica della placca,
aggregazione piastrinica, flusso coronarico e frazione
d’eiezione del
ventricolo sinistro.
c) tecnica procedurale ed
elementi anatomici: vasi coronarici di piccolo calibro, stent
non espanso
completamente, dissezione
coronarica residua, trombosi intrastent, stents sovrapposti.
Nella pratica clinica sono
osservati casi di trombosi tardiva dello stent medicato fino ad
oltre un anno dall’impianto, quando generalmente viene sospeso
uno dei due antiaggreganti piastrinici (aspririna - cloprigel).
In realtà dagli studi
randomizzati RAVEL, SIRIUS, C-SIRIUS, E-SIRIUS e TAXUS che
comprendono oltre 3000 pazienti non risulta un incremento di
trombosi subacuta tra gli stent medicati e gli stents metallici
di controllo: l’incidenza di trombosi a 8 mesi di follow-up è
risultata sovrapponibile nei 2 gruppi con un’incidenza compresa
tra 0,6-0,8%.
Le nuove ombre dei DES: utilizzo
nell’infarto acuto del miocardio
Il TYPHOON (Trial to Assess the
Use of the CYPHer Stent in Acute Myocardial Infarction Treated
with BallOON Angioplasty) (17) ed il PASSION (PAclitaxel-Eluting
Stent versuS ConventIONal Stent for STEMI) (18) sono 2 trials
che hanno messo a confronto stent metallici con stent medicati
(sirolimus nel TYPHOON, paclitaxel nel PASSION) in pazienti con
infarto miocardico acuto.
Nei 712 pazienti arruolati nello
studio TYPHOON, l’end-point composito definito come ‘target
vassel failure’ (infarto miocardio + morte improvvisa +
rivascolarizzazione della lesione colpevole) è risultato meno
frequente nel gruppo stent medicato rispetto al gruppo stent
metallico (7,3% versus 14,3%, p<0,0036). Anche gli eventi
cardiaci maggiori sono risultati meno frequenti nel gruppo stent
medicato che nel gruppo stent metallico (5,9% versus 14,6%, p <
0,001).
Al contrario, nei 619 pazienti
ammessi allo studio PASSION, lo stent medicato con paclitaxel
non ha mostrato differenze significative, rispetto agli stent
metallici, sia in termini di rivascolarizzazioni della lesione
colpevole (6,2 versus 7,4%; p=0,23), sia in termini di eventi
cardiaci avversi maggiori (8,7 versus 12,6%; p=0,12). Da notare
che per “rivascolarizzazione della lesione colpevole” si
intendeva un pool composito di: rivascolarizzazione percutanea
oppure chirurgica della lesione colpevole.
Varie ragioni possono spiegare i
risultati discordanti dei 2 studi. Un dato importante è stato
che l’incidenza di eventi cardiaci maggiori nel gruppo
randomizzati allo stent metallico nello studio TYPHOON è stata
molto superiore a quella nel gruppo trattato con stent metallico
nello studio PASSION. Una possibile ragione sta nel fatto che il
TYPHOON ha confrontato lo stent medicato con qualsiasi tipo di
stent metallico disponibile in sala di emodinamica, mentre lo
studio PASSION ha confrontato lo stent medicato con il suo
preciso corrispettivo non medicato. In altre parole, lo stent
medicato si sarebbe scontrato con un avversario più “debole”
nell’ambito dello studio TYPHOON, e più “forte” nell’ambito
dello studio PASSION.
Inoltre, lo studio PASSION ha
incluso anche i pazienti con malattia del tronco comune e con
malattia a livello delle biforcazioni, ed anche pazienti nonché
con massivi trombi intracoronarici, mentre il TYPHOON ha escluso
questo tipo di pazienti. Da non trascurare, l’intervallo fra
l’insorgenza dei sintomi e la procedura di rivascolarizzazione è
stato leggermente maggiore nello studio TYPHOON.
In ogni caso, il tasso di
rivascolarizzazione della lesione colpevole nei gruppi
randomizzati agli stent medicati di entrambi gli studi è
risultato non dissimile. Pertanto, dal complesso di questi dati
non è possibile affermare con certezza che un certo tipo di
stent medicato sia preferibile ad un altro tipo di stent
medicato in pazienti con infarto miocardico acuto.
Le vecchie ombre dei DES:
rapporto costo/efficacia
Il trial BASKET
ha valutato il rapporto
costo-beneficio degli stent medicati versus gli
stent tradizionali in una popolazione non selezionata di
pazienti trattati nella pratica clinica quotidiana (19).
Lo studio ha
incluso 826 pazienti consecutivi, di cui il 22% con infarto
miocardico acuto ad ST sopraslivellato, il 36% con sindromi
coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST, il 42%
con angina cronica stabile e il 69% con coronaropatia trivasale,
trattati con angioplastica e stenting coronarico per un totale
di 1281 lesioni de novo. Tali pazienti sono stati randomizzati a
due differenti stent medicati (Cypher o Taxus) o ad uno stent
non medicato cromo-cobalto e seguiti per 6 mesi per l’analisi di
eventi cardiaci avversi e costi. L’incidenza totale di eventi
cardiaci avversi (mortalità per cause cardiache, infarto
miocardico o rivascolarizzazione del vaso trattato) è risultata
essere pari al 7.2% nei pazienti trattati con stent medicato e
del 12.1% in quelli trattati con stent tradizionale (odds ratio
0.56, 95% CI 0.35-0.91; p<0.02), senza differenze significative
tra i due diversi stent medicati impiantati. I costi totali a 6
mesi erano maggiori per i pazienti trattati con stent medicato
($ 13619 ± 8847 vs $ 12450 ± 11711 nei pazienti con stent non
medicato, p<0.001). Il rapporto costo-efficacia dello stent
medicato vs stent tradizionale al fine di prevenire un evento
avverso maggiore era pari a $ 23860 senza differenze
significative tra i due stent medicati. L’analisi dei
sottogruppi ha però dimostrato che questo rapporto era al di
sotto della soglia dei $10000 per i pazienti ad alto rischio con
malattia coronarica trivasale, pazienti con lesioni lunghe o dei
piccoli vasi o pazienti con età superiore ai 65 anni. Nel “mondo
reale” quindi, l’utilizzo indiscriminato di stent medicati
appare non presentare un rapporto costo-beneficio superiore agli
stent non medicati. Comunque, il loro utilizzo sembra essere
conveniente solo in alcuni sottogruppi di pazienti ad alto
rischio, almeno sino a che i costi degli stent medicati non
saranno ridotti significativamente. E’ d’uopo specificare che
gli stent non medicati utilizzati in questo trial siano
mediamente più costosi rispetto ad altri stent convenzionali, e
ciò potrebbe inficiare l’analisi dei costi rispetto all’utilizzo
routinario di stent medicati.
Conclusioni
Ad oggi, gli stent medicati
rappresentano la nuova rivoluzione nel campo della cardiologia
interventistica. I costi ancora elevati e la mancanza di dati su
larga scala impongono di razionalizzarne l’utilizzo in
considerazione del tipo di lesione e delle caratteristiche del
paziente da trattare. Problemi di sucurezza legati ad un
presente, se pur non importante, tasso di occlusione trombotica
e problemi di efficienza legati al tasso di restenosi non del
tutto abbattuto sono causa di alcune ombre ancora irrisolte
nell’utilizzo dei DES,. La competizione tra le industrie
produttrici e i nuovi farmaci (everolimis, tacrolimus,
zotarolimus, biolimus etc) ed una maggiore comprensione dei
problemi, del ruolo dei pomimeri, favorirà probabilmente
l’utilizzo più selettivo e mirato di questi devices nei
laboratori di emodinamica con le necessarie e ancor oggi
trascurate conoscenze tecniche dell’impianto più corretto.
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