COME,
QUANDO E PERCHÉ ESEGUIRE L'ABLAZIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE
Jorge A. Salerno-Uriarte Raffaella Marazzi
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari Ospedale di Circolo e Fondazione
Macchi Università degli Studi dell'Insubria - Varese.
Segreteria - Tel. 0332 278934 - Fax. 0332 393309
E-mail - jorge.salerno@ospedale.varese.it
INTRODUZIONE
L'era dell'ablazione transcatetere (ATC) come terapia della aritmie ebbe
inizio nel 1982, quando Critelli et al.1, Gallagher et al.2 e Scheinman
et al.3 proposero per primi tale tecnica allo scopo di indurre un blocco
atrio-ventricolare totale nelle aritmie sopraventricolari non controllabili
con terapia farmacologica. Tuttavia il barotrauma associato all'utilizzo
di corrente continua con DC-shock nelle cavità cardiache limitava
fortemente l'applicabilità di tale metodica fino alla seconda metà
degli anni '80, quando l'avvento della radiofrequenza portava ad un rapido
ampliamento delle indicazioni all'ATC delle aritmie, che guadagnava negli
anni '90 l'indicazione a terapia di prima scelta, per il basso rischio e
l'elevata percentuale di successo, vicina al 100%, delle tachicardie da
rientro nodale ed atrio-ventricolare, delle tachicardie atriali, focali
e da macrorientro, e del flutter atriale. L'introduzione di nuove forme
di energia, diverse dalla radiofrequenza (RF), come la crioenergia, e di
mappaggio elettroanatomico, che consente la ricostruzione tridimensionale
in tempo reale delle camere cardiache, nonché il perfezionamento
delle moderne tecniche di imaging, quali la risonanza magnetica nucleare
e la tomografia computerizzata, integrabili ai suddetti sistemi di mappaggio,
sono alla base di una continua evoluzione e del perfezionamento delle tecniche
di ATC4.
Per quanto concerne la FA, la più comune aritmia riscontrata nella
pratica clinica, responsabile di oltre un terzo dei ricoveri per disturbi
del ritmo cardiaco5,6, essa è di gran lunga l'aritmia sopraventricolare
più complessa affrontata in prima battuta dai medici e, a seguire,
dagli aritmologi, interventisti e non, sia per le diverse componenti fisiopatologiche
che per le numerose variabili cliniche, tanto che si dovrebbe più
correttamente parlare non di FA al singolare, bensì di "fibrillazioni
atriali". L'ATC della FA è, ad oggi, da non considerare ancora
in fase di applicazione clinica estensiva, bensì da limitare ad un
sottogruppo di pazienti aventi determinate caratteristiche cliniche e fisiopatologiche
di cui diremo oltre; tuttavia negli scorsi 5 anni sono state dimostrate
la fattibilità e l'utilità clinica di tale metodica. Migliori
risultati dell'ATC verranno da un miglior grado di comprensione dei meccanismi
di questa aritmia, pertanto la sfida attuale deve essere quella di imparare
a riconoscere i diversi tipi di FA in modo da "ritagliare" su
misura ("tailoring") la terapia, eventualmente la tecnica di ATC,
sul singolo individuo con FA4.
VARIABILI CLINICHE
Una prima variabile clinica è l'età del paziente affetto da
FA. La prevalenza dell'aritmia nella popolazione globale è dello
0.4%, ma aumenta significativamente con l'età fino a valori superiori
al 6% oltre gli 80 anni7,8. L'evoluzione demografica in atto è caratterizzata
da una percentuale progressivamente crescente di anziani, tanto che si deve
parlare oggi di incremento "epidemico" della FA9. Da sottolineare
la reale sottostima dell'incidenza e prevalenza della FA7 dipendente da
una seconda variabile clinica dell'aritmia rappresentata dalla frequente
asintomaticità o paucisintomaticità dell'aritmia stessa. Basti
pensare che dal 30%8 al 45%11 dei pazienti arruolati in studi cardiovascolari
internazionali hanno avuto un riscontro elettrocardiografico occasionale
di FA. In particolare lo stesso paziente può essere sintomatico ed
asintomatico per FA: in soggetti con episodi sintomatici di FA, mediante
un monitoraggio elettrocardiografico prolungato, si è riscontrato
un rapporto di 12:1 rispettivamente tra episodi asintomatici e sintomatici
dell'aritmia12. La presenza ed il tipo di sintomi dipendono dalla frequenza
ventricolare, dalla cardiopatia eventuale, dalla durata dell'aritmia e dalla
percezione individuale. La sintomatologia prevalente è rappresentata
da cardiopalmo, dispnea o dolore toracico, talora di un indefinito senso
di malessere, astenia o sensazione di "testa leggera". Tuttavia
l'esordio di tale aritmia può essere talora eclatante, in forma di
ictus cerebri da complicanza tromboembolica, o di scompenso cardiaco acuto,
conseguenza di destabilizzazione di cardiopatia preesistente o di tachicardiomiopatia,
o ancora di sincope13. Numerosi sono i sistemi classificativi proposti,
di tipo clinico14,15, elettrocardiografico16, o fisiopatologico, più
complessi, alla luce dei dati ottenuti dagli studi elettrofisiologici17.
La classificazione che meglio delinea gli aspetti clinici ed i corrispettivi
rilievi elettrofisiologici dell'aritmia, preludendo alle conseguenti scelte
terapeutiche, è quella di Gallagher e Camm15. In primo luogo, viene
distinta la FA al primo riscontro, pur riconoscendo, qualora a/pauci-sintomatica,
l'impossibilità di datare l'esordio dell'aritmia nonché di
escludere eventuali precedenti episodi, dalla FA ricorrente, nel caso di
due o più episodi documentati. Quest'ultima potrà essere parossistica,
se a remissione spontanea, in genere entro 24-48 ore, non oltre 7 giorni,
persistente, se interrompibile esclusivamente mediante cardioversione (farmacologica
o elettrica); si definirà invece permanente la FA che perdura cronicamente,
senza ripristino, neppure transitorio, del ritmo sinusale, indifferentemente
con terapia farmacologica o elettrica. Tale classificazione non comprende
la FA determinata da eventi acuti, quali infarto miocardico o embolia polmonare,
in cui la cura della patologia, causa prima dell'aritmia, è spesso
alla base della risoluzione della stessa FA13. Oltre che con l'età,
la prevalenza della FA aumenta significativamente in presenza di cardiopatie,
in particolare valvolare mitralica, e di scompenso cardiaco. Di fatto tutte
le cardiopatie (valvolare, ipertensiva, ischemica e primitiva del miocardio,
nonché lo scompenso cardiaco da qualunque causa) possono essere associate
alla FA, analogamente a patologie primariamente extracardiache (pneumopatie,
disordini di tipo metabolico, endocrino e genetico). Di fronte ad un panorama
tanto ampio di patologie parrebbe pertanto che la FA non abbia essa stessa
una propria identità di patologia, bensì semplicemente di
complicanza di altra malattia, più frequentemente cardiaca. A dimostrazione
del contrario è la quota rilevante di soggetti, generalmente più
giovani (< 60 anni), affetti dalla cosiddetta "lone atrial fibrillation",
FA in assenza di patologia cardio-polmonare evidenziabile18: essa rappresenta
dal 30% al 45% delle forme parossistiche e dal 20% al 25% delle forme persistenti
e permanenti19. La definizione di "lone atrial fibrillation" viene
generalmente distinta da quella di FA "idiopatica", quest'ultima
infatti fa riferimento all'incertezza relativa all'origine dell'aritmia,
senza correlazione all'età del paziente o all'eventuale cardiopatia
associata. E' recente l'identificazione, in un sottogruppo selezionato,
di una possibile, seppur rara, implicazione di una mutazione genetica responsabile
dell'aritmia20. Infine, non di rado, la FA si associa ad altre aritmie,
come il flutter atriale, la tachicardia atriale o, più di rado, le
tachicardie da rientro atrioventricolare (nodale o da via accessoria). Chiaramente
non è di scarso rilievo la considerazione che qualora la FA sia l'esito
di una disorganizzazione e degenerazione di queste forme aritmiche, l'ATC
di queste, in tal caso "primum movens" della FA, generalmente
consente l'abolizione anche della FA21.
ASPETTI
FISIOPATOLOGICI
La fisiopatologia della FA, aritmia caratterizzata da un'attivazione elettrica
atriale completamente caotica ed irregolare, sostenuta da innumerevoli circuiti
di microrientro, è stata oggetto di numerose speculazioni nel corso
di un intero secolo, a partire da studi di tipo anatomo-patologico22, affiancati
successivamente da studi elettrofisiologici in vivo, con metodiche di mappaggio
endo- ed epicardico, convenzionali e non23,24, ed ancor più recentemente
da modelli di simulazione al computer in grado di ricostruire fedelmente
l'elettroanatomia atriale25,26. Ciononostante, ad oggi, molto ancora rimane
da chiarire ed approfondire relativamente a quanto finora dimostrato e consensualmente
accettato nell'ambito dei meccanismi elettrofisiologici che sottendono alla
FA, motivo, questo, di stimolo ad una continua ed instancabile attività
di ricerca in questo ambito. Come per ogni altra aritmia, anche per l'innesco
ed il mantenimento della FA è necessaria la coesistenza di tre elementi:
1 - un evento scatenante (trigger), rappresentato in genere da una singola
extrasistole atriale27, talora da una tachicardia atriale focale28, quest'ultima
in grado di far fibrillare gli atri o di mimare la FA con un quadro di depolarizzazione
rapida ed irregolare negli atri in relazione ad un blocco di uscita tra
il focus ed il resto della muscolatura atriale 2 - un substrato, che determini
una propensione degli atri a fibrillare (vulnerabilità atriale),
rappresentato da un numero critico di circuiti di rientro29, dipendente
a sua volta dalla presenza di alterazioni delle proprietà elettrofisiologiche
atriali (periodo refrattario, dispersione delle refrattarietà, velocità
di conduzione, anisotropia di conduzione) e della massa atriale17; 3 - un
fattore modulante, rappresentato in prevalenza dal sistema nervoso autonomo,
che in presenza di alterazioni dell'equilibrio tra tono vagale e simpatico,
può modificare i parametri elettrofisiologici atriali (substrato)
e favorire l'attività di foci ectopici (trigger), favorendo l'innesco
ed il mantenimento della FA30. Di estrema importanza per le implicazioni
terapeutiche che ne derivano è l'osservazione che l'ampia gamma di
presentazioni cliniche della FA comprende soggetti che, avendo esclusivamente
il trigger, in assenza di substrato atriale anomalo, clinicamente manifestano
solo extrasistolia atriale; più avanti nello spettro vi sono pazienti
con brevi treni di tachicardia atriale e parossismi di FA, aventi un focus
più attivo, in presenza però di un substrato lievemente alterato,
ma non ancora "maturo" per il mantenimento dell'aritmia, ad esempio
per la presenza di normali dimensioni atriali; quando invece il substrato,
accanto alla presenza di foci aritmogeni, è significativamente più
danneggiato, per la presenza di dilatazione atriale e fibrosi, con conseguente
alterazione delle proprietà elettriche della muscolatura atriale
(dispersione delle refrattarietà, periodi refrattari brevi, ecc.),
in un quadro di cardiopatia o di semplice degenerazione legata all'invecchiamento
o di esiti di miocarditi misconosciute, a tal punto si instaura più
facilmente un quadro clinico di FA parossistica, quindi persistente e, a
seguire, permanente. In queste forme più avanzate di sindrome aritmica,
anche sporadici eventi trigger determineranno l'insorgenza di episodi di
FA sostenuta31. Il singolo episodio aritmico, quando sostenuto e non correlato
ad una causa definita, è un "campanello d'allarme", in
quanto segnala la propensione dell'individuo alla FA e deve allertare sulla
necessità di una periodica rivalutazione clinica dello stesso. La
FA "facilita" la stessa FA, in un vero e proprio circolo vizioso,
in quanto l'aritmia stessa, quando gli accessi tendono a ricorrere, determina
modificazioni persistenti delle caratteristiche elettrofisiologiche atriali
che favoriscono la recidiva aritmica ed il perdurare della stessa32. Si
è dimostrato, su modelli animali, che, dopo 24 ore di FA, necessitano
almeno altre 24 ore di ritmo sinusale perché i parametri elettrofisiologici
ritornino basali, a dimostrazione della relazione diretta tra il numero
e la durata degli episodi aritmici ed il rischio di recidiva di FA, in un
probabile quadro di alterazione della "memoria elettrica" dei
miocardiociti. Un'ipotesi a tal riguardo è che la stessa FA determini
un'alterata espressione genica delle miocellule cardiache, portando così
ad una differente sintesi di strutture di membrana, quali canali ionici
e/o proteine regolatrici, coinvolte nella determinismo dell'attività
elettrica di membrana, a spiegazione della persistenza protratta delle alterazioni
elettrofisiologiche dopo la risoluzione dell'aritmia33. I fattori determinanti
il cosiddetto punto di non ritorno a ritmo sinusale non sono ancora chiari.
E' sicuramente necessario un periodo di cronicizzazione dell'aritmia in
genere anni, perché aquisisca il carattere di permanenza: probabilmente
vere e proprie alterazioni strutturali, quali la dilatazione atriale e la
fibrosi, sono necessarie a determinare l'irreversibilità dell'aritmia.
ABLAZIONE
DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE
Elevate percentuali (74-90%) di successo nel ripristino e mantenimento del
ritmo sinusale furono riportate in passato in pazienti con FA persistente
e sintomatica ed una cardiopatia organica, ischemica o valvolare, rilevante,
tale da richiedere un intervento cardiochirurgico, durante il quale si eseguivano
lesioni lineari biatriali con una tecnica definita "MAZE" (compartimentalizzazione
atriale), avente il razionale di prevenire la formazione di circuiti di
rientro riducendo la massa critica34,35. Tali risultati incoraggiarono a
metà degli anni '90 lo sviluppo di tecniche percutanee di ATC della
FA in grado di riprodurre in modo meno invasivo la MAZE chirurgica con un
approccio biatriale, tuttavia fu ben presto chiaro che tali procedure pur
avendo un successo superiore al 60%, non solo risultavano particolarmente
complesse e protratte, bensì si associavano a frequenti (20%) e severe
complicanze in acuto (perforazione dell'aorta o cardiaca, eventi tromboembolici
o emorragici, tamponamento cardiaco ed ipertensione polmonare da stenosi
delle vene polmonari), nonché, spesso, a medio-lungo termine (effetto
proaritmico a causa della discontinuità delle linee di ablazione,
sedi possibili di circuiti di rientro di flutter atriale)36,37. Procedure
di ATC lineare meno estese, limitate all'atrio destro, pertanto più
sicure e semplici, davano però generalmente risultati insoddisfacenti38.
Il notevole impulso verso il trattamento della FA mediante ATC nasceva dall'intuizione
di Häissaguerre e colleghi che, nel 1998, hanno focalizzato l'attenzione
sull'importanza delle vene polmonari (VP) quali sede predominante di origine
delle ectopie "trigger" dell'aritmia, ma anche possibile substrato
implicato nel mantenimento della FA27. Particolari proprietà di tali
foci localizzati nelle guaine muscolari delle VP, oltre alla sede anatomica
prevalente, sono la loro frequente ed imprevedibile attività, talora
non condotta all'atrio ("concealed ectopies") oppure condotta
lentamente, in relazione all'accoppiamento breve, e la bassa refrattarietà
della muscolatura in tale regione. Pertanto in pazienti con parossismi di
FA la sorgente delle singole extrasistoli atriali e della FA è identica
ed un breve e rapido treno di impulsi originante da tali foci può
innescare episodi di FA in grado poi di sostenersi indipendentemente dal
trigger. Tale osservazione portava allo sviluppo dell'ATC focale della FA,
all'interno delle VP, per eliminare i "triggers" dell'aritmia28,39,40.
Tuttavia, a causa dell'origine multifocale delle ectopie, nella stessa VP
o in diverse VP, nonchè della impossibilità ad identificare
tutti i foci aritmogeni durante la procedura di ATC, la successiva manifestazione
di ulteriori triggers determinava frequenti recidive aritmiche28, inoltre
l'applicazione di RF all'interno delle VP si associava a frequente stenosi
delle VP (4-42% dei pazienti nelle diverse casistiche) 39,40. Il passo successivo
è stato pertanto la dimostrazione che è possibile ottenere
l'isolamento elettrico (IE) delle VP dall'atrio sinistro mediante applicazioni
focali di RF guidate dai potenziali di VP (PVP), mappati con appositi cateteri
multipolari posizionati alla giunzione atrio-venosa (Lasso / Basket)41.
L'IE bidirezionale delle VP dall'atrio sinistro guidato dai PVP è
ottenuto mediante applicazioni segmentarie di RF in una porzione di circonferenza
generalmente inferiore al 60% del totale, in quanto le fibre muscolari che
dall'atrio si continuano nella parete delle VP non sono distribuite sull'intero
perimetro all'ostio delle stesse VP42. Questa tecnica rispetto alla suddetta
ATC focale ha ridotto il rischio di stenosi delle VP, in quanto le applicazioni
di RF sono effettuate all'ostio delle VP, non all'interno delle stesse,
in particolare tanto più efficaci nell'escludere recidive da eventuali
foci prossimali delle VP, quanto più erogate sul versante atriale
della giunzione veno-atriale. Inoltre l'IE delle VP consente di superare
il limite della necessità di mappare i singoli "triggers"
riducendo l'incidenza delle recidive. Data la netta prevalenza della localizzazione
dei foci aritmogeni a livello delle vene polmonari superiori ed inferiore
sinistra, l'IE viene condotto su base empirica almeno a livello di tali
tre VP, anche in assenza di ectopie documentabili durante la procedura.
La transmuralità e la stabilità delle lesioni sono elementi
essenziali per garantire il successo della deconnessione elettrica della
vena dall'atrio. Le difficoltà tecniche dell'esecuzione di tali procedure
ablative richiedono un'esperienza ed un'abilità tecnica che solo
alcuni laboratori di elettrofisiologia, altamente qualificati, possono garantire.
Le possibili già citate complicanze, sia in acuto, che a medio-lungo
termine, dell'ATC della FA possono essere severe ed evitabili solo con il
massimo dell'accortezza e dell'esperienza sia nella fase di esecuzione dell'ablazione
che nell'intero periodo periprocedurale. Se da un lato vi è una minoranza
di pazienti con FA parossistica ad origine da un singolo focus molto attivo
di un'unica VP, l'IE della quale consente l'abolizione a lungo termine dell'aritmia43,
dall'altro le ectopie possono originare in altre vene aventi connessioni
muscolari con gli atri, quali la vena di Marshall, la vena cava superiore
ed il seno coronarico, oppure in altre sedi degli atri, destro (cresta terminale)
e sinistro (parete posteriore)44-46. Nel 28-47% dei pazienti le ectopie
che originano gli episodi di FA sono state documentate in sedi esterne alle
VP47,48. Pertanto se il target dell'ATC della FA in tali pazienti rimane
limitato all'IE delle sole VP, è chiaro che globamente non si raggiungerà
un successo a lungo termine superiore al 70%. Inoltre nella FA persistente
e, soprattutto, permanente le VP sembrano giocare un ruolo minore, tanto
che l'IE delle VP abolisce la FA solo nel 25% dei pazienti42. Tentativi
di superare i limiti dell'IE segmentario delle VP sono stati fatti associando
a questo l'esecuzione di linee di ATC in atrio sinistro, in particolare
a livello dell'istmo mitralico49, dall'annulus mitralico all'ostio della
VP inferiore sinistra, e a livello del tetto atriale50, ottenendo un certo
miglioramento dei risultati a distanza. Infine un ulteriore approccio è
stato quello di spostare all'interno dell'atrio sinistro, a 1-2 cm dall'orifizio
delle VP, il target di ATC, creando delle linee di ablazione circonferenziali
attorno alle stesse VP, abbattendo in tale regione i potenziali elettrici
sulla guida di un sistema di mappaggio elettroanatomico tridimensionale,
senza la ricerca di una vera deconnessione elettrica, ed associando delle
linee di lesione a livello di parete posteriore dell'atrio sinistro e dell'istmo
mitralico51. Certamente una metodica di ATC estensiva, come riportato da
recenti dati che hanno confrontato tale metodica con l'IE segmentario delle
VP52, ha le premesse di una maggiore efficacia in relazione alla possibilità
non solo di arginare le ectopie "trigger" delle VP, ma anche di
modificare il substrato, riducendo la massa atriale disponibile, eliminando
punti di ancoraggio per le "onde madri" o rotori che possono generare
l'aritmia, nonché altre sedi di foci extra-VP, e colpendo le terminazioni
nervose. A tal proposito Zimmermann e Kalusche53 hanno eseguito approfonditi
studi sul ruolo del sistema neurovegetativo nella FA e la loro esperienza
ha permesso di concludere che episodi sostenuti di FA focale sono correlati
a fluttuazioni del tono neurovegetativo, con un iniziale ipertono adrenergico,
probabilmente favorente l'attivazione del focus aritmogeno nella vena polmonare,
seguito, immediatamente prima dell'innesco dell'aritmia, da una rilevante
modulazione verso una preponderanza vagale, che riduce la refrattarietà
atriale, predisponendo il substrato al mantenimento della FA54. Studi su
modelli animali di ablazione transcatetere con radiofrequenza delle componenti
nervose parasimpatiche innervanti gran parte delle strutture atriali hanno
abolito l'innesco ed il mantenimento della FA vagale, eliminando l'accorciamento
della refrattarietà atriale e l'aumentata dispersione della refrattarietà
conseguenti alla stimolazione vagale. Una metodica ablativa estensiva come
quella proposta da Pappone e colleghi51, d'altra parte, avendo come target
la muscolatura atriale, necessita energie più elevate, con un maggior
rischio di complicanze in acuto, quali la formazione di trombi, la perforazione
cardiaca o la formazione di fistole esofagee; a distanza il rischio maggiore
di tale procedura di ablazione circonferenziale è costituito sia
da effetti proaritmici, quali episodi di flutter atriale, favoriti da linee
di ATC non continue, che dal deterioramento della funzione meccanica atriale.
CONCLUSIONI
L'importanza clinica di tale aritmia nella popolazione generale deriva dagli
elevati costi sociali, in termini sia di morbilità che di mortalità,
quest'ultima pari ben al doppio di quella della popolazione di controllo,
in ritmo sinusale. La FA è un predittore indipendente di mortalità
per ischemia cerebrale e scompenso cardiaco. L'attivazione elettrica totalmente
disorganizzata degli atri, durante fibrillazione atriale, e la loro conseguente
compromissione funzionale sono direttamente responsabili della compromissione
emodinamica e degli eventi tromboembolici, condizionanti diversi possibili
quadri clinici di variabile rilevanza. Di fatto, ad oggi, studi rilevanti
per la numerosità dei pazienti arruolati, come l'AFFIRM55 e lo studio
Van Gelder56, pur non fedelmente rappresentativi dell'intera popolazione
affetta da FA in merito, ad esempio, a caratteristiche come l'età,
hanno rilevato che non vi è diversa mortalità a lungo termine
in pazienti con FA e fattori di rischio per ictus cerebri sottoposti a controllo
della frequenza cardiaca o a controllo del ritmo, anzi nel secondo gruppo
si rilevano più frequenti effetti collaterali determinati dai farmaci
antiaritmici. Risulta pertanto evidente la necessità di comprendere
la rilevanza epidemiologica e la storia naturale della FA nell'ottica di
gestire al meglio le risorse destinate allo studio di tale aritmia e, conseguentemente,
di individuare, di volta in volta, nell'ampio spettro di terapie volte a
ridurre l'impatto di questa patologia su una popolazione in continua evoluzione,
quella ideale per ciascun paziente, coerentemente alle linee guida internazionali13.
In realtà, alla luce della evoluzione iniziata da almeno 5 anni in
tema di trattamento non farmacologico della FA, si avverte la necessità
di un aggiornamento delle linee guida che meglio aiutino ad identificare
i pazienti che realmente meritano tale approccio invasivo, seppure ancora
in fase di ricerca e di sviluppo. L'obiettivo dovrebbe essere eliminare
la FA con una procedura quanto più conservativa possibile. Di fatto
data la complessità e le difficoltà delle procedure di ATC
della FA riteniamo che si dovrebbe al momento riservare tale scelta a pazienti
comunque relativamente giovani (< 65 anni), senza cardiopatia organica
di rilievo, con FA parossistica e/o persistente refrattaria ad almeno due
farmaci antiaritmici. In tali pazienti anche procedure più conservative,
come l'IE segmentario delle VP, hanno minori rischi in acuto, potendo limitare
la quantità di applicazioni e potendo gestire con maggior tranquillità
l'anticoagulazione, e percentuali di successo a distanza più elevate,
senza gli effetti proaritmici di lesioni lineari, che si rivelano spesso
discontinue. In parallelo nuove energie e differenti cateteri di mappaggio
ed ablazione, in studio, potranno eventualmente facilitare e rendere più
efficace l'ATC della FA. Rimane il punto fermo della conoscenza dei molteplici
aspetti fisiopatologici di tale aritmia che devono guidare l'ATC, sempre
e comunque preceduta dall'analisi delle caratteristiche elettrofisiologiche
dell'aritmia nel singolo individuo.
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