RISPETTIAMO SEMPRE LE LINEE GUIDA NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE IPERTESO

Bruno Trimarco
Cattedra di Cardiologia Università di Napoli

La disponibilità delle linee guida per il trattamento di alcune patologie di grande diffusione è stata sempre considerata positivamente. Questi documenti infatti hanno rappresentato il superamento della esperienza personale di ciascun medico con il contributo di esperti e di casistiche così numerose quali nessun singolo operatore avrebbe mai potuto accumulare. Inizialmente tuttavia le linee guida sono state guardate con un certo sussiego dai medici impegnati nella pratica clinica perché sentite come il frutto di conoscenze più spesso prodotte in laboratorio che non nell'attività quotidiana. Il successo della medicina basata sull'evidenza e quindi la copiosa produzione ed ampia diffusione dei trials clinici ha fatto si che i risultati di questi studi divenissero il fondamento delle linee guida dando a questi documenti un impianto eminentemente pratico. Inoltre proprio per favorire la condivisione delle linee guida vi è stata un'opera di divulgazione nei vari paesi con una discussione critica che coinvolgesse coloro che più direttamente devono applicarle. Nel campo dell'ipertensione arteriosa questo processo è stato particolarmente attivo per la produzione puntuale di documenti che hanno ricevuto ampi consensi secondo quanto emerso da numerose indagini che hanno coerentemente dimostrato che i medici generalisti o specialisti sono ben informati sui suggerimenti delle linee guida per la gestione del paziente iperteso. Si è così diffuso il concetto che la terapia dell'ipertensione più che puntare al semplice controllo dei valori pressori deve essere intesa come una strategia per ridurre il "rischio cardiovascolare globale" cioè la probabilità di sviluppare negli anni successivi un evento cardiovascolare. Ciò che sembra in contrasto con questa affermazione è lo scarso controllo dei valori pressori ottenuto nella popolazione. Questa realtà per altro non è appannaggio solo dei medici del nostro paese ma costituisce purtroppo un problema internazionale. L'elemento forse più importante contro l'ipotesi che le linee guida vengano ordinariamente disattese viene da una recente ricerca condotta presso il nostro Centro. In particolare la disponibilità di un archivio informatico che raccoglie i dati di oltre venti ambulatori ospedalieri e di circa duecentocinquanta medici di medicina generale ci ha consentito di rilevare una sostanziale adesione dei medici generalisti e specialisti alle indicazioni fornite dalle linee-guida internazionali. Infatti sia le scelte diagnostiche che quelle terapeutiche sono risultate coerenti con le indicazioni delle Società Scientifiche. Che cosa determina allora un così insoddisfacente controllo dei valori pressori?
Scartata a priori per quanto detto sopra l'ipotesi di un impiego incongruo dei farmaci antiipertensivi, rimangono due possibili ipotesi alternative. La prima è quella che prevede un'insufficiente disponibilità di presidi farmacologici. Questa ipotesi è facilmente confutabile però considerando i risultati di tutt'altro tenore ottenuti negli studi clinici con l'impiego dello stesso armamentario terapeutico. In questo contesto è particolarmente utile il riferimento a studio quali HOT1, INSIGHT2, LIFE3, ALLHAT4 che hanno ottenuti tutti un valore medio di pressione sistolica e diastolica nell'ambito del range suggerito dalle linee guida e soprattutto una percentuale di soggetti con valori pressori ben controllati anche superiore al 90%.
La seconda ipotesi per spiegare lo scarso controllo dei valori pressori nelle popolazioni è quella che ipotizza che il sistema sanitario per la gestione dell'ipertensione arteriosa sia inadeguato. In questo senso è opportuno considerare che l'attuale organizzazione è fondata sui cosiddetti Centri per l'ipertensione arteriosa. In primo luogo va detto che le caratteristiche di queste strutture non sono mai state definite chiaramente. Conseguentemente si crea spesso confusione tra il "Centro" che verosimilmente dovrebbe essere una struttura con particolari attrezzature e competenza, e gli "Ambulatori" che sono strutture gestite da medici con specifica preparazione nel campo dell'ipertensione. Comunque anche considerando insieme le due tipologie di strutture e tenendo presente il numero dei pazienti ipertesi, 20% della popolazione generale. È evidente la sproporzione tra le due cifre che comporta che mediamente ciascuna struttura deve gestire diverse migliaia di pazienti. Ne consegue che il controllo clinico difficilmente potrà essere basato sull'esigenze del paziente dovendo tener conto delle necessità organizzative della struttura. La soluzione quindi dello scarso controllo pressorio dovrebbe derivare da una più efficace corrispondenza tra l'organizzazione sanitaria e le necessità assistenziali. In questo senso sembra necessaria una diversa organizzazione sanitaria che preveda una migliore comunicazione tra strutture ospedaliere e medici del territorio che consenta una gestione integrata del paziente. In altre parole la responsabilità della conduzione diagnostica e terapeutica dovrebbe essere principalmente del medico di famiglia il quale può giovarsi dell'ausilio delle linee guida per le sue scelte. Per l'esecuzione delle indagini di diagnostica strumentale il sanitario ricorrerà agli ambulatori dell'Ipertensione presso gli Ospedali o le strutture sanitarie, che gli metteranno a disposizione i risultati per le decisioni terapeutiche. Nel caso di pazienti ad alto rischio o comunque con forme cliniche che necessitano di una diagnostica più sofisticata o di una terapia più complessa il paziente sarà indirizzato ai Centri della ipertensione. Anche in questo caso la struttura sanitaria completato il proprio compito dovrà mette5re tutti i risultati a disposizione del medico generalista continuando a coadiuvarlo nella gestione del follow-up. Un'organizzazione sanitaria di questo tipo è stata sperimentata in Campania con risultati estremamente lusinghieri consistenti in una riduzione delle ospedalizzazioni di pronto soccorso e soprattutto in un calo statisticamente significativo degli accidenti cardiaci e cerebrali.

BIBLIOGRAFIA

1. Zanchetti A, Hansson L, Dahlöf B, Elmfeldt D, Kjeldsen S, Kolloch R, et al. Effects of individual risk factors on the incidence of cardiovascular events in the treated hypertensive patients of the Hypertension Optimal Treatment Study. HOT Study Group. J Hypertens 2001; 19:1149-1159.

2. Brown MJ, Palmer CR, Castaigne A, de Leeuw PW, Mancia G, Rosenthal T, Ruilope LM. Morbidity and mortality in patients randomised to double-blind treatment with a long-acting calcium-channel blocker or diuretic in the International Nifedipine GITS study: Intervention as a Goal in Hypertension Treatment (INSIGHT) Lancet. 2000 29;356:366-72.

3. Dahlof B, Devereux RB, Kjeldsen SE, Julius S, Beevers G, de Faire U, Fyhrquist F, Ibsen H, Kristiansson K, Lederballe-Pedersen O, Lindholm LH, Nieminen MS, Omvik P, Oparil S, Wedel H; LIFE Study Group. Cardiovascular morbidity and mortality in the Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study (LIFE): a randomised trial against atenolol. Lancet. 2002 ;359:995-1003

4. ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial. Major outcomes in moderately hypercholesterolemic, hypertensive patients randomized to pravastatin vs usual care: The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT-LLT). JAMA. 2002 18;288:2998-3007