QUANDO SI PROPONE UNO STUDIO ELETTROFISIOLOGICO ENDOCAVIATARIO SONO SEMPRE RISPETTATE LE LINEE GUIDA?
Valentino
Ducceschi, Michele Santoro, Domenico Bonadies, Giovanni Gregorio.
Dipartimento Cardiovascolare ASL SA 3 . U.O. Utic-Cardiologia Ospedale San
Luca Vallo della Lucania (SA)
CHE COSA E' UNO STUDIO ELETTROFISIOLOGICO?
Lo studio elettrofisiologico endocavitario è un' indagine invasiva
che serve ad investigare la causa responsabile della patogenesi dei vari
disordini del ritmo cardiaco.
Mediante apposite sonde denominate elettrocateteri introdotti per via percutanea
transvenosa femorale, succlavia o giugulare e posizionati nelle camere cardiache
destre o sinistre per via transarteriosa in alcune complesse procedure,
vengono registrati i potenziali elettrici endocavitari degli atri, del fascio
di His e dei ventricoli. Mediante poi protocolli standardizzati di stimolazione
è possibile ricavare utili informazioni sulla funzione eccito-conduttiva
del miocardio.
Pertanto, è attualmente possibile valutare la funzione sinusale nelle
sospette sindromi "bradi-tachi", la sede e l' evolutività
dei blocchi atrio-ventricolari - nodale AV o soprahissiana, a prognosi benigna;
intrahissiana (nel fascio di His) o sottohissiana (tra il fascio di His
ed i ventricoli), entrambi a prognosi infausta.
Tale metodica ha consentito di precisare anche l' esatta patogenesi delle
varie tachiaritmie, localizzando i foci ectopici responsabili delle forme
da esaltato automatismo o i "circuiti elettrici" che si sviluppano
attorno a barriere anatomiche o funzionali, causa delle aritmie cosiddette
"da rientro".
COME
SI ESEGUE UNO STUDIO ELETTROFISIOLOGICO?
Lo studio elettrofisiologico endocavitario si esegue introducendo in anestesia
locale, a paziente vigile, elettrocateteri a più dipoli per via transvenosa
succlavia e femorale ed eventualmente per via transarteriosa femorale. Sotto
guida fluoroscopica tali sondini vengono posizionati in varie zone dell'
atrio e del ventricolo destro, a cavallo della tricuspide (regione del nodo
AV e del fascio di His) ed eventualmente nelle camere sinistre a livello
endocardico (per via transarteriosa e transvenosa previa puntura del setto
interatriale) o epicardico (attraverso il seno coronarico e le sue diramazioni).
A questo punto vengono misurati gli intervalli di tempo che separano i vari
elettrogrammi atriale, hissiano e ventricolare che forniscono utili informazioni
sulla funzione in condizioni basale del sistema di conduzione:
- intervallo AH, esprimente il tempo di conduzione atrio-hissiano, esprimente
lo stato di funzionalità del nodo AV;
- intervallo HV, tempo di conduzione sottohissiana, spia di eventuali compromissioni
del sistema di His-Purkinjie.
Inizia quindi la fase di studio che si basa su protocolli standardizzati
di stimolazione atriale e ventricolare programmata:
- stimolazione atriale continua a diverse frequenze ed incrementale, volta
ad analizzare la funzione sinusale e la capacità conduttiva atrioventricolare;
- stimolazione atriale o ventricolare accoppiata, inviando un exatrastimolo
progressivamente sempre più prematuro dopo un treno di impulsi a
frequenza (ciclo) predefinita, eventualmente "potenziata" da ausili
farmacologici, utile per indurre le diverse tachiaritmie.
Una volta individuato l' esatto meccanismo alla base dell' elettrogenesi
dell' aritmia è spesso possibile "ablarne" il substrato
consentendo al pz una pronta e permanente guarigione, utilizzando specifici
elettrocateteri capaci di produrre sul tessuto miocardico a contatto una
precisa e ben circoscritta micronecrosi coagulativa mediante surriscaldamento
della punta.
Essi sono infatti collegati ad un generatore di radiofrequenza capace di
produrre il riscaldamento desiderato del tessuto con un sofisticato sistema
di monitoraggio continuo dei Watt erogati, della temperatura raggiunta e
dell' impedenza all' interfaccia catetere/endocardio.
QUANDO
ESEGUIRE UNO STUDIO ELETTROFISIOLOGICO?
Lo studio elettrofisiologico endocavitario è una procedura invasiva
e pertanto non va considerato un esame da richiedere in prima istanza per
coloro che riferiscono una sintomatologia suggestiva di disordini del ritmo
cardiaco sia in senso bradicardico (vertigini, lipotimie, sensazioni di
"testa vuota", sincope), che tachicardico (cardiopalmo regolare
o irregolare, sincope, sensazione di "collasso di circolo"). Tali
pazienti, infatti, vanno inizialmente sottoposti ad indagini non incruente
quali l' ECG standard, l' ECG dinamico Holter (24 o 48 h), l' ECG da sforzo,
il Tilt test o eventualmente dosaggi ormonali e visite specialistiche ORL
o neurologiche che servono essenzialmente a "scremare" quella
quota di individui portatori di altre patologie o neurodistonici che inevitabilmente
finiscono con l' afferrare al cardiologo elettrofisiologo.
Dopo questa prima selezione, quindi, i pazienti affetti da bradiaritmie
o tachiaritmie accertate vanno inviati all' elettrofisiologo che a sua volta
valuterà quelli da studiare per fornire al paziente ed al medico
curante informazioni precise sul significato prognostico ed evolutivo del
disordine del ritmo e sul tipo di trattamento da prescegliere.
Il medico curante e/o il cardiologo ambulatoriale devono pertanto richiedere
la consulenza elettrofisiologia in presenza di disturbi passibili di eventuale
correzione mediante impianto di pace-maker, specie se associati a sintomatologia
"suggestiva":
- bradicardie "sine causa", arresti o pause sinusali, blocchi
seno-atriali di II o III grado;
- blocchi AV di II grado tipo 1 e 2 o 2:1 o di III grado;
- blocchi AV di I grado in pz portatori di turbe della conduzione intraventricolare
tipo blocchi bifascicolari (BBS o BBD ed EAS)
Lo studio, tuttavia, va anche richiesto per quei pazienti affetti da:
- tachicaritmie sopraventricolari, al fine di selezionare la terapia farmacologica
o non (ablazione) più opportuna;
- tachiaritmie ventricolari, al fine di scegliere il presidio terapeutico
più adatto (farmaci, ablazione, impianto di AICD).
Infine, al momento attuale lo studio elettrofisiologico endocavitario risulta
tuttora lo strumento diagnostico più affidabile per la quantificazione
del rischio di morte improvvisa in patologie di rccente inquadramento nosografico,
quali la sindrome di Brugada e quindi per slezionare opportunamente i pz
da sottoporre ad impianto di AICD.
QUANDO
SI PROPONE UNO STUDIO ELETTROFISIOLOGICO ENDOCAVITARIO SONO SEMPRE RISPETTATE
LE LINEE GUIDA?
Rispondere a tale domanda è un po' come sperare di risolvere annose
questioni. Da sempre in Medicina si cerca di seguire dei protocolli comportamentali
che poi, spesso e volentieri, vengono da molti disattesi.
Se possiamo con una certa tranquillità affermare che, nel caso delle
varie aritmie sopraventricolari, in mani esperte ormai la suddette indagine
invasiva risulta pressoché scevra da rischi e complicanze significative,
nel caso della aritmie ipercinetiche ventricolari lo studio della vulnerabilità
ventricolare è, per definizione, accertamento "rischioso".
Infatti, l' indicibilità di tachiaritmie ventricolari sostenute in
pz con grave cardiopatia organica può severamente compromettere un
già alquanto precario compenso emodinamico.
D' altra parte, la lezione imparata dai numerosi trials condotti sulla prevenzione
della morte improvvisa in differenti cardiopatie (MADIT, MADIT II, MUSTT;
COMPANION; MIRACLE etc. solo per citarne alcuni) hanno sottolineato come
i migliori criteri di selezione dei pz da avviare ad impianto di AICD sono
essenzialmente clinici. Così nei cardiopatici ischemici con pregresso
IMA, ad esempio, una depressa FE risulta l' indice più attendibile
per individuare i pz a rischio.
Così, altro esempio, nei pz affetti da cardiomiopatia ipertrofica
lo spessore diastolico del setto interventricolare sembra avere un importante
significato prognostico.
Ma allora perché questi pz vengono ancora sottoposti a studio elettrofisiologico
endocavitario?
La risposta probabilmente dipende da diversi fattori: in primo luogo, la
crescente spesa sanitaria impone di non adottare criteri troppo allargati
per impiantare presidi costosi quali gli AICD, in altri termini si punta
forse più alla specificità che alla sensibilità dei
test. In secondo luogo, il cardiologo invasivo è portato sempre ad
attribuire maggior importanza ai test più diretti: verificare un'
inducibilità di TV o di FV sostenute in un pz potenzialmente candidato
ad impianto di defibrillatore in qualche modo allevia la coscienza e semplifica
la decisione di dover impiantare un device costoso.