Stefano
Urbinati, Chiara Pedone, Giuseppe Pinelli.
UO Cardiologia, O. Bellaria, Bologna
Nelle diverse fasi della storia naturale del paziente con scompenso cardiaco (SC) la valutazione clinica e strumentale consente di individuare i soggetti a rischio, di impostare una diagnosi differenziale nei confronti di altre patologie responsabili della stessa sintomatologia e, nel paziente con SC conclamato, di monitorare il decorso e decidere, in particolari circostanze, il trattamento più appropriato. Pertanto è utile riconsiderare gli esami strumentali che abbiamo a disposizione alla luce delle informazioni che possono fornire e del ruolo decisionale che possono svolgere nelle diverse fasi della malattia.
Il
paziente "ad alto rischio " di evoluzione verso lo SC
Le linee guida dell'ACC-AHA pubblicate nel 2002 sottolineano che, poiché
lo SC conclamato rappresenta una condizione gravata da importante morbilità
e mortalità, è raccomandabile una precoce identificazione
dei pazienti ad alto rischio di evoluzione verso lo SC, che dovrebbero essere
monitorati ed eventualmente trattati in modo più aggressivo. Le tipologie
di pazienti da monitorare sono soprattutto quelli con infarto miocardico
di importanti dimensioni che, come ha dimostrato il sottoprogetto ecocardiografico
del GISSI 3, possono andare incontro ad un rimodellamento tardivo anche
quando è presente una FE conservata alla dimissione, quelli con cardiopatia
ipertensiva, specie in presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, e con
cardiopatia diabetica, entità per altro di non facile definizione.
I pazienti "ad alto rischio" andrebbero periodicamente rivalutati
mediante ecocardiogramma e dosaggio neuroormonale. Nel primo caso è
necessario monitorare gli effetti dei trattamenti farmacologici (ace-inibitori,
sartani o betabloccanti) o non-farmacologici (training fisico) che si sono
dimostrati in grado di interferire con il rimodellamento ventricolare. Per
quanto riguarda l'attivazione neuroormonale poche e contrastanti sono le
esperienze sull'utilizzo del BNP in una fase così precoce.
Definizione
diagnostica dello SC
Come ricordato dalle linee guida europee e americane la definizione di SC
è soprattutto clinica, basata sulla sintomatologia e sul rilievo
di cardiopatia, sia in presenza che in assenza di disfunzione ventricolare
sinistra. In ogni caso nella definizione diagnostica ha un ruolo centrale
la valutazione ecocardiografica che permetterà non solo di
evidenziare una disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (FE< 40%
), ma anche di identificare un'eziologia possibilmente ischemica (in presenza
di aree segmentarie di ipocinesia), la concomitanza di una valvulopatia,
infine il coinvolgimento del cuore destro. L'ECG contribuisce alla
valutazione prognostica in presenza di segni di pregresso infarto, fibrillazione
atriale o blocco di branca sinistro, che sono predittori indipendenti di
mortalità, mentre l'Rx torace fornisce informazioni riguardo
soprattutto il circolo venoso polmonare.
Di fronte ad un paziente che presenta una sintomatologia acuta (improvvisa
dispnea a riposo) la diagnosi differenziale con una eziologia polmonare
della dispnea prevede il dosaggio del BNP, che in questi casi ha
un alto valore predittivo negativo e quindi, in presenza di valori normali,
permette di escludere ragionevolmente un'eziologia cardiaca.
Monitoraggio
del paziente con SC moderato-severo
Nel paziente con diagnosi di SC cronico un attento e rigoroso monitoraggio
da parte dell'equipe medico-infermieristica, ma anche un automonitoraggio
che il paziente e i suoi familiari possono apprendere con un adeguato supporto
educazionale, permette di identificare precocemente il peggioramento e,
con opportuni aggiustamenti della terapia, può evitare il ricovero.
Il monitoraggio del paziente con SC deve prevedere la periodica esecuzione
dell'ecocardiogramma. Il fine non è tanto quello di monitorare la
funzione sistolica del ventricolo sinistro che, utilissima per stratificare
la prognosi nelle prime fasi dello SC, non ha un significativo potere discriminatorio
nei pazienti con FE moderatamente depressa, ma quello di monitorare la disfunzione
diastolica, l'insufficienza mitralica e, nei pazienti con insufficienza
biventricolare, anche la funzione del ventricolo destro e l'insufficienza
tricuspidalica. Lo studio della funzione diastolica permette di identificare
una disfunzione in presenza di deceleration time (DT) allungato e di rapporto
onda E/A < 1 e un pattern "restrittivo", predittore di prognosi
molto severa, in presenza di DT <125 msec e di rapporto E/A >2.
Nei pazienti con SC severo la disfunzione ventricolare sinistra non è
più il fattore prognostico prevalente, in questi casi le informazioni
prognosticamente più rilevanti sono deducibili dal test da sforzo
cardiopolmonare che permette di stimare il V02 picco, espressione della
capacità funzionale e altri parametri come il rapporto Ve/VC02. I
pazienti con V02 < 14 o addirittura < 10 ml/kg/min hanno una prognosi
infausta a breve termine e, se di età < 65 anni, possono essere
candidati al trapianto cardiaco. Nei soggetti che non sono in grado di eseguire
un test da sforzo o che non raggiungono la soglia anaerobica è stato
proposto l'utilizzo del test del cammino, che vanta una buona evidenza scientifica,
ma che tuttavia è dipendente dall'operatore e dal soggetto e, per
queste ragioni, ha un'attendibilità limitata.
Il comportamento degli indici di disfunzione diastolica, in particolare
del DT e del V02 picco, è attendibile per stimare l'adeguatezza di
una terapia farmacologica: infatti è stato dimostrato che i soggetti
che raggiungono un DT> 125 msec o un V02 > 18 ml/kg/min hanno un miglioramento
significativo della prognosi.
Nel monitoraggio del paziente con SC moderato-severo diversi studi hanno
indagato quale possa essere il valore aggiunto del dosaggio neuroormonale
del BNP, ma tuttora non disponiamo di dati definitivi al riguardo.
Un problema particolare è quello correlato con il rischio aritmico.
Il rischio di morte improvvisa infatti è presente nei pazienti in
IIa come in IVa classe NYHA, la scelta su quando e a chi impiantare un ICD
dovrebbe quindi basarsi su una valutazione che tenga conto di una serie
di variabili e che non è tuttora codificata. Secondo studi recenti
i pazienti con pregresso infarto miocardico e FE <30% sono da considerare
ad alto rischio di aritmie ventricolari potenzialmente fatali. In questi
casi una valutazione della disfunzione autonomica, basata sullo studio della
variabilità dell'intervallo RR all'Holter (HR variability), può
aiutare ad identificare i soggetti a rischio particolarmente elevato da
avviare all'impianto dell'ICD.
Conclusioni
Nel paziente con SC dovrebbe essere predisposto un utilizzo seriato dei
test cardiologici non-invasivi in base alla loro capacità di discriminare
la prognosi nelle diverse fasi della storia naturale. Nelle prime fasi il
parametro d'elezione è rappresentato dalla FE, che, accanto alla
valutazione clinica (classe NYHA), permette di identificare i pazienti con
disfunzione ventricolare sinistra, mentre nella diagnosi differenziale di
un paziente con dispnea parossistica può essere utile il dosaggio
del BNP che ha un alto valore predittivo negativo.
Nelle fasi avanzate dello SC, invece, la valutazione dei parametri di funzione
diastolica, primo tra tutti il DT, e della capacità funzionale espressa
dal V02 picco sono quelli che permettono di selezionare i pazienti con prognosi
peggiore che dovrebbero essere trattati aggressivamente o, eventualmente,
proposti per il trapianto cardiaco.
Infine non è facile selezionare i soggetti da avviare all'impianto
di un ICD: probabilmente il dato clinico-strumentale dovrebbe essere integrato
da marker non invasivi di overdrive adrenergico, come una ridotta HRV.