INTRODUZIONE
"Considerare la prevenzione una pratica clinica quotidiana" è
uno degli obiettivi da perseguire per ottenere la riduzione della mortalità
e morbilità per malattie cardiovascolari.
La scarsa incisività degli interventi di prevenzione secondaria è
documentata dai dati dello studio Euroaspire condotto in 10 Paesi europei
su pazienti dopo un infarto miocardico, che ha evidenziato l'alta percentuale
di persistenza dei fattori di rischio a distanza di mesi dall'evento coronarico
(Tab. 1).
Tabella
1
Persistenza dei fattori di rischio dopo un evento coronarico |
||
Euroaspire
|
I
1995 - 96 |
II
1999-2000 |
Fumo |
19%
|
21%
|
Sovrappeso (BMI>25) |
78%
|
81%
|
Obesità (BMI>30) |
25%
|
33%
|
Ipertensione |
55%
|
50%
|
Ipercolesterolemia |
67%
|
59%
|
D'altra parte dai dati dello stesso studio si evince che in Italia solo
il 17% dei pz dopo un IMA viene avviato ad un programma strutturato di prevenzione
secondaria, quale la riabilitazione cardiologica, i cui risultati in termini
di mortalità, morbilità e miglioramento della qualità
della vita sono ormai consolidati. La frequenza delle riospedalizzazioni,
la spaventosa crescita epidemiologica dello SCC sono ulteriori spie di una
errata strategia di prevenzione secondaria.
Le
cause di questi deludenti risultati sono molteplici:
- una discordanza tra la rilevanza prevista per la prevenzione cardiovascolare
dai piani sanitari nazionali e regionali e la esiguità delle risorse
ad essa realmente destinata;
- le barriere culturali e la conseguente difficoltà ad incidere sugli
stili di vita;
- la scarsità di incentivi per il personale addetto alla prevenzione
ed il mancato riconoscimento tariffario delle attivita di counseling;
- l'assenza di collegamenti tra Ospedale e territorio.
Si avverte, inoltre, la mancanza di un approccio multidisciplinare a una
patologia complessa, multifattoriale, quale quella cardiovascolare, dove
solo un lavoro di equipe che impegni più operatori sanitari e in
particolar modo il cardiologo, l'infermiere professionale, il terapista
della riabilitazione, il dietista e lo psicologo può ottenere risultati
positivi.
Infatti per ottimizzare gli interventi di prevenzione secondaria è
necessario organizzare un percorso omnicomprensivo, realizzato su misura
per il singolo paziente, che si avvii nella fase immediatamente post-acuta
della malattia e che preveda:
- Una attenta stratificazione prognostica al fine di identificare i pazienti
a maggior rischio;
- L'ottimizzazione della terapia per utilizzare i farmaci raccomandati alle
massime dosi tollerate
- La correzione dei fattori di rischio per evitare o rallentare la progressione
della malattia;
- Un' azione diretta sulla funzione endoteliale, utilizzando anche strategie
non farmacologiche come il training fisico;
- Un intervento sul profilo psicologico del paziente, strutturato o meno
a seconda della gravità.
Nell'ambito delle varie competenze, un ruolo di primaria importanza è
quello svolto, o meglio, quello che potrebbe essere svolto, dalle figure
professionali di area nursing.
Lo studio Carinex Surveyha analizzato quali siano le figure professionali
più frequentemente coinvolte nei programmi di prevenzione secondaria
all'interno di strutture di cardiologia riabilitativa (Tab. 2). Nel corso
della loro pratica quotidiana, gli IP, i Tdr, i Tecinici di cardiologia,
possono entrare in contatto con un numero elevato di persone e divenire
promotori di "messaggi di salute". Gli infermieri che operano
in ospedale, poi, assistendo i pazienti durante tutta la degenza, dall'ingresso
alla dimissione, contribuiscono fattivamente ai programmi di prevenzione
costituendo un anello fondamentale della continuità assistenziale.
IL
RUOLO NURSING NELLA PREVENZIONE
L'infermiere professionale può intervenire in tutte le strategie
di prevenzione codificate già nel 1982 dall'OMS e riportate nel testo
delle linee guida 1999, e cioè:
1. strategia di popolazione, in altre parole modificare lo stile di vita
e i fattori ambientali responsabili dell'elevata incidenza delle patologie
cardiovascolari nella popolazione generale';
2. strategia sui pazienti ad alto rischio;
3. strategia di prevenzione secondaria
Tabella
2
Figure Professionali | Fase IntensivaEuropa | Fase IntensivaItalia | Fase EstensivaEuropa | Fase EstensivaItalia |
Terapisti della Riabilitazione (Tdr) | 91,6 | 73,9 | 67,3 | 61,5 |
Infermieri (IP) | 86,9 | 100 | 47,5 | 84,6 |
Dietisti | 81,3 | 69,6 | 27,5 | 38,5 |
Assistenti Sociali | 58,6 | 30,4 | 16,3 | 23,1 |
Terap. Occup. | 33,1 | 13,0 | 7,8 | 7,7 |
In ciascuna di esse l'infermiere svolge un ruolo determinante, che può
diversificarsi in un ruolo puramente tecnico, un ruolo di counseling e in
un ruolo di supporto psicologico.
-Il
ruolo tecnico
L'infermiere collabora con il medico per l'esecuzione di indagini strumentali
che consentono di definire il profilo di rischio di ciascun paziente.
La stratificazione del rischio è uno dei momenti centrali di ogni
strategia di prevenzione. L'esiguità delle risorse rende infatti
indispensabile concentrare gli interventi laddove il rapporto costo-beneficio
è maggiore. In prevenzione primaria è sufficiente conoscere
i fattori di rischio per definire il profilo di ciascun soggetto. A tal
fine, il modello più utilizzato è certamente il diagramma
del rischio elaborato sui dati dello "storico" studio di Framingham.
Oggi le carte del rischio europee con il calcolo Score e la recentissima
carta del rischio italiana elaborata dall'ISS consentono di identificare
con maggiore precisione i pazienti italiani ad alto rischio. In prevenzione
secondaria la carta elaborata sui dati del Gissi prevenzione costituisce
il modello di riferimento.
Personale infermieristico e tecnico, opportunamente preparato, in piena
autonomia, potrebbe applicare i modelli delle carte del rischio in base
ai dati clinici e laboratoristici di ogni paziente.
"L'educatore
alla salute"
Il counseling, strumento di educazione alla salute, può essere definito
come "un intervento volontario e consapevole del personale socio-sanitario
nei processi decisionali del paziente per il raggiungimento di un obiettivo
condiviso di miglioramento dello stato di salute". Il counseling, nato
come modalità di aiuto psicologico sviluppata a partire dagli anni
'30, da Rollo May e Carl Rogers, definisce una consulenza (cioè uno
o più colloqui individuali approfonditi) condotta da un professionista
che è attento alla relazione, e ha un approccio non direttivo. L'influenza
dell'approccio non direttivo ha successivamente portato molte figure professionali
che operano in ambito sanitario e sociale e che possono instaurare relazioni
personali significative con i propri utenti/pazienti a sviluppare una pratica
professionale meno prescrittiva, più attenta all'ascolto e alla relazione,
e più rispettosa delle esigenze dell'utente/paziente, pur senza praticare
il counseling psicologico propriamente detto. E' necessario dunque distinguere
fra counseling come pratica terapeutica (competenza psicologica) e capacità
di counseling, richiesta a ogni operatore impegnato in attività in
ambito sanitario e sociale.
Secondo l'approccio centrato sul paziente il modo migliore di venire in
aiuto a una persona che si trova in difficoltà non è dirle
cosa fare ma aiutarla a comprendere la sua situazione attuale e a gestire
il problema, prendendo da sola la responsabilità di eventuali scelte.
L'aiuto consiste proprio nel rendere possibile una riattivazione e riorganizzazione
delle sue energie (cognitive, emotive, strategiche) partendo dal presupposto
che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli permettono
di sfruttare l'aiuto ricevuto e di farlo diventare una propria risorsa.
Lo scopo dunque è quello di aiutare la persona a mobilitare le proprie
risorse personali nell'affrontare il problema che viene portato all'interno
della relazione di counseling.
Gli obiettivi generali del counseling sono:
- Fornire supporto nei momenti di crisi
- Aiutare il paziente a reperire informazioni sulla malattia, ad assimilarle
e ad agire conformemente
- Incoraggiare il paziente al cambiamento, se necessario, dello stile di
vita
- Sviluppare nel paziente l'autodeterminazione e la facoltà di operare
scelte autonome
- Aiutare il paziente ad anticipare, prevenire o impedire l'instaurarsi
di situazioni altamente critiche
L'avvio di un percorso di counseling dipende dalla qualità della
relazione (empatia, capacità di ascolto, presenza, attenzione, assunzione
di responsabilità, patto terapeutico, coerenza), dalla qualità
della comunicazione, dal numero di contatti con l'utente nel tempo e dall'applicazione
di un intervento strutturato di counseling. Il counseling infermieristico
in prevenzione, attraverso l'instaurarsi di una relazione di aiuto, dovrebbe
aiutare il paziente a smettere di fumare, alla gestione del comportamento
alimentare (lipidi, zuccheri, sovrappeso-obesità), alla gestione
della terapia farmacologica, ad aderire alle prescrizioni terapeutiche,
ad effettuare attività fisica, al ritorno al lavoro, alla ripresa
dell'attività sessuale.
Al fine di raggiungere gli obiettivi elencati riguardo ai suddetti contenuti
è necessario che l'infermiere acquisisca :
a) conoscenze delle cognizioni, degli atteggiamenti e dei comportamenti
che influenzano la percezione della salute e ne costituiscono la rappresentazione
mentale (idee, conoscenze, convinzioni, dati di esperienza diretta o indiretta,
aspettative, bilanci valutativi tra vantaggi e svantaggi, giudizio sui risultati)
b) competenze comunicative
All'interno del counseling infermieristico in prevenzione acquista particolare
rilevanza l'aspetto motivazionale, che si pone l'obiettivo di valutare quanto
il paziente si sente pronto a cambiare, quanto si ritiene in grado di poter
cambiare e quanto forte sente la spinta al cambiamento. Il colloquio di
motivazione è un approccio che ha lo scopo di aiutare gli utenti
a costruire il coinvolgimento terapeutico necessario e a raggiungere la
decisione di cambiare; aiuta le persone a riconoscere i loro problemi attuali
o potenziali legati alla persistenza di un comportamento disadattivo e a
mettere in atto le strategie necessarie per modificare questo comportamento.
Conoscere i principi di base del colloquio motivazionale è importante
anche solo per indirizzare le persone sulla via del cambiamento, o per preparare
il terreno per un intervento specialistico.
L'analisi della letteratura riguardo alla efficacia degli interventi educazionali
pone in evidenza la difficoltà di estrapolare che cosa esattamente
sia efficace, poiché gli studi sono eterogenei dal punto di vista
metodologico, contenutistico, e soprattutto non identificano le figure professionali
coinvolte in modo chiaro.
In conclusione, il counseling infermieristico necessita di formazione su:
- teorie sui comportamenti rilevanti per la salute che evidenziano il ruolo
delle variabili cognitive dalla rappresentazione mentale della malattia
alla attuazione di comportamenti.
- abilità comunicative come strumento per facilitare la relazione
di aiuto e per comprendere le rappresentazioni mentali di malattia del paziente.
Educare
alla salute significa anche fornire una corretta informazione sulle terapie
somministrate. I tarmaci da assumere per la cura delle malattie cardiovascolari
sono in genere prescritti per lunghi periodi o, in alcuni casi, per tutta
la vita, e la loro efficacia dipende dal grado di adesione dei pazienti.
Spesso il personale tecnico ed infermieristico è il primo ad essere
consultato dai pazienti circa le terapie da assumere e sugli eventuali effetti
collaterali lamentati. È evidente che un'informazione inadeguata
sugli scopi della terapia, sulle sue modalità di assunzione, sugli
effetti collaterali da essa determinati porta frequentemente alla sospensione
della terapia, con conseguenze immaginabili. Il processo di educazione del
paziente alle terapie deve prevedere l'informazione su:
- gli scopi delle terapie intraprese;
- la durata prevista della terapia;
- la necessità di controlli periodici sia clinici che di laboratorio
(ad esempio l'emostasi per i pazienti in terapia anticoagulante);
- la possibilità di interferenze farmacologiche, suggerendo di prendere
contatto con il medico in caso di necessità di assunzione di altri
tarmaci (ad esempio antibiotici, antipiretici o altro);
- la pericolosità di variazioni spontanee della dose;
- la necessità di assumere il farmaco agli orari prescritti;
- i più frequenti effetti collaterali indotti dal farmaco, chiarendo
il loro significato, l'assoluta innocuità di alcuni di essi e la
potenziale pericolosità di altri che richiedono la necessità
di contattare rapidamente il medico curante;
- il maggior rischio di malattie cardiovascolari nelle donne che assumono
terapie anticoncezionali orali, soprattutto quando sono presenti altri fattori
di rischio, come fumo e ipertensione.
Allo stesso modo, è fondamentale informare il paziente sui vari esami
diagnostici a cui dovrà sottoporsi, sulle relative tecniche di esecuzione,
sulla durata e il rischio ad essi connesso, su eventuali misure di preparazione,
quali ad esempio il digiuno, l'esecuzione di indagini preliminari ecc.
Educando il paziente all'autocontrollo del peso, della pressione arteriosa,
del glucosio nel sangue lo si prepara ad affrontare con maggior consapevolezza
la propria malattia e gli si conferisce anche un certo grado di responsabile
autonomia. In particolare l'autogestione è fondamentale nella gestione
del paziente affetto da scompenso cardiaco cronico. Per questi pazienti
il personale tecnico ed infermieristico, adeguatamente formato, nell'ambito
di protocolli condivisi potrebbe svolgere una attività prevalentemente
ambulatoriale di supporto alla figura professionale del medico, sia esso
di Famiglia, che Ospedaliero che Extraospedaliero, finalizzata a
· rendere il Pz autonomo nella cura di sé stesso;
· mantenere la stabilità emodinamica ottenuta;
· riconoscere precocemente eventuali segni e/o sintomi di instabilità
al fine di:
- ridurre le reospedalizzazioni
- migliorare la qualità della vita
- ridurre la spesa complessiva per SCC
Il supporto psicologico
Le malattie cardiovascolari determinano spesso una serie di reazioni e comportamenti
che condizionano la ripresa psicologica del paziente. Ansietà e depressione,
irritabilità e aggressività che portano alla negazione della
malattia, o, al contrario, a sentirsi "inutile", "di peso",
ormai invalido, dipendente dal medico, dai farmaci e dai familiari, provocano
gravi conflitti inferiori e difficoltà nel reinserimento familiare
e sociale.
Spesso l'ambiente familiare tende ad assumere atteggiamenti iperprotettivi,
con proibizioni "a prescindere", operando una serie di restrizioni
inutili, che contribuiscono a creare ulteriori sensazioni di invalidità.
Queste reazioni emotive abnormi spesso prescindono dalla gravita della malattia,
ma vanno piuttosto ricondotte a un'inadeguata informazione del paziente
e della sua famiglia da parte del personale sanitario. Il controllo delle
reazioni emotive va intrapreso sin dalle fasi iniziali del ricovero, soprattutto
nei reparti di terapia intensiva: in un momento della malattia in cui scariche
catecolaminiche possono essere fatali, accogliere bene il paziente, creando
un'atmosfera distesa, rassicurandolo sull'andamento della malattia, su un
decorso generalmente favorevole, sulla possibilità di riprendere
una normale vita lavorativa e sociale, costituiscono interventi di prevenzione
di straordinaria efficacia.
I
LUOGHI DELLA PREVENZIONE
L'Ospedale costituisce il luogo privilegiato per la prevenzione secondaria,
quanto meno nelle prime fasi dell'intervento. Ma i risultati ottenuti durante
il ricovero andrebbero rapidamente persi se non adeguatamente sostenuti
nel lungo termine con un progetto di follow up concordato con il paziente.
Non tutti gli ospedali sono organizzati per il follow-up sistematico dei
pazienti, che è elemento essenziale per mantenere i cambiamenti dei
fattori di rischio. Lo sviluppo di ambulatori specialistici, sia ospedalieri
che di medicina di base, può risolvere queste lacune, costituendo
un trait d'union tra l'ospedale e il territorio, creando, tra l'altro, un
collegamento tra lo specialista e il medico di base. Questi ambulatori consentirebbero
inoltre la messa a punto di programmi di prevenzione che possono essere
monitorati e controllati in forma strutturata. I risultati degli studi in
tale ambito indicano che gli ambulatori specialistici migliorano significativamente
la prevenzione secondaria e riducono i ricoveri ospedalieri. Il loro obiettivo
dovrebbe essere quello di fornire un consiglio esperto guidato dai dati
evidence based e di facilitare il follow-up regolare dei pazienti. Il personale
di base di un ambulatorio specialistico ospedaliero dovrebbe prevedere la
presenza di un cardiologo e un infermiere professionale qualificato, con
una formazione specifica in cardiologia e in prevenzione cardiovascolare.
Personale infermieristico con queste caratteristiche potrebbe coordinare
in autonomia, nell'ambito di protocolli standardizzati, gli ambulatori sul
territorio, collegati a banche dati dei pazienti e con canali di comunicazione
privilegiata sia con i medici di base sia con gli ambulatori ospedalieri.
Il soggetto che afferisce agli ambulatori territoriali, che dopo un'accurata
anamnesi e un adeguato screening sui fattori di rischio rivela un profilo
di rischio elevato, dovrebbe essere segnalato al relativo medico di base
o invitato a recarsi presso ambulatori ospedalieri.
GLI
STRUMENTI DELLA PREVENZIONE
II rapporto personale con il paziente rappresenta sempre lo strumento migliore
per una strategia di prevenzione, soprattutto nelle prime fasi, quando va
costruito un rapporto di stima, fiducia e collaborazione.
In molti studi - e anche nella nostra esperienza - si sono rivelate molto
utili le riunioni organizzate con i pazienti e con i loro familiari. L'infermiere
professionale, in accordo con il cardiologo, potrebbe costituire il punto
di riferimento organizzativo, coinvolgendo, in base all'argomento trattato,
altre figure professionali, come il dietista, lo psicologo, il fisiatra,
il medico del lavoro. Con tale sistema si riesce a raggiungere un maggior
numero di persone e al tempo stesso si coinvolgono i familiari, la cui collaborazione,
come già detto in precedenza, è fondamentale. Queste riunioni
possono essere organizzate anche in prevenzione primaria, soprattutto in
grandi centri di aggregazione sociale.
Una volta stabilito il rapporto con i pazienti, si potranno utilizzare sistemi
di rinforzo dei messaggi di prevenzione, utilizzando i tradizionali mezzi
di comunicazione come il telefono, il fax, la posta. In un futuro non molto
lontano prenderà sempre più spazio l'uso della posta elettronica
e del teleconsulto le cui ampie potenzialità consentiranno di implementare
i controlli a distanza.
Questi contatti tra infermieri e pazienti forniscono un'importante misura
di sorveglianza, istruzione e supporto, con la possibilità anche
per i medici generici di interagire con il sistema e di informarsi circa
lo stato di salute dei propri assistiti. L'uso di sistemi informatizzati
di elaborazione dati e l'applicazione di algoritmi standardizzati conferisce
all'infermiere una certa autonomia decisionale e contribuisce alla standardizzazione
delle cure e alla valutazione dei risultati, con una verifica di qualità
del prodotto. Tutto ciò presuppone una conoscenza di base dei sistemi
informatici e dei più importanti programmi di archivio e di gestione
dei dati, non frequente nella pratica infermieristica odierna.
L'organizzazione di campagne di prevenzione sul territorio vede sicuramente
coinvolti in prima linea gli infermieri professionali, sia nel ruolo tecnico,
sia in quello di educatore alla salute. L'auspicio è che la riorganizzazione
del sistema sanitario in chiave preventiva renda sempre meno necessario
periodiche campagne di sensibilizzazione al problema prevenzione.
DATI
IN LETTERATURA
Ancora oggi in letteratura vi sono pochi lavori sul ruolo dell'infermiere
professionale nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. In alcune
esperienze di intervento sui fattori di rischio si è verifìcato
un miglior rapporto costo-effìcacia nell'intervento mediato dagli
infermieri, rispetto ai programmi che prevedevano l'intervento dei medici.
L'intervento sul fumo eseguito dagli infermieri mediante la consegna di
opuscoli informativi ha evidenziato il miglior costo-efficacia rispetto
a tutti gli altri interventi di cura e prevenzione della cardiopatia ischemica.
Ciò è dovuto ai salari più bassi degli infermieri e
a una maggiore efficacia di alcuni sistemi che prevedono rinforzi telefonici
e postali effettuati dagli infermieri, piuttosto che le visite personali
del medico.
Nei pochi studi condotti sui risultati dell'intervento degli infermieri
nella prevenzione si è osservata una considerevole capacità
di facilitare il controllo a lungo termine di ipertensione, diabete, astensione
dal fumo e terapia farmacologica ipolipemizzante. In particolare, in uno
studio effettuato in pazienti ricoverati per un infarto del miocardio, con
il controllo sistematico della dieta ottimale e dell'assunzione delle terapie
suggerite, si è constatata una riduzione fino a 107 mg/dl del colesterolo
LDL, che è vicino al valore stabilito (100 mg/dl), per la regressione
di lesioni aterosclerotiche e una riduzione di eventi clinici. In uno studio
più recente di Allen et al, un programma di intervento affidato a
personale infermieristico ha consentito di ridurre del 65% vs il 35% i valori
di colesterolemia in un gruppo di pazienti reduci da un bypass aortocoronarico.
Questo intervento ha determinato inoltre un incremento dell'attività
fisica ed una più corretta alimentazione.
In un gruppo di pazienti affetti da ipercolesterolemia di tipo II, alcuni
dei quali con precedenti ischemici documentati, Blair et al. hanno documentato
una riduzione dell'ipercolesterolemia dal 19 al 25%, a seconda se i pazienti
venivano trattati con la sola dieta o con l'aggiunta di terapie. Il programma
era gestito da un infermiere professionale sotto la supervisione di un cardiologo,
nell'ambito di un protocollo standardizzato.
Nel 1990 Taylor et al., della Stanford University, hanno pubblicato i risultati
di un intervento eseguito dagli infermieri professionali, mirato all'astensione
dal fumo in un gruppo di 173 pazienti reduci da un IMA. I pazienti randomizzati
al gruppo trattati ricevevano informazioni specifiche sui rischi connessi
al fumo sin dalla fase di ricovero e successivamente venivano eseguiti dei
rinforzi telefonici delle informazioni ricevute. Agli altri venivano fomite
le abituali generiche informazioni sulla necessità di abolire il
fumo. Nel gruppo trattati si è osservata una riduzione del 29% di
fumatori rispetto al gruppo controllo.
Nel 1978 Schnaper aveva riportato i dati di un intervento effettuato da
personale infermieristico in pazienti affetti da ipertensione arteriosa.
L'intervento si era dimostrato efficace in oltre 1'85% dei casi.
Nel trial Coach di recente pubblicato sono stati anlizzati i risultati di
uno studio condotto da dietisti ai fini della riduzione dei valori di colesterolo,
del miglioramento del profilo di rischio globale e della qualità
di vita. L'intervento basato su raccomandazioni precise all'atto della dimisione
e successivi rinforzi telefonici e per posta elettronica ha consentito di
ridurre significativamente i valori di colesterolo e di migliorare il profilo
di rischio e la qualità di vita rispetto al gruppo affidato all'usual
care.
Pochi dati sono disponibili in letteratura circa il possibile ruolo autonomo
dei terapisti della riabilitazione in prevenzione. La recente diffusione
della cardiologia riabilitativa ha fatto sì che figure professionali
finora dedicate ad attività di recupero neurologico o ortopedico
siano oggi inserite con un ruolo di primo piano nell'equipe di cardiologia
riabilitativa. Sebbene sia fondamentale che tutto il personale che si interessa
di prevenzione abbia ben chiaro l'importanza dell'esercizio fisico, risulta
evidente che i Tdr siano i primi attori di questo momento di prevenzione:
D'altra parte la peculiarità dell'intervento riabilitativo nel cardiopatico
rende indispensabile che i terapisti siano adeguatamente formati in cardiologia
e completamente dedicati alla RC. Completamente diversa, infatti, è
la tipologia dei pazienti, le eventuali emergenze da saper riconoscere e
le prime misure di soccorso da saper praticare, per poter permettere che
personale normalmente dedicato ad interventi riabilitativi di altro genere,
sia occasionalmente destinato alla RC. Risulta ovvio che i Tdr oltre all'erogazione
dell'esercizio fisico devono acquisire le nozioni della prevenzione e partecipare
al processo di counseling con i pazienti.
RIFERIMENTI
NORMATIVI
A riconoscere ufficialmente il ruolo dell'infermiere professionale nella
prevenzione ha contribuito il decreto ministeriale n. 739 del 14 settembre
1994 che gli attribuisce specifiche competenze:
"L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa
è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni
sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili
di tutte le età e l'educazione sanitaria".
Il nuovo profilo definisce alcuni principi fondamentali:
o l'assistenza infermieristica è un campo specifico di intervento
nell'ambito dell'assistenza sanitaria;
o la prevenzione, l'assistenza e l'educazione sanitaria sono funzioni proprie
dell'infermiere, da svolgere in stretta collaborazione con il medico e con
altri operatori;
o l'infermiere è un professionista con specifici campi di intervento,
autonomia e responsabilità professionale;
o è necessario prevedere dei corsi di formazione e aggiornamento
professionale per fornire agli infermieri professionali specifiche competenze.
Inoltre il codice deontologico afferma che l'infermiere promuove la salute
del singolo e della collettività, operando contemporaneamente per
la prevenzione, la cura e la riabilitazione
LA
FORMAZIONE DEGLI INFERMIERI PROFESSIONALI IN CAMPO PREVENTIVO
Al di là delle esperienze descritte, spesso dovute all'interesse
dei singoli, si riscontra una scarsa preparazione specifica degli infermieri
professionali nel campo della prevenzione: i programmi di formazione sono
carenti e, d'altra parte, non vi sono ancora riconoscimenti in termini di
rimborsi e incentivi per coloro che seguono corsi di addestramento specifici
da seguire dopo il diploma. Le stesse associazioni infermieristiche non
hanno ancora definito regole e linee-guida per l'intervento sui fattori
di rischio da parte degli infermieri. Alcune società scientifiche,
tra cui l'ANMCO, hanno cercato di colmare queste lacune, organizzando corsi
di aggiornamento allo scopo di formare competenze specifiche in campo preventivo
in grado di fornire un "prodotto" adeguato alle esigenze del paziente.
Per espletare a pieno titolo un ruolo efficace nel campo della prevenzione,
l'infermiere professionale deve:
- acquisire conoscenze e competenze specifiche nel campo della prevenzione
delle malattie cardiovascolari, dall'epidemiologia ai risultati dei grandi
trial di intervento;
- sviluppare capacità di comunicazione, attitudine al colloquio con
i pazienti e i loro familiari, sensibilità nel trovare le parole
giuste per informare sulle cause della malattia, il suo decorso, le terapie
intraprese, adeguandosi al livello culturale del paziente, imparare ad ascoltare
i pazienti e le loro richieste: molto spesso è più efficace
far parlare piuttosto che parlare;
- avere dimestichezza con l'uso del computer, in particolare con sistemi
informatizzati di archivio, gestione ed elaborazione dati.
CONCLUSIONI
La realtà è ancora lontana da quella auspicabile. Il personale
infermieristico è concentrato sul trattamento della condizione acuta
del paziente, non sulla riabilitazione o sul trattamento dei fattori di
rischio. Pochi infermieri si sono sottoposti a un training formale sulla
prevenzione, dalle basi scientifiche ai risultati dei trial clinici. I corsi
di aggiornamento per gli infermieri sono per lo più dedicati al trattamento
delle patologie acute, con scarsa attenzione ai problemi della prevenzione.
D'altra parte non esiste un riconoscimento formale per gli addetti alla
prevenzione per cui, anche partecipando a questi corsi di aggiornamento,
non vi sono aspettative di lavoro che diano loro la possibilità di
implementare la propria preparazione in una situazione pratica.
L'istruzione, quindi, non risolve da sola il problema della distribuzione
inadeguata dei servizi di prevenzione nella pratica ospedaliera e territoriale.
È necessario che le energie destinate alla prevenzione non restino
affidate unicamente a iniziative volontarie di pochi, ma siano riconosciute
come servizio effettuato, con la stessa dignità e gli stessi riconoscimenti
di quelli destinati alla cura dell'acuzie. Bisogna invertire la tendenza
che vuole concentrare le risorse sulla cura, lasciando in secondo piano
la prevenzione, compiendo in questo modo un errore di prospettiva che si
lascia alle spalle un esercito di pazienti cronici, con un enorme costo
per la collettività.
"Nonostante sia ormai evidente l'efficacia della prevenzione, la percentuale
di pazienti ad alto rischio cardiovascolare che riceve un adeguato trattamento
è bassa in misura allarmante". Questa affermazione, tratta dalla
XXVII Conferenza di Bethesda, suona come un appello agli operatori sanitari
e a tutti coloro che hanno un ruolo nella Sanità a dedicare maggiori
risorse, sia economiche sia umane, alla prevenzione delle malattie cardiovascolari.
APPENDICE
Schemi di intervento sui principali fattori di rischio
Legenda:
+++: Fattori di rischio per i quali è stato dimostrato che gli interventi
riducono il rischio di malattie cardiovascolari.
++: Fattori di rischio per i quali gli interventi probabilmente riducono
il rischio di malattie cardiovascolari.
FUMO
Razionale
Si associa a un aumento della prevalenza di ateromi
Evidenza
+++
Obiettivo
Cessazione completa
Ruolo dell'IP
- Incoraggiare con decisione il paziente e la famiglia a smettere di fumare
- Fornire consigli, sostitutivi della nicotina e programmi formali di interruzione
ATTIVITÀ
FISICA
Razionale
Influisce favorevolmente sull'assetto lipidico, sull'adiposità, sulla
PA, sulla tolleranza glucidica e sulla capacità cardiovascolare e
polmonare. Persone abituate a un esercizio ginnico, pari a un consumo di
2-3000 kcal/settimana, hanno 2-3 volte meno eventi coronarici di chi ha
un consumo minore
Evidenza
++
Obiettivo
30 minuti da tre a quattro volte la settimana
Ruolo dell'IP
- Incoraggiare una regolare attività fisica, suggerendo di eseguire
un test da sforzo per indirizzare la prescrizione
- Consigliare attività aerobiche (passeggiate, jogging, bicicletta)
integrate da un aumento delle attività tipiche dello stile di vita
quotidiano, ad esempio passeggiate, giardinaggio, lavori casalinghi, utilizzo
di scale
- Dopo un evento acuto suggerire di partecipare a programmi di riabilitazione
cardiologica
IPERCOLESTEROLEMIA
Razionale
La riduzione dei livelli di colesterolo sierico si associa con un minor
rischio di eventi coronarici
Evidenza
+++
Obiettivo
Prevenzione primaria:
LDL< 130 mg/dl
Prevenzione secondaria:
LDL<100
Ruolo dell'IP
- Informarsi regolarmente sulle abitudini dietetiche
- Suggerire una dieta a basso contenuto di grassi
- Insistere sul controllo del peso e sull'incremento dell'attività
fisica
- Nei pazienti con valori elevati, valutare la presenza di altri fattori
di rischio e invitarli a un controllo con il medico curante
- Raccomandare l'assunzione delle terapie consigliate
IPERTENSIONE
Razionale
Si associa a un rischio più elevato di infarto del miocardio, accidenti
cerebrovascolari
Evidenza
+++
Obiettivo
PA< 130/90
Ruolo dell'IP
- Misurare la PA in ogni adulto almeno ogni due anni
- Promuovere modifiche dello stile di vita: controllo del peso, attività
fisica, ridurre l'introito di alcol e la quantità di sale negli alimenti
- Educare il paziente all'automisurazione della PA
- Ai pazienti già in terapia antipertensiva raccomandare l'importanza
dell'assunzione costante del farmaco e informare su eventuali effetti collaterali.
DIABETE
Razionale
Nei diabetici la mortalità cardiovascolare rappresenta l'80% della
mortalità totale e il rischio cardiovascolare è aumentato
da due a cinque volte rispetto ai soggetti non diabetici
Evidenza
++
Obiettivo
HbA1c < 7%
Ruolo dell'IP
- Educare il paziente all'automisurazione della glicemia e nei casi di diabete
di tipo I all'autosomministrazione di insulina
- Informare sui sintomi e segni premonitori di crisi ipo- o iperglicemiche
e sulle misure da intraprendere
- Raccomandare l'astensione dal fumo
- Suggerire una dieta povera di grassi saturi, ma ricca di carboidrati complessi
e fibre
- Incentivare l'attività fisica nella vita quotidiana
Ringraziamenti: a Emilia Cocco, Marinella Sommaruga, Paola Vaghi, Ornella Zanni, Vincenzo de Chiro.
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