L’ Oggi e domani dello stent non medicato
Cesare Baldi
S.C. di
Cardiologia
Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia
A.O.” S.
Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” - SALERNO
Gli stent a rilascio di farmaco (Drug Eluting Stents:
DES)
hanno rappresentato, fin dalla prima metà del 2002, una risposta
assai promettente al problema centrale che era emerso nella
attività quotidiana di interventistica coronarica: la
restenosi da iperplasia
neointimale
che, pur tra le varie categorie di pazienti sottoposti a
procedure di impianto di stent metallici convenzionali (Bare
Metal Stents: BMS),
non era stato possibile comprimere al di sotto di valori
oscillanti tra il 15% ed il 30%. Comunque, a differenza dei
pazienti con lesioni de novo in cui la improvvisa rottura di una
placca vulnerabile e la formazione impredicibile di trombo
costituiscono il substrato della forte instabilità clinica, i
pazienti portatori di stent, che sviluppano un processo di
restenosi significativa, possono sperimentare un quadro di
angina instabile che appare piuttosto correlato alla rapida
progressione della riduzione del lume sostenuto dalla
sproporzionata crescita della iperplasia neointimale. Pertanto
la restenosi, pur responsabile di un ricorso a
riospedalizzazione finalizzato alla rivascolarizzazione della
lesione target (Target Lesion Revascularization: TLR), è
raramente complicata da eventi come la morte e l’infarto
miocardico come invece accade nella storia naturale dei pazienti
con angina instabile da lesioni de novo; inoltre, è improbabile
che una sua riduzione, per quanto rilevante, possa avere un
impatto diretto sulla incidenza di questi due end point forti.
Il clima di euforia che si è rapidamente sviluppato intorno ai
DES ne ha determinato la progressiva ed inesorabile
penetrazione sul mercato fino a coprire una fetta negli USA non
< 80%. E’ stato inevitabile che in questo contesto venisse
riservata assai scarsa attenzione ai risultati dell’ISAR
STEREO-2 trial che aveva confrontato l’outcome a distanza in
termini di restenosi angiografica e di restenosi clinica di
pazienti sottoposti all’impianto di due diverse tipologie di BMS,
uno innovativo a strut sottile ed uno tradizionale a strut
spesso (il BX Velocity, lo stesso utilizzato nel braccio di
controllo dello studio RAVEL) e che aveva dimostrato la
riduzione significativa dell’end point primario dal 31.4% nel
gruppo a strut spesso al 17.9% del gruppo a strut sottile. Sono
ormai maturi i tempi per elaborare una valutazione più ampia,
meno condizionata dalla euforia dei risultati di abbattimento
totale della restenosi prodotti dai primi trial di
sperimentazione dei DES vs i BMS e più ancorata agli strumenti
disponibili di interpretazione della evidenza scientifica ed
alle segnalazioni provenienti dal “mondo reale” in cui questi
differenti dispositivi nella fase di postmarketing si sono
venuti a confrontare.
In questa prospettiva può essere interessante provare a
rispondere ai seguenti quesiti:
Esistono solo svantaggi
nell’impianto di stent non medicati?
Gli stent non medicati
sono tutti uguali? I BMS di terza generazione
Un problema emergente per
i DES (ed un punto di vantaggio per i BMS): la trombosi a
distanza
Confronto tra DES e BMS di
terza generazione (con follow up prolungato): una nuova
prospettiva di giudizio
Proviamo a riformulare le
“nuove” indicazioni all’uso dei DES (e gli spazi per un impiego
sostenibile dei BMS)
Esistono solo svantaggi
nell’impianto di stent non medicati?
Babapulle ha condotto una
completa metanalisi di tutti gli studi randomizzati controllati
che hanno utilizzato i DES nei confronti dei rispettivi BMS allo
scopo di valutare più accuratamente i loro effetti in termini di
eventi clinici, di incidenza di restenosi e di sicurezza: sono
stati identificati, con una rigorosa metodologia di
interrogazione della letteratura scientifica, 11 trial eligibili
che hanno coinvolto globalmente 5103 pazienti. Le indicazioni
emerse dalla metanalisi sono andati in due direzioni principali:
non è stata documentata alcuna evidenza che i DES abbiano un
qualche effetto positivo sulla incidenza di morte e di infarto
miocardico nei confronti dei BMS; la restenosi al follow up
angiografico è risultata significativamente più bassa nei DES
che nei BMS con conseguente riduzione del ricorso alla TLR e
degli eventi cardiaci maggiori. In altre parole, la sostanziale
riduzione degli eventi clinici, responsabile del clima di
euforia che ha innescato il consumo preponderante, in alcuni
laboratori addirittura esclusivo, dei DES, risulta imputabile
solo alle differenze in termini di TLR tra DES e BMS. Peraltro è
doveroso ricordare che il significato clinico di queste
procedure di rivascolarizzazione rimane almeno poco chiaro dal
momento che il controllo angiografico non è stato motivato da
condizioni cliniche ma da esigenze di protocollo che,
inevitabilmente, per una sorta di “riflesso oculo-stenotico”,
hanno indotto gli operatori ad effettuare una nuova
rivascolarizzazione anche in lesioni di moderata entità e di
valore emodinamico e prognostico almeno incerto.
Gli stent non medicati
sono tutti uguali? I BMS di terza generazione
Negli ultimi anni sono stati
disponibili sul mercato BMS di nuova concezione (BMS di
terza generazione) con caratteristiche di disegno
avanzate in grado di garantire un reale miglioramento della loro
performance rispetto ai precedenti BMS: le caratteristiche
tecniche responsabili della migliore performance procedurale
sono i nuovi componenti della lega metallica con la introduzione
del cobalto, il profilo di attraversamento ridotto, lo spessore
più sottile degli strut, flessibilità e conformabilità alla
tortuosità del vaso più competitive, struttura delle celle
innovativa con più agevole accesso ai side branch. Alcune di
queste caratteristiche hanno influenzato in maniera favorevole
la riduzione della restenosi a distanza tanto da giustificare
nell’ISAR STEREO e nell’ISAR STEREO-2 un ridimensionamento della
restenosi angiografica dell’ordine del 40% negli stent a strut
sottile rispetto agli stent a strut spesso. In altre parole, la
migliore performance dei BMS di terza generazione ha decretato
l’implicito superamento delle indicazioni di assoluta e totale
superiorità dei DES che emergevano dal confronto con BMS di
seconda generazione. A questo proposito, Pache ha costruito uno
studio randomizzato in cui 500 pazienti affetti da angina
stabile cronica o da angina instabile sono stati sottoposti o
all’impianto di un DES a rilascio di sirolimus o all’impianto di
un BMS a strut sottili (BeStent-2 con spessore di strut pari a
76 micron): i DES hanno mostrato valori di restenosi e di TLR
inferiori ai BMS a strut sottile (8 vs 26% e 7vs 19%,
rispettivamente), ma queste differenze significative sono
risultate confinate esclusivamente ai piccoli vasi dal momento
che nei vasi di diametro superiore ai 2.8 mm questi parametri
risultavano simili.
Un problema emergente per
i DES (ed un punto di vantaggio per i BMS): la trombosi a
distanza
Dall’epoca assolutamente recente
dell’impiego estensivo dei DES, se è indubitabile che il
problema della restenosi sembra praticamente risolto,
non è possibile altrimenti negare che il problema della
trombosi sembra in qualche modo riemergere. I maggiori
studi randomizzati che hanno valutato lo stent Cypher e lo stent
Taxus in pazienti con lesioni de novo con i corrispondenti stent
in metallo non hanno mai evidenziato differenze significative
nella incidenza di trombosi a svantaggio dello stent medicato.
Questa evidenza va reinterpretata alla luce di due fondamentali
limitazioni. In primo luogo nessuno studio randomizzato sinora
effettuato con stent medicati ha mostrato una potenza statistica
sufficiente a documentare una differenza significativa nella
incidenza di trombosi dopo l’impianto stent; in secondo luogo,
la diagnosi di trombosi dopo l’impianto stent è stata quasi
sempre effettuata con un livello non irrilevante di sottostima
in quanto tale diagnosi richiede una documentazione angiografica
dell’evento. Più appropriatamente, la diagnosi attuale di
trombosi di DES (distinta in subacuta se occorsa
dopo la fine della procedura fino a 30 giorni e tardiva
se occorsa dopo i 30 giorni dalla procedura) va allargata ad una
finestra cronologica molto più ampia di quella necessaria per
individuare la trombosi di BMS: se la trombosi è molto tardiva
(ed esistono segnalazioni di casi verificatisi a distanza anche
> 12 mesi dall’impianto del DES) l’evento tende a realizzarsi in
un contesto in cui il livello di vigilanza è notevolmente
diminuito e l’accesso ad un laboratorio di Emodinamica avviene
solo se si riesce a confermare una diagnosi di infarto
miocardico acuto in atto; inoltre, la trombosi può presentarsi
anche in forma di morte improvvisa per la quale una diagnosi di
certezza è impossibile in assenza di riscontro autoptico, ma una
diagnosi di presunzione è fortemente sostenibile. Con questa
nuova prospettiva di giudizio, la mancanza di differenze
statisticamente significative nella incidenza di trombosi nei
pazienti trattati con stent metallico nei confronti del DES
(0.6% vs 1.1% nel caso del Cypher e 0.8% vs 1.3% nel caso del
Taxus, rispettivamente) va reinterpretata in relazione ai
criteri di definizione della trombosi tardiva ed in relazione
alla lunghezza del follow up. Infatti i trend temporali della
trombosi nelle due categorie di stent lasciano emergere che i
BMS non fanno più registrare eventi dopo i primi 6 mesi mentre
invece entrambi i DES continuano a manifestare nuovi eventi
trombotici anche dopo un anno. Peraltro, questo comportamento,
scandito da nuovi eventi trombotici anche a distanza lunga
dall’impianto del DES, è facilmente spiegabile con il carattere
bidirezionale della distorsione del processo di cicatrizzazione
che, nel caso dei BMS, produce problemi (restenosi e eventi
acuti da trombosi all’interno di restenosi esuberanti) per un
eccesso di iperplasia neointimale e che, nel caso dei DES,
produce problemi per un fenomeno di incompleta copertura delle
pareti dello stent da parte dello strato neointimale e quindi
per un sostanziale difetto di crescita delle neointima. Per
quanto la dimensione del problema trombosi tardiva post impianto
DES possa essere considerata poco rilevante per i valori di
incidenza contenuti, nelle stime di cui disponiamo, al disotto
del 2%, non è possibile nascondersi che la restenosi (vantaggio
del DES vs il BMS) può riportare il paziente in ospedale
per una nuova procedura di rivascolarizzazione ma raramente per
una sindrome coronarica acuta mentre la trombosi (svantaggio
del DES vs il BMS) può avere conseguenze catastrofiche
per il paziente dal momento che provoca, in quasi il 50% dei
casi, morte improvvisa o infarto miocardico acuto.
Confronto tra DES e BMS di
terza generazione (con follow up prolungato): una nuova
prospettiva di giudizio
Un bilancio moderno sull’attuale
impiego dei DES non può tenere esclusivamente conto del dato
consolidato della riduzione significativa della restenosi ma
deve aprirsi a considerare sia le implicazioni connesse al più
alto costo dei DES sia lo spazio occupato dalle caratteristiche
innovative e competitive dei BMS sia, infine, l’impatto
crescente della trombosi a distanza dei DES. Per rispondere a
questa nuova domanda, lo studio BASKET, elaborato dal gruppo di
Pfisterer della Università di Basilea, ha utilizzato lo
strumento del calcolo della costo-efficacia in 826 pazienti
consecutivi destinati ad effettuare una procedura di PTCA,
randomizzati in un braccio di trattamento con uno dei due DES
(264 Cypher e 281 Taxus) ed in un braccio di trattamento con un
BMS in lega di cobalto-cromo (Vision, Guidant). I pazienti sono
stati seguiti per 6 mesi, periodo di follow up al termine del
quale sono stati calcolati gli eventi cardiaci maggiori (morte
cardiaca, infarto miocardio e TLR; Major Adverse Cardiac Events:
MACE ), i costi e la efficacia definita in termini di riduzione
dei MACE. L’impiego dei DES, nei confronti dei BMS, ha ridotto
la incidenza dei MACE nell’ordine del 44%, principalmente ad
opera di una più bassa incidenza di TLR senza significative
modifiche né di morte cardiaca, né di infarto miocardico né,
infine, di ospedalizzazioni per sindrome coronarica acuta. I
costi nei pazienti sottoposti all’impianto di DES risultarono
significativamente più alti che nei pazienti sottoposti
all’impianto di BMS (con una media di € 1702 per paziente),
laddove invece i costi legati all’iniziale ospedalizzazione ed
alle successive ospedalizzazioni del follow up risultarono
relativamente più bassi (per una media di € 312 per i DES
rispetto ai BMS) ma soprattutto senza mostrare differenze
statisticamente significative. Le conclusioni del BASKET trial
sono di due tipi: in primo luogo che, per entrambi i DES,
l’incremento del rapporto costo-efficacia per i DES verso i BMS
è prossimo alla somma di € 20000 per evitare un MACE per
paziente, in secondo luogo che questa somma non si distribuisce
in maniera uniforme all’interno della intera popolazione ma
tende a ridursi fino, in casi particolari, a realizzare un reale
risparmio, in alcuni sottogruppi di pazienti ad alto rischio
identificati nei pazienti più anziani (> 65 anni), in quelli con
malattia trivasale, nei segmenti multipli, nelle lesioni lunghe
(> 20 mm) e nei vasi piccoli (< 2.5 mm). Pertanto, secondo il
gruppo di Basilea, sembra ragionevole restringere l’uso dei DES
esclusivamente ad alcune categorie di pazienti ad alto rischio,
almeno fino a quando i prezzi dei DES non saranno ridotti in
maniera consistente. Questo suggerimento si è ulteriormente
rafforzato in occasione della presentazione dei dati del
BASKET-LATE, all’ultimo congresso dell’ ACC nel marzo 2006, che
si riferiscono al prolungamento del follow up per altri 12 mesi
nei 746 pazienti del BASKET che nei primi 6 mesi dello studio
non avevano sviluppato alcun MACE. Non senza sorpresa, questo
supplemento di controllo, sia pure all’interno di una
popolazione selezionata, non ha mostrato alcuna differenza
significativa in termini di MACE tra pazienti sottoposti a DES
nei confronti dei pazienti con BMS, mentre ha documentato una
incidenza maggiore di infarto miocardico non fatale e di morte
cardiaca tra i pazienti trattati con DES ed una incidenza
maggiore di TLR tra i pazienti con BMS: in altri termini,
l’impiego di DES per 100 pazienti può evitare 5
rivascolarizzazioni ma al prezzo di tre eventi del tipo IM
nonfatale/morte da trombosi tardiva!
Proviamo a riformulare le
“nuove” indicazioni all’uso dei DES (e gli spazi per un impiego
sostenibile dei BMS)
Come in tutte le cose che
sembrano troppo buone per essere vere, sta emergendo anche per
l’impiego clinico dei DES un atteggiamento di sano realismo: il
nucleo del beneficio dei DES nei confronti dei BMS è
rappresentato solo dalla riduzione delle TLR, beneficio peraltro
amplificato dal riflesso oculostenotico che sistematicamente si
associa alla regola del follow up angiografico. In questo
contesto, caratterizzato da un beneficio che non si converte in
una riduzione significativa di morte e di reinfarto non fatale,
per pazienti selezionati, come quelli che non possono tollerare
per una concomitante patologia gastrointestinale o non sono
nelle condizioni di prolungare, per un programma di chirurgia
maggiore a breve-medio termine, il doppio regime antiaggregante,
o ancora per i pazienti non diabetici con lesioni a carico di
vasi di diametro > 3 mm, è doveroso ricalcolare il bilancio tra
il beneficio assoluto in termini di ridotta TLR, stimabile tra
il 10% e il 15% ed il rischio assoluto della trombosi tardiva,
stimabile tra l’0.5% ed il 2%, ma con un significato clinico
molto più pesante dal momento che la trombosi tardiva si
accompagna ad un apercuentale che sfiora il 50% di mortalità.
Come è accaduto in molti altri progressi della medicina clinica,
la iniziale esuberanza ha aperto la strada alla riconsiderazione
delle indicazioni non altrettanto trionfalistiche provenienti
dal “mondo reale”: la questione aperta sul terreno del dibattito
è ora superare la euforia della “cura” della restenosi e
affrontare il problema dell’uso “razionale” dei DES. E, nel
dibattito che coniughi efficacia e sicurezza, oltre a nuovi
regimi antiaggreganti meno tossici, a nuovi polimeri
riassobibili ed a nuove sostanze antinfiammatorie, sicuramente i
BMS di terza generazione, e la ricerca che ne supporta la
ulteriore evoluzione ed innovazione, occupano uno spazio
determinante.
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