LO STENT A RILASCIO DI FARMACO: COME, QUANDO E PERCHÉ IMPIEGARLO.

AntonGiulio Maione, Antonio Aloia, Giuseppe Bottiglieri, Alfonso Alfieri, Giovanni Gregorio
Dipartimento Cardiovascolare ASL SA 3 - U.O. Utic-Cardiologia Ospedale San Luca - Vallo della Lucania.

Fino ad oggi la restenosi coronarica è stata considerata il principale limite all'efficacia dell'angioplastica coronarica. L'introduzione dello stent nel campo della cardiologia interventistica, pur consentendo di ridurre l'incidenza della restenosi di circa il 30% rispetto al catetere a palloncino, non l'ha completamente eliminata.
Tuutavia, l'introduzione nel 2001 dello stent medicato e i dati forniti dai trials più recenti consentono di affermare, con relativa sicurezza, che oggi "il tallone d'Achille" della cardiologia interventistica è stato finalmente sconfitto.

La restenosi intrastent.
La restenosi coronarica intrastent si verifica ancora oggi in una percentuale variabile tra il 10% ed il 40% dei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica.
Non è un evento prevedibile per ogni singolo paziente, sebbene siano stati identificati alcuni importanti fattori predittivi che hanno consentito di individuare popolazioni di pazienti ad alto rischio di restenosi. La restenosi intrastent inoltre è caratterizzata da un'elevata incidenza di recidiva variabile tra il 50% ed l'80% dei casi dopo redilatazione con catetere a palloncino, aterectomia rotazionale e/o direzionale, o laser. L'unica metodica che in passato si è dimostrata efficace nel ridurre l'incidenza delle recidive di restenosi è la brachiterapia.
Sul piano clinico i pazienti con restenosi intrastent lamentano generalmente l'insorgenza di un'angina rapidamente progressiva o la comparsa di angina instabile a causa del progressivo restringimento del lume coronarico da parte della neoplasia intimale. Tuttavia a differenza di quanto avviene nel caso di lesioni coronariche "ex novo", raramente la restenosi è complicata da eventi cardiaci sfavorevoli maggiori quali l'infarto miocardico e/o la morte. Infatti la mancanza di qualsiasi effetto della restenosi intrastent sulla mortalità è dimostrato dal confronto tra angioplastica coronarica e intervento di by-pass aorto-coronarico (trials BARI e EAST). Pertanto la restenosi intrastent è stata considerata in passato un end - point clinico non catastrofico e la cui prevenzione non influenzava in alcun modo la sopravvivenza del paziente.

Lo stent medicato.
Le evidenze sperimentali hanno permesso di identificare quattro fasi principali nel processo di formazione della restenosi nel vaso coronarico sede di angioplastica con impianto di stent: formazione di trombo nel sito del danno parietale, infiammazione, proliferazione e migrazione delle fibrocellule muscolari lisce e formazione della matrice extracellulare.
Negli ultimi anni l'approfondimento degli aspetti biomolecolari che regolano il ciclo cellulare ha permesso di sviluppare un approccio farmacologico efficace sulla proliferazione cellulare e su differenti fasi del processo di restenosi.
Il concetto del rilascio locale di farmaci antirestenosi mediante stents medicati associa soluzioni di tipo biologico e di tipo meccanico, necessarie ad ottimizzare il risultato angiografico e a facilitare il processo di riparazione della parete vasale dal danno provocato dall'impianto dello stent stesso.
Allo stesso tempo il rilascio locale di farmaci anti-proliferativi mediante stents medicati permette di raggiungere elevate concentrazioni locali di farmaco in assenza di effetti tossici sistemici.
Lo stent medicato, quindi, rappresenta una complessa e tecnologicamente avanzata piattaforma composta da tre elementi fondamentali: 1) uno stent "balloon expandable" con elevate caratteristiche tecniche 2) un vettore attivo che permette il rilascio del farmaco nella parete vasale alle concentrazioni richieste 3) ed un agente farmacologico che possiede specifiche proprietà capaci di interferire con la formazione della neointima. Attualmente gli stent medicati disponibili in commercio utilizzano comuni stent in acciaio medicale già presenti sul mercato da diversi anni. E' ipotizzabile che in futuro verranno impiegate nuove piattaforme con caratteristiche tali da consentire un omogeneo rilascio locale del farmaco.
Il vettore attivo è in genere costituito da polimeri biocompatibili che non interferiscono con le caratteristiche tecniche e di rilascio dello stent ed allo stesso tempo non provocano effetti patobiologici di tipo proinfiammatorio e/o protrombotico.
Inoltre, sono stati messi a punto anche stent medicati in cui l'agente farmacologico era direttamente adeso alla superficie metallica dello stent oppure legato ad esso tramite un polimero inorganico.
Gli stent a rilascio di farmaco possono contenere sostanze farmacologiche con differenti proprietà: farmaci immunosoppressivi (sirolimus e tacrolimus); inibitori della proliferazione cellulare (sirolimus, paclitaxel, actinomicina); agenti antiinfiammatori (desametasone); modulatori della matrice extracellulare (batimastat).
Come già detto, questi farmaci sono di solito mescolati a polimeri sintetici biocompatibili che fungono da depositi attivi che assicurano un rilascio progressivo del farmaco lungo un periodo di settimane o di mesi.
Attualmente, sono disponibili sul mercato due stent medicati che rilasciano rispettivamente sirolimus e paclitaxel.

SIROLIMUS.
Il farmaco Sirolimus appartiene alla categoria degli antibiotici macrolidi e le sue proprietà immunosoppressive gli conferiscono un ruolo importante nella farmacologia dei trapianti d'organo attarverso il legame con il recettore citosolico FKBP12 ed il blocco dell'enzima denominato TOR- chinasi. L'inibizione di questo enzima a sua volta determina l'arresto del ciclo cellulare in fase G1 - S. Per questo motivo tale farmaco svolge anche una potente azione antiproliferativa.
Nel caso del sirolimus, fino ad oggi, è stato utilizzato soltanto un modo per legare il farmaco alla superficie dello stent coronarico: il farmaco è mescolato ad un polimero biocompatibile e tale mescola viene adesa direttamente sulla superficie metallica dello stent , dopodichè al di sopra di essa viene applicato un ulteriore strato di farmaco libero, in assenza di polimero, per consentire un prolungato rilascio del farmaco stesso.
L'efficacia di questo stent medicato è stata valutata per la prima volta nell'uomo in uno studio scientifico pionieristico denominato First In Men study (FIM study). In questo lavoro è stata verificata l'efficacia di due differenti dinamiche di rilascio del farmaco: rilascio veloce e rilascio lento. Sono stati arruolati 45 pazienti di cui 15 trattati con stent medicati a rilascio rapido e 30 con stent medicati a rilascio lento.
Dopo due anni le analisi con QCA e con IVUS hanno dimostrato l'assenza di modifiche del MLD (minimum lumen diameter) all'interno dello stent, della percentuale di stenosi, e di un significativo deterioramento del volume del lume intracoronarico. Questo ha significato che a due anni di follow-up nessun paziente ha avuto restenosi intrastent. Tuttavia bisogna considerare che il diametro di riferimento medio dei vasi coronarici trattati era 3 mm. e la percentuale media di stenosi era circa 65% : quindi con questi valori base ci aspetteremmo un ridotta incidenza di restenosi anche con stent non medicati.
I risultati di questo lavoro sono stati successivamente confermati dal trial randomizzato multicentrico su larga scala RAVEL che ha coinvolto 15 centri in Europa e 4 in America Latina. Nello studio sono stati arruolati 118 pazienti randomizzati a stent non medicato e 120 pazienti a stent medicato con sirolimus. A 6 mesi di follow-up la restenosi angiografica era 0% nel gruppo trattato con stent medicato. Inoltre, ad 1 anno di follow-up nel gruppo dello stent medicato si osservava una drastica riduzione dell'incidenza di TLR (target lesion revascularization) (0% vs. 27% nel gruppo di controllo) ed una sopravvivenza cumulativa "event free" del 94.1% rispetto al 70.9% del gruppo di controllo. L'incidenza della restenosi era infine indipendente dal diametro di riferimento del vaso coronarico trattato, mentre nel gruppo di controllo veniva rispettata la classica relazione tra tasso di restenosi e diametro del vaso (20% circa nei vasi di grosso calibro e 35% nei vasi di piccolo calibro).
Il successivo trial randomizzato multicentrico SIRIUS, coinvolgente prevalentemente laboratori di emodinamica americani, ha arruolato 1101 pazienti con lesioni coronariche a più alto rischio di restenosi (diametro compreso tra 2.5 e 3.5 mm. e lunghezza compresa tra 15 e 30 mm.) rispetto al precedente trial RAVEL. A 8 mesi di follow-up il tasso di restenosi era significativamente ridotto nel gruppo sirolimus rispetto al gruppo di controllo (3.2% vs. 35.4%); inoltre la TLR era 3.9% vs. 16.6% e i MACE (eventi cardiaci maggiori sfavorevoli) erano 4.9% vs. 17.7%. Anche quando l'analisi era estesa alle misurazioni "in-segment" comprendente cioè 5 mm a monte e a valle dello stent impiantato si evidenziava un vantaggio consistente in termini di "late loss" e di incidenza di restenosi.
Risultati incoraggianti vengono anche dall'impiego dello stent medicato con sirolimus nel trattamento della restenosi intrastent: 25 pazienti con restenosi intrastent sono stati trattati consecutivamente mediante impianto di stent medicato e a 4 mesi di follow-up nessun paziente aveva evidenza angiografica di restenosi intrastent e/o peristent.

PACLITAXEL (TAXOLO)
Il paclitaxel è un potente agente antiproliferativo che altera l'equilibrio dei microtubuli intracellulari causando il blocco del ciclo cellulare in fase G2/M.
I miglioramenti tecnologici nella composizione del polimero usato come vettore per il farmaco antiproliferativo hanno consentito di ottimizzare la biocompatibilità del sistema stent - polimero - farmaco e di ottenere un rilascio controllato nel tempo del farmaco stesso. Infatti nel caso del paclitaxel una efficiente endotelizzazione della parete vasale sede dell'impianto dello stent con allo stesso tempo il blocco dell'iperplasia intimale è stato raggiunto con una dose bassa di farmaco equivalente a 1 - 4 µg/mm2 . Negli studi condotti su animali da esperimento questa dose preveniva l'insorgenza di effetti tossici caratterizzati da emorragia a livello della media e da eccessiva fibrosi, effetti presenti invece a dosi maggiori di paclitaxel. Inoltre, il polimero in cui il paclitaxel è contenuto è del tutto biocompatibile e privo di effetti proinfiammatori.
I trials TAXUS (dal nome della pianta taxus brevis da cui la sostanza è derivata) hanno il compito di valutare l'efficacia di due differenti stent medicati al paclitaxel denominati rispettivamente: slow release" (SR) e "moderate release" (MR). Essi contengono la stessa quantità di farmaco (1 µg/mm2 ) ed hanno una cinetica di rilascio simile (bifasica), ma differiscono rispetto alla quantità di farmaco che viene rilasciata in vivo. Infatti la formulazione MR rilascia localmente una quantità di farmaco circa tre volte maggiore rispetto alla formulazione SR (12 mcg vs. 33 mcg, rispettivamente). Inoltre mentre la formulazione SR è stata approvata per l'uso clinico sia negli USA che in Europa, la formulazione MR è considerata ancora di tipo sperimentale.
Il TAXUS I ha esaminato la sicurezza e la performance dello stent a rilascio di paclitaxel SR rispetto ad un gruppo di controllo, in 61 pazienti con lesioni coronariche de novo o con restenosi. A 6 mesi di follow-up l'incidenza di restenosi era 0% nel gruppo dello stent medicato rispetto a 10 % nel gruppo di controllo ovvero un risultato non significativo sul piano statistico. E così anche per gli altri parametri analizzati: MACE e "late lumen loss" a 12 mesi.
Risultati più incoraggianti sono venuti dal trial TAXUS II, anch'esso randomizzato e prospettico, che ha valutato la sicurezza e l'efficacia dello stent medicato al paclitaxel (formulazione SR e MR) in due gruppi consecutivi ma indipendenti di pazienti randomizzati con un rapporto 1:1. L'endpoint primario (percentuale netta di ostruzione del volume in-stent) era significativamente ridotto nel gruppo paclitaxel rispetto al controllo ( gruppo SR 7.8%, gruppo MR 7.8%; gruppo di controllo 21.9%). Al follow up a 6 mesi si osservava una riduzione significativa del tasso di restenosi angiografica, del "late loss" e del "loss index" nei due gruppi con stent medicato rispetto al gruppo di controllo. Infine l'incidenza di complicanze cardiovascolari maggiori a 6 mesi era notevolmente inferiore nei gruppi con stent medicato a causa soprattutto della riduzione significativa della TLR e della TVR (target vessel revascularization).
Lo studio TAXUS III ha valutato l'efficacia dello stent medicato al paclitaxel nel trattamento della restenosi intrastent. Ventotto pazienti con restenosi intrastent sono stati trattati con impianto di stent medicato e al follow up ad un anno sono stati registrati un'occlusione cronica e tre restenosi intrastent probabilmente causate da errori tecnici di impianto durante le procedure.
I trials TAXUS IV e V condotti negli Sati Uniti, hanno valutato l'efficacia dello stent medicato nella formulazione MR in pazienti con lesioni coronariche de novo più complesse rispetto ai precedenti studi.
TAXUS IV ha arrulato circa 1300 pazienti con lesioni coronariche di lunghezza variabile da 10 a 28 mm trattate con un singolo stent.
TAXUS V ha arruolato pazienti con lesioni più complesse e di lunghezza maggiore ( > 40 mm.) e consentiva l'impiego di più stent.
TAXUS VI rappresenta invece la controparte europea del TAXUS V ed ha valutato l'efficacia della formulazione MR in 446 pazienti con stenosi coronariche complesse e di lunghezza compresa tra 18 e 40 mm. Il follow-up clinico è stato effettuato a 9 mesi e l'end-point primario dello studio è l'incidenza di TVR (target vessel revascularization). Questo trial è inoltre caratterizzato dall'aver arruolato in elevata percentuale pazienti diabetici (circa 20%).
Altri due trial su larga scala anch'essi prospettici e randomizzati hanno fornito risultati estremamente incoraggianti : ASPECT ed ELUTES hanno valutato l'efficacia e la sicurezza di uno stent medicato con paclitaxel in cui il farmaco e' direttamente adeso alla superficie metallica dello stent in assenza di polimero. In questi studi l'incidenza di restenosi binaria era 3% e 4% rispettivamente nel gruppo trattato con stent medicato rispetto a 21% e 27% nel gruppo di controllo.


Stent medicato: i "pro" e i "contro".
Lo stent medicato "ideale" dovrebbe:
1. Ridurre in misura sostanziale l'incidenza della restenosi in tutte le tipologie di paziente e di lesione coronarica.
2. Garantire una sicurezza pari a quella degli stent non medicati, senza fenomeni di trombosi tardiva, aneurismi coronarici, effetti iperproliferativi, restenosi ritardata (oltre i 6 mesi).
3. Essere necessariamente "user friendly" ovvero facile da usare.
Dai risultati dei trials citati appare evidente che, nei tipi di lesioni coronariche selezionati, lo stent medicato e' in grado di ottenere una riduzione sostanziale dell'incidenza di restenosi dopo angioplastica coronarica con impianto di stent. Tuttavia tenendo conto che i trials fino ad oggi pubblicati hanno coinvolto circa 2000 pazienti e' lecito giustificare e da un punto di vista scientifico e da un punto di vista economico l'uso immediato e sempre più diffuso degli stents medicati nella pratica clinica?
Tale controversia ha stimolato quindi un acceso dibattito tra cardiologi interventisti da un lato, e amministratori sanitari ed esperti di economia socio-sanitaria dall'altro. Ovviamente una riduzione dell'incidenza di restenosi > 70%, in particolare tra tipi di pazienti e di lesioni coronariche ad alto rischio di restenosi, rappresenta un importante vantaggio nel trattamento dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica perché si traduce in una significativa riduzione sia dell'incidenza di recidive cliniche sia del numero di ricoveri per procedure ripetute di angioplastica coronarica.
A sfavore, tuttavia, dell'impiego diffuso degli stents medicati vengono sollevate tre obiezioni principali:
1. La sicurezza e l'efficacia a lungo termine.
2. L'estrapolazione dei risultati dei trials clinici con criteri di selezione molto restrittivi ai pazienti del "mondo reale".
3. Le conseguenze economiche di una tecnologia ad elevato costo.
Ad oggi non esistono dati a lungo termine che documentano la persistente efficacia degli stents medicati in assenza di complicanze maggiori. Lo studio First in men (FIM), pubblicato nel 2001, dimostra risultati costantemente positivi al follow up a 2-3 anni; il trial RAVEL evidenzia assenza di restenosi intrastent al follow-up ad 1 anno. Pertanto una parziale riduzione tardiva del beneficio iniziale non può essere del tutto esclusa se si considera un intervallo di tempo maggiore (3 - 4 anni). Ma, in un ipotetico scenario del genere, ripetere una procedura di angioplastica dopo circa 4 anni, può essere considerata una sconfitta terapeutica? Del resto una recente analisi dei dati del trial BARI, condotto su pazienti con patologia coronarica multivasale sottoposti ad intervento di by-pass, dimostra la presenza di stenosi significative dei by-pass arteriosi in LIMA (arteria mammaria interna sinistra) nel 10-15% dei casi a 4 anni, e nel 25-30% dei casi di by-pass venosi. E' ovvio quindi che un confronto significativo tra le due strategie terapeutiche nei pazienti con patologia coronarica multivasale deve necessariamente avvalersi di un periodo più lungo di follow-up per poter definire meglio eventuali differenze o similitudini.
Purtroppo i risultati incoraggianti del trial RAVEL non hanno trovato riscontro in studi successivi comprendenti sottogruppi di lesioni coronariche più complesse. Infatti, il tasso di restenosi è stato più alto in pazienti diabetici, nei piccoli vasi, nelle biforcazioni e nelle restenosi intrastent. Ed inoltre non esistono dati significativi su grafts venosi, tronco comune non protetto, stenosi coronariche severamente calcifichi, occlusioni totali, restenosi post - brachiterapia.
Ad esempio nel trial SIRIUS e' stata osservata un'incidenza di restenosi "in-segment" del 23.7% in pazienti diabetici, con vasi coronarici di piccolo calibro e con stenosi coronariche lunghe. Ciò vuol dire che in realtà questo nuovo device non e' del tutto a prova di restenosi?. A tal scopo sarà molto interessante valutare in futuro i dati del registro RESEARCH, iniziato al Thoraxcenter di Rotterdam nel 2002 , che ha arruolato pazienti senza alcun criterio selettivo, ne' clinico ne' angiografico, ed in cui sono stati impiantati solo stents medicati a rilascio di sirolimus.
Il principale ostacolo ad un impiego più vasto di questa nuova tecnologia non e' di tipo tecnico, medico o biologico, bensì economico. Il costo della ricerca scientifica, l'acquisizione dalle industrie farmaceutiche di licenze commerciali esclusive, i costi della catena produttiva nelle prime fasi di sviluppo del nuovo "device" sono responsabili del costo elevato dello stent medicato. Negli Stati Uniti il prezzo di uno stent medicato si aggira tra i 2000 e i 2300 dollari, mentre in Europa oscilla tra i 2000 e i 2200 euro. Tuttavia e' necessario specificare che ad oggi il reale valore commerciale dello stent medicato non e' ben chiaro, cosi come il profitto economico che può derivarne alle industrie produttrici. E' fuor di dubbio che tali prezzi provocheranno un aumento vertiginoso dei costi procedurali intraospedalieri, minacciando in tal modo la futura realizzazione economica di un programma di cardiologia interventistica. In aggiunta bisogna considerare le perdite economiche secondarie alla riduzione dell'attività cardiochirurgica ed alla riduzione del numero di procedure interventistiche eseguite per restenosi intrastent. D'altro canto bisogna anche considerare, sulla base di attente analisi economiche condotte sui risultati dei trials pubblicati, che l'impianto di uno stent medicato riduce l'incidenza a medio-lungo termine di complicanze cardiache maggiori, riduce il numero di re-PTCA per restenosi intrastent e quindi ha un effetto economico positivo se si sottrae dalla spesa sanitaria globale il costo degli eventi che lo stent medicato sembra in grado di prevenire. Ovvero, la restenosi intrastent e' un evento con un suo costo economico ben preciso indotto dalla necessità, nella maggior parte dei casi, di ricorrere ad un altro ricovero ospedaliero ed ad un'altra procedura di rivascolarizzazione con PTCA. Lo stent medicato può incidere positivamente su questa spesa.
Pertanto finché un reale equilibrio non sarà stabilito tra costi e rimborsi le problematiche economiche rappresenteranno il principale ostacolo all'impiego dello stent medicato, come del resto sta già avvenendo in tutta Europa.
Tabella I

Classe Condizioni
I " Lesioni coronariche di lunghezza 15 - 30 mm. e
diametro 2.5 - 3.5 mm.
" Diabete
" Lesioni coronariche di lunghezza < 15 mm. e diametro 2.5 - 3.5 mm.


IIa " Lesioni ostiali
" Tronco comune protetto
" Biforcazioni coronariche


IIb " Occlusioni croniche
" Restenosi in stent (pattern focale)
" Lesioni di lunghezza > 30 mm. e diametro 2.5 - 3.5 mm.


III " Graft venosi
" Restenosi in - stent (pattern diffuso-proliferativo)
" Tronco comune non protetto

Molta confusione esiste oggi sulle indicazioni all'impianto di uno stent medicato; in realtà non sono state ancora formulate indicazioni precise dato l'esiguo numero di dati scientifici disponibili e relativi alla popolazione dei trials pubblicati.
Appare evidente come in tale situazione l'impianto di uno stent a rilascio di farmaco è spesso dipendente dalla volontà dell'operatore e/o dalle risorse economiche della struttura sanitaria più che da una reale necessità clinica.
L'American College of Cardiology/American Heart Association Task Force ha definito un primo format di Linee Guida relative all'impiego degli stent medicati in cui le indicazioni di classe I sono derivate dai criteri di inclusione dei tre principali trials clinici randomizzati e le indicazioni di classe II e III derivano invece dalle analisi dei sottogruppi di questi trials e da registri in fase di pubblicazione (Tabella I).

Conclusioni.
Gli stent a rilascio di farmaci antiproliferativi hanno dimostrato, in trials randomizzati, di ridurre significativamente l'incidenza della restenosi. Dall'Aprile 2002 gli stent a rilascio di sirolimus sono stati distribuiti sul mercato europeo e successivamente su quello americano, mentre gli stent a rilascio di paclitaxel hanno ricevuto il marchio CE per la distribuzione in Europa nel Marzo 2003. Tuttavia fino ad oggi l'impiego degli stent medicati e' stato fortemente limitato in numerosi paesi da motivi di ordine commerciale (costi di produzione elevati, mancato incremento del rimborso economico da parte delle istituzioni sanitarie), nonostante le prime analisi in termini di costo beneficio relative allo stent a rilascio di sirolimus abbiano dimostrato un profilo altamente favorevole grazie ad una riduzione e delle complicanze cardiovascolari maggiori e del numero di successive procedure di rivascolarizzazione.


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