Michele
Adolfo Tedesco
Cattedra di Cardiologia, Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Seconda
Università di Napoli, A.O. Monaldi, Napoli.
L'ipertensione
arteriosa è una patologia ampiamente diffusa nel mondo industrializzato
che colpisce dal 20 al 40% della popolazione. Numerosi studi hanno dimostrato
che una riduzione della pressione arteriosa si associa a riduzione della
mortalità e morbilità cardiovascolare e renale. Il beneficio
assoluto legato alla riduzione della pressione arteriosa dipende più
dal carico totale di rischio piuttosto che dalla severità dello stato
ipertensivo. La gravità dello stato ipertensivo, pur essendo un fattore
prognostico sfavorevole, non è di per sé criterio sufficiente
ad identificare con precisione i pazienti più a rischio. Studi epidemiologici
hanno evidenziato che il profilo di rischio cardiovascolare sia più
importante per la prognosi del paziente e che il trattamento antiipertensivo
abbia un miglior rapporto costo-efficacia nei pazienti ad alto rischio.
Le recenti linee guida suggeriscono, per impostare per la prima volta il
trattamento antiipertensivo in un paziente, di basarsi su due criteri: il
livello di rischio cardiovascolare totale ed i livelli di pressione sistolica
e diastolica. Oltre ai valori pressori più o meno elevati, il livello
di rischio cardiovascolare è la principale indicazione all'intervento.
Per cui la decisione relativa alla oppurtunità di un possibile inizio
del trattamento antiipertensivo nei soggetti con pressione alta normale
può essere raccomandato per i pazienti a rischio elevato, mentre
non è raccomandato alcun intervento terapeutico, ma un attento monitoraggio
nel tempo dei valori pressori, nei pazienti che presentano un rischio cardiovascolare
globale basso o mederato.In virtù dell'importanza del danno d'organo
nella valutazione del rischio cardiovascolare globale del paziente iperteso,
tali alterazioni dovrebbero essere ricercate con attenzione.
La ricerca di segni precoci di danno d'organo e di comorbilità ha
assunto, pertanto, un ruolo centrale nella valutazione dei pazienti ipertesi
per stabilire i livelli ottimali di pressione arteriosa da raggiungere e/o
addizionali misure preventive. Comunque, la valutazione del rischio globale
è fortemente influenzata dai test usati per la ricerca del danno
d'organo. Per il passato, il minimo work-up raccomandato dalle linee guida
per la ricerca del danno d'organo nei pazienti ipertesi era molto poco sensibile.
In questo contesto, la routinaria ricerca di danno d'organo a livello cardiovascolare
(ipertrofia ventricolare sinistra, ispessimento carotideo, aumentato indice
di resistenza dei vasi intrarenali, etc.) attraverso tecnica ultrasonografica
ha dimostrato essere uno strumento molto sensibile, anche se a relativo
alto costo. Studi recenti hanno dimostrato che, in assenza di una valutazione
ultrasonografica cardiovascolare finalizzata ad identificare la presenza
di ipertrofia ventricolare sinistra e di ispessimento della parete vascolare
o di placche aterosclerotiche, circa il 50% della popolazione ipertesa potrebbe
essere classificata a rischio basso o moderato, mentre la presenza di un
coinvolgimento cardiaco o vascolare collocherebbe tali pazienti in un ambito
di rischio più elevato. Pertanto, valutazioni con ecocardiografia
e ultrasonografia vascolare possono essere raccomandate, specie in quei
pazienti nei quali la presenza di danno d'organo non è stata accertata
dalla valutazione di routine basata sull'elettrocardiogramma. Allo stesso
modo è raccomandata la valutazione dell'indice di resistenza dei
vasi intrarenali, ancora prima della valutazione della presenza di microalbuminuria,
per le crescenti evidenze di un suo ruolo come sensibile marker precoce
di danno d'organo non solo nel paziente iperteso, ma anche nel paziente
diabetico.
Nonostante i grandi sforzi profusi nella cura dell'ipertensione, questa
patologia rimane in tutto il mondo una delle principali cause di morbilità
e mortalità cardiovascolare e di rado gli obiettivi riescono ad essere
raggiunti nella pratica clinica. È quindi auspicabile che possa essere
migliorato l'approccio diagnostico finalizzato a valutare, non solo le cause
secondarie di ipertensione, ma anche il rischio cardiovascolare globale
attraverso la ricerca di fattori di rischio aggiuntivi, danno d'organo bersaglio
e la presenza di malattie o condizioni cliniche concomitanti.
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