QUELLO CHE MEDICI E PAZIENTI DEVONO SAPERE DELLA CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA.

Roberto Violini
U.O. di Cardiologia Interventistica - Azienda Ospedaliera S.Camillo - Forlanini - Roma

Un po' di storia
Il ruolo della Cardiologia Invasiva ha subito nell'arco degli ultimi 20 anni profonde modificazioni che hanno avuto rilevanti ripercussioni sul rapporto con Cardiologi e Pazienti.
Infatti, le procedure percutanee hanno perso la loro funzione esclusivamente diagnostica nei primi anni '80, conservando comunque a lungo un ruolo marginale nel panorama terapeutico dominato dai farmaci e dalla chirurgia. Solo nell'ultimo decennio vi e' stata la progressiva esplosione delle indicazioni e dei successi procedurali che ha letteralmente rivoluzionato il trattamento delle malattie cardiovascolari.
In era pre-interventistica, per il Cardiologo clinico l'indicazione alla coronarografia equivaleva ad indirizzare il paziente al trattamento chirurgico, ove possibile, mentre per cardiopatie congenite e valvolari il cateterismo cardiaco e l'angiografia costituivano il gold standard per confermare la diagnosi e, nelle maggioranza dei casi, per la ricerca di soluzioni chirurgiche.
Non molto e' cambiato nella successiva fase di sviluppo dell'interventistica, in cui la PTCA costituiva un'alternativa alla chirurgia per il 10%, poi il 20% circa dei pazienti sottoposti a coronarografia. Le altre tecniche interventistiche (valvuloplastica mitralica in particolare) sono rimaste patrimonio di pochi centri, per cui si e' creata una dicotomia tra la clinica e le soluzioni interventistiche gestite in maniera centralistica dal duopolio emodinamista e chirurgo.
Attualmente pero' oltre il 70% dei pazienti a cui viene diagnosticata la cardiopatia ischemica vengono sottoposti a coronarografia entro i primi mesi dalla diagnosi: nei Centri di Cardiologia interventistica piu'avanzati tra il 40 ed il 70% di tali pazienti sono poi sottoposti a PTCA; la procedura percutanea costituisce il trattamento di prima scelta anche per la stenosi mitralica, la stenosi polmonare, la stenosi aortica del bambino e dell'adolescente, il DIA, il dotto, il foro ovale permeabile con pregressi episodi embolici cerebrali
In epoca di Evidence Based Medicine, indicazioni, preparazione del paziente e follow up sono quindi momenti cruciali nell'iter della procedura interventistica.
Il Cardiologo clinico non puo' piu' rimanere fuori dal Laboratorio di Cardiologia Interventistica e d'altronde il Cardiologo interventista non puo' estraniarsi (come in realta' avveniva spesso in passato quando i pazienti che giungevano allo sua osservazione erano gia' estremamente selezionati) dal contesto clinico del soggetto che sta trattando.
Pertanto la differenza tra le due figure deve attenuarsi al massimo, rimanendo solo un problema di competenze specifiche e non di conoscenze e di cultura ed e' necessaria una perfetta sintonia tra chi segue il paziente e chi lo sottopone alla procedura.

Le indicazioni
Le Linee guida dettano oggi il preciso comportamento da adottare davanti alle singole patologie e l'EBM impedisce oggi che le indicazioni vengano date sulla base di valutazioni e decisioni eccessivamente soggettive.
Un piccolo difetto di perfusione alla scintigrafia in un soggetto asintomatico non costituisce indicazione alla coronarografia con eventuale PCI (percutaneous coronary intervention).
Le ACS-NSTEMI ad alto rischio non possono essere mantenute in terapia medica in attesa che la malattia passi in una fase di "raffreddamento", ma devono essere avviate precocemente ad un trattamento invasivo; in alcuni casi di infarto STEMI la PCI primaria e' l'unico trattamento che puo' portare alla riperfusione del territorio coinvolto.
Le difficolta' logistiche non possono costituire un alibi per applicare terapie giudicate non efficaci: le reti interospedaliere integrate o la cooperazione tra singoli centri devono essere modelli organizzativi di riferimento per superare le difficolta' e permettere di applicare la terapia piu' corretta al singolo paziente.
E' da sottolineare come la diffusa applicazione della PCI contestuale alla coronarografia, pur costituendo un modello logistico ottimale per il Centro ed il paziente, rende difficile la condivisone delle scelte terapeutiche tra Cardiologo clinico e Cardiologo interventistico, rendendo quest'ultimo il decisore principale delle indicazioni.
D'altronde il Cardiolo clinico e' anche il responsabile delle decisioni iniziali: indirizzare al Cardiochirurgo una stenosi mitralica condiziona certamente il successivo iter in maniera definitiva.
E' importante percio' che le indicazioni alle procedure e la valutazione clinico strumentale necessaria siano patrimonio del Cardiologo, anche se non partecipa direttamente all'esecuzione delle procedure.
L'esempio della stenosi mitralica e' senz'altro il piu' significativo: la studio ecocardiografico, la valutazione dello score ed il suo significato, il ruolo del TEE non possono essere demandati al Centro interventistico di riferimento, ma devono essere gestiti preliminarmente da chi ha in cura il paziente.
Analogo discorso vale per le altre patologie non coronariche, ma anche per la cardiopatia ischemica: la scelta dei tempi, le indicazioni corrette e soprattutto le terapie alternative alla rivascolarizzazione (un corretto uso dei farmaci!!) devono essere gestite dal Cardiologo di riferimento per il paziente.

Prima della procedura
Una volta assunta la decisione di avviare il paziente alla procedura, non bisogna trascurare la corretta preparazione, che presuppone la conoscenza di cio' che avviene nel Laboratorio di Cardiologia Interventistica.
Gli aspetti da gestire correttamente sono molteplici:
" quale terapia farmacologia per la patologia da trattare prescrivere al paziente in attesa della procedura
" come regolare la terapia anticoagulante nei pazienti che la praticano
" quali farmaci antiaggreganti prescrivere, con tempi e dosaggi corretti
" come preparare i pazienti con insufficienza renale cronica
" le problematiche del paziente diabetico

Anche se il mezzo di contrasto e' un farmaco utilizzato solo all'interno del Laboratorio, il Cardiologo responsabile del paziente non puo' ignorare i suoi effetti biologici, i rischi connessi alla sua somministrazione e le grandi quantita' necessarie per una PCI in un paziente complesso.
Tutto cio' vale anche per il Cardiologo che gestisce il paziente nelle ore immediatamente precedenti la procedura, perche' responsabile della struttura dove il paziente viene ricoverato.

Il dopo
La fase successiva alla procedura non e' certamente meno importante: anche se questa riguarda solo il Cardiologo coinvolto nella gestione della fase ospedaliera non mancano anche qui gli aspetti rilevanti:
" la gestione del sito di accesso
" le eventuali complicanze e soprattutto la loro gestione: quante sono ancora le fistole arterovenose femorali operate? Il trattamento di scelta indicato dalla letteratura e' una semplice compressione ecoguidata di facile esecuzione, poco traumatica per il paziente!!
" I farmaci da somministrare e quelli da non somministrare
" L'idratazione del paziente con insufficienza renale cronica e del paziente diabetico
" Il significato dell'elevazione dei marcatori di necrosi dopo PCI
In vari reparti di degenza viene raccomandato al paziente di non bere dopo la procedura, poiche' non e' conosciuta l'importanza della reidratazione dopo la somministrazione del mezzo di contrasto; cosi' come molti ricoveri vengono prolungati a causa di modeste elevazioni della troponina che non hanno alcun significato clinico.

Il follow up
La fase del follow up e' quella in cui il Cardiologo di riferimento ritorna ad essere arbitro della gestione del paziente e pertanto e' fondamentale che le sue conoscenze siano adeguate alle necessita'.
In questo momento e' fondamentale conoscere il ruolo ed il significato dell'utilizzo del Drug eluting stent, le cui conseguenze non sono trascurabili:
" l'indispensabilita' di un trattamento antiaggregante prolungato a 6-12 mesi per prevenire la trombosi tardiva
" il ridotto rischio di si
" la riduzione del valore predittivoositivo dei test strumentali in questi pazienti

Quest'ultimo costituisce il problema piu' rilevante in assoluto nel follow up di tutti i pazienti sottoposti a PCI.
Infatti la letteratura degli ultimi anni ha dimostrato come l'utilita' dei test post-procedurali (ergometria, scintigrafia perfusionale ed ecostress) sia estremamente limitato.
Le linee guida ne consigliano infatti l'utilizzo solo nei pazienti ad alto rischio, mente due metanalisi hanno dimostrato la bassissima specificita' dei test nel post-PCI.
Pertanto il loro larghissimo utilizzo condiziona un dispendio inutile di risorse , un eccesso di falsi allarmi ed un utilizzo improprio della successiva coronarogrfaia di controllo.
D'altronde in una fase di evoluzione come l'attuale, il ricorso a studi controllati e trial e' essenziale: anche il Cardiologo clinico devo conoscere il significato, l'importanza e le procedure del protocollo in cui puo' essere stato arruolato un suo paziente.

Ed il paziente?
Non va trascurato in tutto questo il rapporto con il paziente.
In un'epoca in cui il rischio procedurale e' estremamente basso ma non uguale a zero, informare il paziente e' ancora piu' complesso. Molto spesso il paziente e' gia' ben informato, ma non sempre tali informazioni sono correte, per cui il colloquio e' reso piu' difficile da tali erronee conoscenze.
D'altronde oltre l'informazione ed il consenso bisogna anche saper affrontare problematiche quali il mancato utilizzo di presidi costosi non indispensabili in quel contesto, la riduzione dei fattori di rischio, l'utilita' dell'arruolamento nei trial.
Anche qui la sintonia tra il Cardiologo referente e il Cardiologo che deve eseguire la procedura e' di fondamentale importanza.

Che fare?
La barriera che sicuramente e' esistita tra il contesto clinico ed il Laboratorio di Cardiologia interventistica deve assolutamente cadere: e' necessario sviluppare ed incentivare la comunicazione e la condivisone delle conoscenze con appositi iniziative, come meeting e corsi ad hoc.
Ma siamo gia'sulla buona strada: non e' un caso che nei congressi di Cardiologia le sessioni di Cardiologia interventistica siano ormai predominanti.