QUANDO SI IMPIANTA UN DEFIBRILLATORE SONO SEMPRE RISPETTATE LE LINEE GUIDA ?
Paolo
Dini
U.O. di Cardiologia - Azienda Ospedaliera S.Camillo - Forlanini - Roma
Nei
pazienti sopravvissuti ad aritmie ventricolari potenzialmente letali la
superiorità del successivo trattamento con defibrillatore impiantabile
(ICD) rispetto alla terapia con farmaci antiaritmici è stata ampiamente
dimostrata dagli studi di prevenzione secondaria AVID,CASH e CIDS .
Il riconoscimento di un significativo aumento di sopravvivenza nei pazienti
trattati con ICD ha fatto superare le iniziali obiezioni riguardanti l'efficacia
,i costi ed il possibile impatto negativo sullo stile di vita dei pazienti,
relativamente alla presenza di shock inappropriati o alle restrizioni sulla
guida dell'auto.
Le linee guida delle principali società scientifiche europee e nordamericane
tracciano una indicazione di Classe I all'impianto di ICD nei pazienti che
hanno già subito un arresto cardiaco o una sincope per TV/FV,indipendentemente
dal tipo di cardiopatia organica presente.
La raccomandazione viene oggi concordemente accettata dalla comunità
medica ,che si è fatta anche carico,tramite le società scientifiche
nazionali, di convincere gli amministratori e i responsabili delle scelte
di politica sanitaria della validità di questa terapia,anche in termini
di costi per anno di vita salvato.
Dopo i risultati ottenuti nei trials di prevenzione secondaria, gli studi
clinici di sopravvivenza con l'uso dell'ICD si sono concentrati su pazienti
che ancora non hanno sviluppato l'evento aritmico , ma che per certe caratteristiche
possono essere considerati ad alto rischio di morte improvvisa cardiaca.
I risultati ottenuti dallo studio MADIT e dal MUSTT hanno creato i presupposti
per un'altra indicazione di Classe I nei pazienti con pregresso infarto
(da oltre 1 mese) senza aritmie ventricolari sostenute, frazione di eiezione
(FE) ventricolare sinistra tra 0.31 e 0.40, ed aritmie (TV,FV) inducibili
allo studio elettrofisiologico. Questa indicazione,pur avendo una sua validità
scientifica, trova ancora una certa resistenza ad essere applicata per motivi
sia logistici che economici , in quanto presuppone un secondo ricovero dopo
un mese dall'IMA e la disponibilità di un laboratorio di elettrofisiologia,che
in caso di test di induzione positivo, si faccia anche carico di eseguire
l'impianto.
Lo studio MADIT II ha invece incluso soggetti che, dopo aver superato un
infarto del miocardio, mostravano una riduzione della FE a valori uguali
o inferiori al 30 %. I pazienti sono stati randomizzati ad ICD o a non-ICD.
Dopo 3 anni la mortalità dei pazienti trattati con ICD è stata
di circa il 20% ,principalmente per cause cardiache non aritmiche, mentre
nei non trattati ha raggiunto il 30%. La differenza di sopravvivenza,significativa
dal punto di vista statistico, ha fatto classificare questa indicazione
all'ICD in Classe IIa. Si tratta di una indicazione per cui, pur esistendo
qualche divergenza di opinioni, la maggior parte degli esperti è
concorde nel ritenere utile il trattamento.
Gli autori che mostrano una certa perplessità ad impiantare un ICD
solo sulla base della FE, sottolineano che dopo 3 anni solo il 10 % dei
pazienti trattati ha avuto un reale beneficio da parte dell'ICD, come può
essere facilmente verificato dalla lettura della memoria del dispositivo.
Il restante 90 % o è comunque deceduto per cause non aritmiche (20%)
o è ancora vivo dopo 3 anni senza interventi da parte del defibrillatore
(70 %) . I pazienti che non hanno tratto giovamento dall'ICD hanno comunque
consumato risorse e sono andati incontro ad una serie di disagi e rischi
, considerando : l'intervento chirurgico,l'anestesia generale,l'induzione
di FV durante l'impianto,i controlli periodici,i rischi di infezione o di
malfunzione dell'elettrodo e la possibilità di shock inappropriati.
Dal punto di vista etico non sembra però giustificato negare un defibrillatore
a questi pazienti,sapendo che comunque la presenza di una bassa FE comporta
un rischio più elevato di morte improvvisa nel post-infarto e che
per ora non è possibile prevedere quale sottogruppo andrà
incontro ad una aritmia ventricolare potenzialmente fatale.
Se la prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa con ICD nel post-infarto
suscita opinioni talora contrastanti,pur in presenza di linee guida che
nel complesso sono favorevoli al defibrillatore in presenza di una importante
disfunzione ventricolare sinistra, il dibattito è ancora aperto nella
miocardiopatia dilatativa non ischemica (MCDNI) dove non sono ancora state
tracciate delle linee guida che tengano conto dei risultati dei più
recenti studi.
A parte i casi di MCDNI con sincopi recidivanti in cui la tendenza generale
è favorevole allo impianto di ICD , dopo aver escluso altre possibili
cause di sincope dalla bradiaritmica alla neuromediata , il problema si
pone principalmente nei pazienti asintomatici con bassa FE.
I risultati dello studio SCD-HeFT recentemente presentati al Congresso dell'American
College of Cardiology del Marzo 2004 hanno evidenziato che nei pazienti
con miocardiopatia dilatativa ,FE < 0.35,scompenso cardiaco in Classe
NYHA II-III,in terapia medica ottimale, la mortalità dei gruppi trattati
con placebo o con amiodarone è stata del 7.2% per anno. Ad un follow-up
di circa 5 anni la mortalità ha raggiunto il 35 % in questi due gruppi,mentre
si riduceva al 23 % nei pazienti in cui veniva impiantato un ICD profilattico.
E' interessante notare che il vantaggio dell'ICD era indipendente dalla
etiologia ischemica o non ischemica.
I risultati di questo studio ancora non sono stati pubblicati e non sono
quindi entrati a far parte di linee guida. Lo studio tuttavia,per l'elevato
numero di casi raccolti e studiati prospettivamente,e per il confronto randomizzato
con il placebo e l'amiodarone empirico sembra mettere una parola definitiva
sia sull'indicazione all'ICD nei pazienti con MCD ,che sulla inefficacia
dell'amiodarone nella prevenzione primaria .
Tra i pazienti con scompenso cardiaco avanzato (Classe NYHA III-IV) e FE
< 35 % un altro studio : il COMPANION ha poi identificato un sottogruppo
che si giova dell'ICD associato alla terapia elettrica di resincronizzazione
cardiaca (CRT) mediante pacing biventricolare. Sono i pazienti con durata
del QRS > 120 ms..
Lo studio ha dimostrato che : nei pazienti con CRT la mortalità totale
ad un anno si riduce del 24%; mentre nei pazienti con CRT+ICD la riduzione
relativa sale al 36 % rispetto ai pazienti trattati soltanto con terapia
medica ottimale.
In conclusione una cosa è certa: l'ICD è in grado di salvare
vite umane nelle situazioni in cui il rischio di morte cardiaca improvvisa
è elevato ed il suo utilizzo va incrementato . Il problema futuro
sarà quello di identificare con sempre maggiore precisione i gruppi
ad alto rischio di eventi.