GLI ANTICOAGULANTI IN IN ARITMOLOGIA: COME, QUANDO, PERCHÉ.
Maurizio Santomauro, Nicola Monteforte, Luca Ottaviano, Alessio Borrelli,
Enrico Febbraro, Carmine Liguori, Angelo Costanzo, Massimo Chiariello.
Dipartimento di Cardiologia, Università Federico II di Napoli.
La
terapia anticoagulante ha sempre più larga indicazione, per il trattamento
e per la prevenzione di numerose condizioni tromboemboliche nelle aritmie
cardiache ed in particolare per il flutter e la fibrillazione atriale. Questa
terapia è particolarmente raccomandata in caso di fattori di rischio
aggiuntivi per stroke ed embolia quali ipertensione arteriosa, diabete o
pregresso stroke. La fibrillazione atriale (FA) è una delle patologie
cardiache a maggior rischio di embolia sistemica e lo stroke rappresenta
la più frequente e drammatica manifestazione dell'embolia correlata
alla FA. Almeno il 15% di tutti gli stroke ischemici e più di un
terzo degli stroke nell'anziano sono associati alla FA. Nell'ambito degli
stroke cardioembolici, che costituiscono il 15-20% di tutti gli stroke ischemici,
il 45% di questi si verifica in pazienti con FA non valvolare (FANV). La
FA rappresenta pertanto una grave minaccia per il cervello, considerando
anche che gli stroke ad essa associati sono di solito estesi, gravati da
un'elevata mortalità in fase acuta e con esiti spesso invalidanti.
Di recente si è acquisita coscienza che anche la FANV comporta un
rischio embolico rilevante. I recenti trial di terapia antitrombotica nella
prevenzione primaria delle tromboembolie in pazienti con FANV hanno mostrato
che, in assenza di trattamento, l'incidenza di stroke ischemico è
del 5% anno e sale al 7% se si considerano anche i TIA e a valori ancora
superiori se si valutano anche gli stroke silenti e infarti cerebrali subclinici.
Esiste da lungo tempo un vasto consenso, pur in assenza di studi prospettici
randomizzati, riguardo alle indicazioni della terapia anticoagulante orale
nei pazienti con FA e valvulopatia mitralica reumatica. Un' altra area di
consenso é rappresentata dalla sola FA in soggetti di età
<60 anni, per la quale non vi sono indicazioni alla terapia anticoagulante.
La necessità di stabilire il rapporto rischio/beneficio di un trattamento
antitrombotico nei pazienti con FANV ha indotto negli ultimi anni numerosi
gruppi di ricerca ad intraprendere studi prospettici randomizzati e controllati
su ampie casistiche. Tutti gli studi hanno evidenziato una elevata efficacia
della terapia anticoagulante orale nella prevenzione degli eventi embolici
in questa vasta categoria di pazienti con FA. La metanalisi dei 5 trial
randomizzati e controllati con placebo, AFASAK , BAATAF , CAFA , SPAF ,
SPINAF ha mostrato che la terapia con Warfarin (INR compresi tra 1.8 e 4.2)
riduce l'incidenza di stroke ed embolie sistemiche dal 4.5% all'1.4% per
anno (riduzione del 69%, range 50-79%, ovvero riduzione di 31 eventi per
1.000 pazienti trattati per 1 anno). Il rischio incrementale di emorragie
maggiori nei pazienti trattati con anticoagulante é risultato basso,
<1%, anche se è verosimile che nella pratica clinica quotidiana
risulti significatamente più alto dal momento che i pazienti inclusi
nei trial erano rigorosamente selezionati e sottoposti a frequenti controlli.
Nei pazienti di età >75 anni il rischio di emorragia, soprattutto
cerebrale, in corso di terapia anticoagulante sembra essere più elevato
ed è risultato dell'1.8% per anno nel recente trial SPAF II (INR
2.O-4.5). In altri studi nei quali l'intensità della scoagulazione
era inferiore, anche il rischio di emorragia cerebrale è risultato
significativamente più basso, in particolare nei pazienti anziani.
Sebbene il rapporto tra livello di scoagulazione e rischio emorragico cerebrale
non sia ancora del tutto chiarito, i dati attuali suggeriscono l'opportunità
di una terapia anticoagulante meno intensa (INR 1.5- 2.0) nei pazienti di
età >75 anni che sono anche quelli a maggior rischio di stroke
embolico. In uno studio europeo di prevenzione secondaria, l'EAFT , è
stata inoltre documentata l'efficacia della terapia anticoagulante orale
nel ridurre il rischio di recidive emboliche nei pazienti con FANV e recente
TIA o stroke. Un' analisi successiva dei ricercatori dell' EAFT ha evidenziato
che nei pazienti dello studio trattati con Warfarin l'incidenza più
bassa di eventi tromboembolici si era verificata a valori di INR compresi
tra 2.0 e 3.9, mente l' incidenza più alta di complicanze emorragiche
maggiori si era verificata a valori di INR superiori a 5. Il livello ottimale
di scoagulazione, con il miglior rapporto rischio/beneficio, é risultato
pertanto collocato a valori di INR compresi tra 2.0 e 3.9. L'efficacia dell'Aspirina
nella prevenzione dello stroke in pazienti con FA è meno chiara e
più controversa. L'efficacia dell'Aspirina, a dosi comprese tra 75
e 325 mg/die è stata valutata in tre trial controllati con placebo,
due di prevenzione primaria, AFASAK e SPAF I ed uno di prevenzione secondaria,
EAFT. Nell'insieme la riduzione del rischio è risultata del 25% (range
14-44%). Negli studi di confronto diretto col Warfarin AFASAK , SPAF II
, EAFT l'Aspirina è risultata significativamente meno efficace (riduzione
del rischio del 47% per il Warfarin in confronto all'Aspirina), ma associata
ad un minor rischio emorragico
Recentemente nello studio italiano SIFA (Studio Italiano Fibrillazione Atriale)
é stata confrontata col Warfarin l'efficacia e la sicurezza dell'antiaggregante
Indobufene, un inibitore reversibile della cicloossigenasi (100-200 mg x2)
in pazienti con FANV. I risultati preliminari ad 1 anno di follow-up evidenziano
un'incidenza paragonabile di eventi primari in entrambi i gruppi. Da un
confronto indiretto con lo studio EAFT emerge un'efficacia del trattamento
antiaggregante significativamente maggiore. Per quanto riguarda infine l'associazione
di Warfarin a dosi fisse con Aspirina, i dati dello SPAF III indicano una
scarsa efficacia di questa strategia terapeutica. E' stata infatti recentemente
interrotta la parte dello studio SPAF III in cui i pazienti con FANV ad
alto rischio (donne di età > 75 anni, ipertensione arteriosa,
pregressa tromboembolia, scompenso cardiaco o disfunzione ventricolare sinistra)
erano randomizzati a trattamento con Warfarin a dosi variabili, tali da
ottenere un INR compreso tra 2.0 e 3.0 e Warfarin a dosi fisse (1-3 mg)
in associazione con Aspirina 325 mg. Essendo stato dimostrato che il Warfarin
è più efficace dell'Aspirina, ma associato ad un maggior rischio
emorragico (soprattutto negli anziani di età >75 anni), la scelta
del tipo di trattamento antitrombotico nei pazienti con FANV potrebbe essere
basata sulla stratificazione del rischio embolico .
La FA parossistica non sembra essere un predittore indipendente di rischio
tromboembolico: il rischio di stroke è probabilmente equivalente
a quello della forma cronica. Il valore predittivo delle variabili cliniche
identificate è stato confermato nello SPAF II. I pazienti con FA
di età <75 anni senza fattori di rischio clinici trattati con
Aspirina hanno avuto una bassissima incidenza di embolie; in questo sottogruppo
un trattamento con anticoagulanti, piuttosto che con Aspirina, verosimilmente
apporterebbe scarsi benefici. Nei pazienti di età >75 anni il
Warfarin è più efficace dell'Aspirina nella prevenzione delle
embolie, ma l'incidenza cumulativa di stroke ischemico + emorragico non
è significativamente diversa nei due gruppi di trattamento. L'assenza
di fattori di rischio clinici ed ecocardiografici identifica un sottogruppo
di pazienti con FANV (rappresentano circa 1/4 di tutti i pazienti con FA)
a rischio embolico molto basso (circa 1% per anno); in questi può
essere sufficiente un trattamento con Aspirina. L'ecocardiografia transesofagea
è probabilmente in grado di fornire ulteriori marker di rischio embolico:
trombi atriali, ecocontrasto spontaneo, disfunzione auricolare sinistra
. Il valore predittivo di questi marker è in corso di valutazione
nello SPAF III e in altri studi prospettici . Dati preliminari suggeriscono
che i pazienti con ecocontrasto spontaneo hanno un rischio significativamente
più alto di stroke o altri eventi embolici ed una ridotta sopravvivenza.
Nei pazienti con FANV vi sono sicure indicazioni ad un trattamento antitrombotico.
La scelta del tipo di terapia dovrebbe essere individualizzata tenendo conto
dei fattori clinici ed ecocardiografici, come pure del rischio emorragico.
Le caratteristiche della FA allo stato attuale delle conoscenze non sembrano
condizionare un diverso comportamento terapeutico.
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